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sabato 31 luglio 2010

Nardò e Porto Cesareo: l' abusivismo è di casa

Evidentemente Nardò era troppo bella e il Signore per la legge della compensazione vi ha allocato i neretini, che non si sono davvero risparmiati in un’opera di devastazione, e di svendita del proprio territorio, un’opera che continua inesorabile, portata avanti soprattutto dai loro delegati , ossia dagli amministratori che da un po’ di decenni i neretini si sanno scegliere.

(Massimo Vaglio) - Una devastazione, che negli ultimi anni ha subìto una certa accelerazione, e che sta facendo del suo territorio un ricettacolo di ecomostri, vedi la famigerata discarica di Castellino gestita come peggio non si poteva fare; vedi il Torrente Asso, divenuto recapito di non si sa più quanti reflui fognari; vedi assalto al paesaggio con la minaccia eolico e con il fotovoltaico realizzato ovunque, ma non nel luogo più deputato a farlo, ovvero sui tetti delle costruzioni; vedi incapacità ad implementare un piano di risparmio energetico, il progressivo degrado del centro storico, e delle campagne con l’assurdo proliferare di false case coloniche e con cumuli di polietilene che nessuno smaltisce se non le fiamme dispensatrici di diossina e tumori.

Come se tutto questo non bastasse, il 28 dicembre 2009, il Consiglio Comunale di Nardò, ha deliberato quasi ad unanimità (con il solo voto contrario dei consiglieri Calabrese e Maceri) il consenso a ricevere le acque nere del depuratore di Porto Cesareo per sversarle nel suo mare in località Torre Inserraglio. La questione è a dir poco assurda, Porto Cesareo, che dispone di quasi trenta chilometri di costa e di un ampio territorio in larghissima parte improduttivo, circa un decennio addietro, costruisce un depuratore al confine con il territorio di Nardò, cosa certamente non casuale, nè giustificata da motivazioni tecniche, ma piuttosto un gratuito dispetto, vista la storica malcelata avversione dei cesarini per i neretini, poi si accorge che non può scaricare i reflui nel mare prospiciente, e chiede all’odiato vicino di ingoiare il rospo, sotto forma di reflui fognari. L’antagonismo fra i due comuni è più che noto, ne è una riprova la grande festa indetta dal comune di Porto Cesareo (ex frazione di Nardò) nello scorso maggio, per il 25° anniversario dell’indipendenza, celebrata da cittadini e amministratori locali
con lo spirito di chi è riuscito ad affrancarsi dalla più becera delle dittature. Certamente, per certi versi, Nardò ha esercitato una certa dittatura nei confronti di Porto Cesareo, se dittatura si può ritenere un minimo di rispetto della legalità. Una dittatura, esercitata, sino a quel fatidico 1974, tenendo un poco a bada il fenomeno dell’abusivismo edilizio e demolendo sotto l’amministrazione capeggiata dal compianto senatore Borgia, esempio purtroppo rimasto isolato, una villa sulla penisola della Strea. Tanta deve essere stata sofferta questa imposizione delle leggi, che appena raggiunta l’agognata indipendenza, Porto Cesareo si sarebbe di lì a poco conquistato il primato di secondo comune più abusivizzato d’Italia. Un primato costituito da svariate migliaia di abitazioni abusive costruite senza un minimo di qualità tecnica e architettonica anche nei luoghi più improbabili come le paludi, e le pregevolissime dune costiere. Una biancastra fungaia, sparpagliata su migliaia di ettari di territorio che rende ormai praticamente impossibile un’adeguata riqualificazione del territorio e intralcia anche la realizzazione delle più essenziali opere di urbanizzazione. Questo, è il quadro in cui si inserisce la
richiesta di Porto Cesareo, e che si prefigge di preservare il proprio mare a discapito di quello dell’odiato vicino arrecandogli anche un certamente sottovalutato danno d’immagine. Per dipanare la questione, e indorare la pillola, si inserisce la Regione che promette qualche beneficio al comune di Nardò, quale la variazione del tracciato della fognatura da quello originario, facendolo transitare da Sant’Isidoro, ove verrebbe realizzato un impianto di sollevamento ed un collettore, che in un ipotetico futuro, in caso di realizzazione in loco della fognatura, potrebbe (forse) servire anche questa marina, che nel frattempo dovrà però certamente soffrire i più che probabili disagi che deriveranno dal fetore dell’impianto di sollevamento. Altra concessione offerta al Comune di Nardò, è una condotta sottomarina del costo di circa 4,5 milioni di Euro, che dovrebbe portare i reflui, tutti riuniti in un’unica condotta, al largo di Torre Inserraglio (tratto di mare interessato da una richiesta di ampliamento dell’Area Marina Protetta e zona S.I.C.), per farli sfociare in mare più profondo. Inutile dire, che l’operazione che
potrebbe sembrare a prima vista meritoria, costituisce un’ennesima aberrazione ambientale, il concetto è a dir poco elementare, infatti, partendo dal presupposto che ci troviamo nella zona più sitibonda d’Italia indicata dal C.N.R. a rischio desertificazione e che l’emungimento di acque di falda per l’irrigazione sta portando ad una loro progressiva quanto irreversibile salinizzazione, sversare le acque depurate in mare è un gratuito crimine anche in considerazione che tutte le direttive comunitarie spingono verso il riutilizzo delle stesse in agricoltura. Inutile dire, che se viceversa gli stessi reflui dovessero essere contaminati (come sovente i reflui di questo tipo lo sono), sversarli in mare, seppure a qualche chilometro al largo costituisce ugualmente un grosso danno ambientale, spostare un problema non lo elimina, ma equivale a nascondere la polvere sotto al proverbiale tappeto. A questo si aggiunge lo scempio di denaro pubblico e il nefasto impatto
ambientale dell’opera che è progettata peraltro in un sito di interesse comunitario (zona S.I.C. terrestre e marina) , infatti, per portare le acque al largo vi è bisogno di grosse pompe di spinta estremamente energivore ed impattanti che dovrebbero essere impiantate sbancando un ampio tratto di scogliera. Dulcis in fundo, la completa inutilità e dannosità dell’opera, infatti, ovunque queste condotte sono state realizzate, vedi la condotta Matteotti sul Lungomare di Bari e la condotta del depuratore Gennarini di San Vito a Taranto, le stesse sono state danneggiate dalle correnti marine, dalle mareggiate e rese degli inutili colabrodo allungati, monumento allo scempio di denaro pubblico, all’impreparazione dei progettisti e all’insipienza degli amministratori che con evidente leggerezza le hanno approvate. Un grave errore quindi, alla luce delle esperienze pregresse, autorizzare una tale opera.

Ma l’errore di fondo, consta soprattutto nel considerare queste acque come un rifiuto da smaltire e non per quello che potenzialmente sono, ovvero una risorsa utilissima, pregiata e limitata. Naturalmente, non si tratta di acque biologicamente pure, ma tutte le acque rivenienti da un depuratore degno di questo nome, ovvero, come si dice oggi, da un depuratore a “norma”, rispettano dei parametri ben definiti, il che le rende senza dubbio idonee all’irrigazione di molte colture, in particolare di quelle legnose, oliveti in primis. Con centinaia di migliaia d’alberi d’olivo, una soluzione potrebbe essere quella di incentivare la realizzazione di impianti di sub irrigazione (semplici tubazioni drenanti interrate) negli oliveti. Inoltre, visto che sempre più si parla di biomasse, cosa ci sarebbe di meglio che impiegare queste acque per irrigare coltivazioni arboree a sviluppo rapido, che sicuramente sequestrerebbero, con buona pace dell’ambiente e del paesaggio e del protocollo di Kyoto, tante tonnellate di CO2, utilizzabili anche come riserva per impianti di energia alternativa? Ove queste soluzioni non fossero praticabili o risolutive, ogni comune potrebbe destinare alcuni ettari di terreno agricolo più marginale alla fitodepurazione creando delle semplici lagune artificiali piantumate con essenze vegetali idonee allo scopo, quali la canna di palude (Phragmites australis), la canna domestica (Arundo donax). Con simili impianti di fitodepurazione, un po’ in tutto il mondo, vengono trattati depurandoli
perfettamente e quasi a costo zero, reflui ben più inquinanti dei reflui in questione, quali: scarichi non depurati di hotel, campeggi e villaggi turistici; reflui di grandi allevamenti di suini e bovini, reflui in uscita da caseifici e persino il famigerato refluo degli impianti di biogas. Così trattate, queste acque, possono avere i medesimi utilizzi dell’acqua piovana o di falda. Per non parlare dei benefici sul paesaggio, che queste lussureggianti oasi potrebbero apportare, come pure alla fauna selvatica e in particolare all’avifauna. Effetti benefici, si potrebbero avere anche sul clima, infatti, un aumento dell’evaporazione, porta generalmente ad un aumento della piovosità estiva.

Intanto, vengono spesi milioni di euro per costruire condotte per smaltire queste acque in mare o negli inghiottitoi e nelle voragini carsiche, ove mescolandosi alle già inquinate acque di falda le compromettono sempre di più. Nella fattispecie in esame, ognuna delle municipalità coinvolte, dovrebbe tenersi i suoi reflui e considerarli come una risorsa da valorizzare e non come un rifiuto da smaltire nel proprio giardino o peggio ancora, in quello del vicino.

Fonte: Il Paese Nuovo 29/12/2009

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