HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

mercoledì 29 settembre 2010

Esercito, scuola di vita


‘La scuola non è neutrale’, secondo il direttore scolastico della Lombardia non dobbiamo ‘fare dei nostri alunni delle specie di invertebrati'
Il dott. Giuseppe Colosio è il direttore scolastico per la Lombardia. Insieme al generale De Milato ha firmato il protocollo d’intesa tra Ufficio scolastico e Comando militare che prevede di portare l’educazione modello militare nelle scuole della regione.
PeaceReporter lo ha intervistato per farsi spiegare il punto di vista dell’Istituzione scolastica direttamente da chi rappresenta la massima autorità in materia di istruzione regionale.

Il programma ‘Allenati per la vita’ non è una novità, siamo al quarto rinnovo, ma allora quando e perché nasce per la prima volta l’idea di un progetto di questo tipo?

La prima formalizzazione del progetto, così com’è ora, risale al tredici settembre 2007, ma già nel 2005 in provincia di Brescia era stata avviata una sperimentazione. Quanto al perché le dico subito che l’idea non è nostra: si tratta di un tipo di attività diffusa nel nord Europa, soprattutto in Gran Bretagna, multidisciplinare e con un forte carattere sportivo. Come si inserisce il programma nello svolgimento del normale anno scolastico?

L’attività è di tipo extracurriculare e l’adesione avviene su base esclusivamente volontaria, sia per quanto riguarda gli alunni che le istituzioni scolastiche che partecipano.

Sono previsti crediti formativi?

L’attribuzione dei crediti è una decisione che spetta alle scuole, ai consigli di classe e al collegio dei docenti, nessuno può dire che il programma prevede crediti in automatico. Tuttavia come è possibile ottenere crediti per un corso di inglese all’estero, così trovo giusto che sia possibile averli per un’attività di questo tipo.

Qual è il carattere sportivo dell’iniziativa?

Mettere insieme discipline diverse, non tradizionali, comprese un paio di discipline olimpiche legate al tiro, tra le quali il tiro con l’arco. Le discipline di tiro favoriscono l’abitudine alla concentrazione, alla respirazione e al controllo della posizione. Queste attività sono comunque marginali rispetto al resto: ampio spazio viene dedicato a tutta una serie di altre pratiche, come il primo soccorso, che tendono a preparare all’attività di volontariato nella Protezione civile o nella Croce Rossa.
Un’altra particolarità è la commistione tra attività pratiche e teoriche, fisiche e intellettuali, così viene favorita la capacità di risolvere problemi, il cosiddetto ‘problem solving’. Pensi, ad esempio, a quando si deve individuare, con l’uso di coordinate geografiche, il posto in cui si trova una persona che deve essere soccorsa, una capacità di risolvere i problemi di ordine pratico.
Inoltre ogni volta che si doveva decidere se inserire una nuova attività sportiva nel programma abbiamo preteso che fosse una disciplina olimpica.

Al fianco di attività che possono essere classificate come sportive, sono previste tutta una serie di altre pratiche vicine al mondo militare, come cultura militare, trasmissioni, sopravvivenza in ambiente ostile, difesa nucleare batteriologica e chimica, mezzi dell’esercito, che rientrano più difficilmente nel quadro che lei ha tracciato.

Le trasmissioni sono una pratica civile, tutto quello che è civile può essere di uso militare, e comunque questo non vuol dire che si fa un vero e proprio addestramento, c’è solo un passaggio di competenze. Quanto alla difesa nucleare, batteriologica e chimica le faccio un esempio: se io in una scuola faccio un’esercitazione antincendio vuol forse dire che voglio dare fuoco alla scuola?

Guardi se vogliamo esagerare allora le dico, piuttosto, che voglio arruolare gente tra i pompieri. A parte gli scherzi, quello che le chiedo è se dietro tutto questo non c’è la volontà dell’esercito di farsi propaganda tra i più giovani, mentre il sistema pubblico di istruzione dà il suo benestare.

No, assolutamente no, lo escludo nel modo più assoluto. Questo programma al massimo porta i più giovani a conoscere un organo costituzionale importante della Repubblica italiana, come l’Esercito. In Lombardia facciamo anche delle iniziative con barche a vela della Marina militare, per avviare alla pratica della vela. Quello che le posso concedere, al massimo, è che queste attività rientrano in un orientamento alle professioni. Lei sa che in tutti i campus di orientamento sono sempre presenti anche le Forze armate?

A maggior ragione però, quelli sono momenti di orientamento nei quali l’esercito si vende come azienda. Se quel percorso entra nell’anno scolastico, non cambia qualcosa? La scuola non dovrebbe essere neutrale? Altrimenti dovreste permettere l’ingresso anche ad altre aziende.

La scuola non è sotto una campana di vetro, deve interagire con la realtà. Stiamo ampliando le possibilità formative complessive, in un ambiente protetto, e la scuola tiene sempre in mano l’aspetto pedagogico e didattico. Quanto alle altre aziende le cito l’alternanza scuola lavoro, gli stage, le operazioni e i protocolli con altri grossi enti, come la Lega antivivisezione e Legambiente.

Sarà d’accordo però che Legambiente e la Lega antivivisezione non sono realtà forti e strutturate come l’esercito. Non offrono le possibilità di sbocco professionale di quest’ultimo.

Allora le dico che ci sono protocolli attivati anche con le università, stiamo dando opportunità diversificate di formazione ad ampio raggio, di crescita, di consapevolezza e di ampliamento delle proprie capacità e potenzialità.
C’è una relazione stretta tra la scuola e le forze più vitali della nostra società. Noi non possiamo essere neutri, la scuola non può essere neutra, deve affrontare il mondo e la sua varietà. Se gli studenti dovranno poi inserirsi nella società, nel mondo del lavoro, non possiamo insegnarli solo un mondo ideale o mandarli sulla luna, il mondo è questo.
Non sono del parere di fare dei nostri alunni delle specie di invertebrati, bisogna ridare ai giovani il senso dell’impegno, dell’energia, la consapevolezza positiva delle relazioni interpersonali.
Oggi i ragazzi vivono seduti davanti al televisore, capisce quanti problemi abbiamo di fronte? Dobbiamo creare delle condizioni.
Il nostro mondo, quello della scuola, non avvicina all’uso delle armi e alla violenza, sono ben altri i mondi più pericolosi e subdoli che lo fanno. L’Esercito è una meritevole Istituzione della Repubblica.

da PeaceReporter di Alessandro Micci

Sudafrica, la bustina miracolosa


E' come un filtro del tè ma trasforma l'acqua sporca in perfettamente potabile

Circa un miliardo di persone nel mondo non ha accesso a fonti d'acqua potabile e l'acqua contaminata uccide più uomini di tutti i tipi di violenza messi insieme, guerre comprese (fonte: Unep). Nel tentativo di trovare una soluzione al problema, un gruppo di ricercatori dell'Università Stellenbosch del Sud Africa ha sviluppato uno speciale filtro a forma di bustina di tè, che inserito nel collo di una bottiglia trasforma acqua sporca in acqua perfettamente potabile. Maneggevole, pratica e priva di rischi di ricontaminazione, la bustina high-tech sudafricana ha tutte le carte per diventare una grande invenzione.

Il designer che ha ideato l'innovativo filtro, è il professor Eugene Cloete, microbiologo e preside della facoltà di scienza dell'ateneo. Ex vicepresidente esecutivo dell'International Water Association, Cloete ama pensare in grande.La sua scoperta, frutto di anni di ricerca sulla purificazione dell'acqua e di studi avanzati di nanotecnologia e microbiologia alimentare, ha l'ambizioso obiettivo di offrire alle comunità sub sahariane che non hanno accesso a fonti d'acqua potabile la possibilità di bere, in modo semplice e al costo di mezzo cent (0,005 dollari è il prezzo di un filtro-bustina, escluse le spese per la manodopera e la distribuzione). "In Africa" afferma Cloete "si registrano più del 90% di tutti i casi di colera del mondo e 300 milioni di persone nel continente non possono dissetarsi. Dovevo fare qualcosa".

Un indice di rischio sull'acqua realizzato lo scorso giugno da Maplecroft, società di consulenza inglese specializzata nel risk management, mostra che su 165 Paesi analizzati, quelli dell'Africa - guidati da Somalia, Mauritania e Sudan- dispongono delle riserve di acqua più precarie del mondo.

Un filtro miracoloso - Il filtro di Cloete assomiglia a una bustina di tè non solo per forma e dimensione, ma anche per il materiale con cui è fatto: lo stesso biodegradabile dei sacchetti aromatici che si comprano al supermercato. Solo che, al posto di una miscela di foglie, il filtro contiene granuli di carbone attivo in grado di rimuovere in pochi istanti ogni traccia di composto chimico. Basta un solo filtro per purificare un litro dell'acqua più inquinata e renderla potabile al 100%. Cloete è convinto che la sua invenzione rappresenti un vero passo avanti perché si basa su una tecnologia decentralizzata, sfruttabile in ogni momento da chiunque.

L'innovativa invenzione è oggi al vaglio dell'ufficio brevetti del Sud Africa e, se tutto andrà bene, sarà in commercio nei prossimi mesi. Già persuase dell'utilità dell'invenzione, alcune agenzie umanitarie - tra cui quelle del Pakistan recentemente alluvionato - hanno già fatto richiesta per comprare il filtro non appena partirà la produzione.

Hope Project - Il filtro dell'Università Stellenbosh fa parte del progetto Hope, che -come dice il nome- mira ad accrescere la speranza di vita in Sud Africa e nel resto del continente attraverso alcune iniziative di sviluppo. Come ad esempio la fondazione di una scuola, l'Ukwanda Centre for Rural Health (ukwanda è una parola in lingua Xhosa che significa "sviluppo", ndr), che si occupa della formazione dei praticanti dottori e del personale medico nelle zone rurali della Provincia del Capo occidentale.

da PeaceReporter di Camilla Mastellari

lunedì 27 settembre 2010

Dati Google: primato italiano nella censura di YouTube

L’Italia è di gran lunga il Paese del mondo che richiede la cancellazione di video da YouTube. Secondo i dati resi pubblici da Google nell’ambito del loro “ Rapporto sulla trasparenza“, nei primi sei mesi del 2010 il colosso di Mountain View ha ricevuto nel complesso 49 richieste di cancellazione di 1.639 elementi dal portale di condivisione video. Si tratta di quasi il 70 percento di tutti i video di YouTube dei quali è stata richiesta la cancellazione in tutto il mondo (2.372).
Ben 37 delle 49 richieste di cancellazione di video sono arrivate da entità private e solo 12 dall’autorità giudiziaria italiana. E i 1.639 video rappresentano il 99% di tutti gli elementi la cui cancellazione sia stata chiesta ai servizi di Google, inclusi cioè il servizio di ricerca, i blog, ecc.
Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, è stata richiesta la cancellazione di soli 169 video (il sette per cento del totale), sulla base di 77 richieste (41 della magistratura e 36 di privati), per una media di 2,1 video per ogni richiesta, contro una media di 34,4 video per richiesta in Italia.Prima di provare a dare una interpretazione, occorre mettere questa cosa in un contesto più ampio.
Già qualche mese fa Google aveva reso pubblici alcuni dati aggregati per Paese, relativi al secondo semestre 2009, sulle richieste di cancellazione di elementi da tutti i suoi servizi (Search, Books, Blogger, YouTube ecc. ecc.), divisi per richieste delle autorità giudiziaria e richieste private e per servizio, corredati dalla percentuale di accoglimento “parzialmente o completo” delle richieste di cancellazione. Non c’era, tuttavia, alcun dato relativo al numero di “elementi” (items) la cui cancellazione era stata richiesta. Ora questi dati ci sono ed è possibile accedervi attraverso una mappa interattiva - non è possibile ovviamente fare un confronto con il semestre precedente.
Nel complesso i Paesi del mondo che hanno fatto una qualunque richiesta di cancellazione di elementi informativi dai servizi di Google sono solo 35 e 17 di questi hanno fatto meno di 10 richieste, per le quali non sono forniti dettagli quanto a servizio coinvolto o numero di elementi da cancellare. Uno, la Cina, proibisce a Google di fornire questi dati perché “considera le richieste di censura un segreto di stato” (!).  Dunque la classifica riguarda 17 Paesi.
Su cosa esattamente voglia dire questo primato italiano nella censura di YouTube possiamo fare solo delle ipotesi. La mia è che si tratti di un massiccio intervento dei canali televisivi che richiedono ed ottengono la cancellazione di clip video tratte dai loro programmi. Anche l’altissima media di elementi da cancellare per ogni richiesta sembra indicare che le richieste siano in gran parte di istituzioni che hanno interessi plurimi.
Ma perché solo in Italia c’è questa incidenza? Perché negli Stati Uniti, un Paese con il sestuplo degli abitanti dell’Italia e un’offerta televisiva incomparabile, queste richieste di cancellazione “di massa” non esistono?
Una possibile spiegazione potrebbe essere che gli utenti americani (e inglesi, francesi, canadesi, australiani ecc.) copino di meno dalla televisione. Un’altra spiegazione è che YouTube si accorga con più facilità delle violazioni dei diritti dei prodotti della televisione di altri Paesi e procedano d’ufficio alla cancellazione senza attendere la richiesta degli interessati.
Una terza spiegazione potrebbe essere che la Televisione italiana, quella con la T maiuscola cioè tutti i canali, abbia un ruolo incomparabile sul piano economico, sociale e politico con quello che altre televisioni hanno in altri Paesi — e che questo si mostri anche nelle richieste di censura.

Camerata Fini o duce Berlusconi? L’estrema destra sceglie il premier


L’eventualità di elezioni politiche anticipate nella prossima primavera sta agitando l’estrema destra. Come sempre, d’altronde, all’avvicinarsi di simili scadenze. Una tendenza ormai storica, segnata da fugaci tentativi di ricomposizione del frastagliatissimo panorama di sigle e movimenti, da inascoltati appelli all’unità d’area e da ennesime nuove microscissioni. Ma soprattutto dai tentativi di trovare un accordo, ieri con Forza Italia, oggi con il Pdl.
Chi si è già accasato è il piccolo partito di Francesco Storace, La Destra, un tentativo di riedizione del vecchio Msi di almirantiana memoria, che ha inglobato i residui del Fronte sociale nazionale di Adriano Tilgher (gli ex di Avanguardia nazionale), e per tempo ha stipulato un accordo direttamente con Silvio Berlusconi, intervenuto di recente, il 18 settembre scorso a Taormina, a benedire l’alleanza in occasione del comitato centrale del partito di Storace.Ormai Gianfranco Fini non è più in grado di porre veti e, d’altro canto, pur con risultati minimi (lo 0,7% su scala nazionale), se si eccettua il Lazio (due eletti con il 4%), La Destra aveva già partecipato alle ultime elezioni regionali nelle coalizioni guidate dal Pdl.
Forza nuova sta invece vivendo una situazione alquanto difficile, attraversata da una profonda crisi. Molti i segnali negativi provenienti dal basso. A Napoli la base forzanovista, sui blog e nelle sezioni, sta duramente contestando la gestione politica e anche economica del coordinatore regionale.
In Calabria, la sezione di Reggio è passata nel Pdl, aderendo all’area del presidente regionale, Giuseppe Scopelliti, l’ultimo segretario nazionale del Fronte della Gioventù.
Così in Lombardia, dove a luglio, almeno un terzo dei militanti di Milano, Bergamo, Pavia e Varese se ne è andato per aderire al Movimento patria nostra: un’associazione culturale costituitasi a Roma e recentemente trasformatasi in organizzazione politica, con il riutilizzo del vecchio simbolo di Ordine nuovo, con tanto di ascia bipenne.
Anche per questo Roberto Fiore, dopo essere approdato negli ultimi tempi a una linea di intransigente critica dell’attuale governo, tacciato di essere composto da «corrotti, mafiosi e massoni» (è stato anche stampato un manifesto con questo titolo con sotto le foto di Berlusconi, Bossi, Fini e Dell’Utri), nelle scorse settimane, secondo alcune indiscrezioni, si sarebbe incontrato riservatamente con Giuseppe Ciarrapico e Alessandra Mussolini per proporre a Berlusconi la desistenza di Fn, in cambio di almeno un deputato eletto come indipendente nel Pdl.
L’intenzione di Roberto Fiore sarebbe quella di candidare il fratello avvocato, Stefano. A Milano, oltretutto, in Forza nuova sono ormai in molti quelli che contestano la sudditanza alla “destra sociale” di An-Pdl e in particolare ai suoi dirigenti milanesi.
Tra gli altri l’europarlamentare Carlo Fidanza.
Costoro stanno infatti a loro volta premendo in favore di una desistenza di Fn alle prossime elezioni comunali. Le contestazioni promosse da sparuti gruppi di militanti di Forza nuova ai ministri Roberto Maroni e Giorgia Meloni (a Roma alla festa dei giovani del Pdl), ma anche a Como contro Marcello Dell’Utri, alla presentazione dei falsi diari del Duce, vanno tutte lette come tentativi di pressione.
La Fiamma tricolore si è invece spaccata in due: da una parte il segretario nazionale Luca Romagnoli, in assoluto stato confusionale, al punto di aver provato improbabili approcci con i finiani (tramite il vecchio cassiere del Msi Donato la Morte), dall’altra Fiamma futura del naziskin veneto Piero Puschiavo, che sta per confluire ne La Destra.
Si aspettano ancora le mosse di Casa Pound.
Ma lì la sponda con il Pdl passerà ancora una volta per i buoni uffici di Marcello Dell’Utri. Il tempo dirà.

da Indymedia

Urla nel silenzio dell'"ergastolo ostativo" Nelle celle dove si distrugge la speranza

Per 1.200 detenuti in Italia sono di fatto cancellati tutti i diritti e i benefici durante la detenzione previsti dalla legge per buona condotta. I volontari denunciano: "Così svanisce ogni ipotesi di reinserimento e sincero pentimento"

di GIULIA CERINO
ROMA - Sono circa 1200 uomini e donne, soprattutto meridionali, colpevoli di reati di stampo mafioso e condannati al cosiddetto "ergastolo ostativo", che preclude - di fatto - ogni beneficio durante il periodo di detenzione. I permessi premio, di necessità o la liberazione condizionale sono concessi molto di rado e solo a chi collabora con la giustizia. Giusta o sbagliata che sia, questa disposizione rende vano ogni possibile reale pentimento interiore e distrugge nei detenuti ogni speranza di reinserimento nella società.A sostenerlo non sono soltanto le numerose associazioni di volontariato che operano nelle carceri, ma soprattutto la maggior parte degli operatori penitenziari: direttori e agenti di custodia. "Nella pena che scontano - spiegano i volontari che operano nel carcere di Spoleto - non c'è nulla di costruttivo e anzi ciò a cui sono sottoposti è inumano. Le loro sono strade senza uscita, ostacolate dalla contraddizione - di cui il sistema penitenziario italiano si fa portatore - tra la forma detentiva perenne ed i fini rieducativi esposti nell'art. 27 della Costituzione, dove si dice che 'le pene devono tendere alla rieducazione del condannato'.

Percorsi sbarrati. Con questa consapevolezza è stato girato il video Percorsi sbarrati 1, un filmato-manifesto prodotto dagli ergastolani e inaugurato con la campagna Mai dire mai per l'abolizione della "pena senza fine". L'idea è sorta all'associazione Pantagruel 2, nata nel 1986 come cooperativa culturale. A raccontarla, nel video, l'accento sardo di Mario Trudu in carcere dal 1979 e le immagini dei carcerati di Spoleto. La pena a cui sono sottoposti i detenuti ostativi - a prescindere dalla colpa di cui si sono macchiati - è contraria alle leggi dello Stato. Questo è il messaggio contenuto nel video su Youtube. E questo è quello che anche gli operatori sociali e i volontari che prestano assistenza nelle carceri d'Italia vogliono che arrivi a chi il carcere non lo conosce.

Solidarietà e amicizie virtuali. Per rendere la detenzione meno amara e anzi, darle un senso, i volontari di Pantagruel hanno dato vita a una serie di progetti volti al reinserimento nella società degli ergastolani e alle ergastolane d'Italia. Perché anche se forse non vedranno mai la luce, è giusto continuare a sperare e a fare come se, un giorno, avverrà. La Poesia delle bambole 3 "Educare con gli asini" e il progetto "Bruno Borghi" sono solo alcune iniziative dell'associazione. Ma ce ne sono altre, più specifiche, sorte apposta per sostenere la causa. Informacarcere 4, per esempio, è il portale dove i detenuti - soprattutto toscani - scrivono cercando contatti con l'esterno.





Il "cerca lavoro". Per uno scambio reciproco e per allacciare rapporti - seppur virtuali - di amicizia. Nella sezione "realtà del carcere" c'è uno spazio dedicato alle richieste e alle offerte: i detenuti - a cui è concesso - cercano lavoro, consigli, consulenze legali, corrispondenza per amicizia o per unione di coppia. Vendono i loro prodotti artigianali e richiedono libri, giornali, francobolli e nastri di musica. La sezione Posta Diretta permette invece agli utenti di rivolgere direttamente delle domande ai carcerati, che rispondono. Carmelo Musumeci, in prigione da venti anni, è uno di questi. Nato in Sicilia, è un ex capo della mafia versiliana e ha ucciso un uomo. Ora è un poeta e non è mai uscito di prigione. "Tempo fa - racconta su Informacarcere - avevo chiesto al Tribunale di Sorveglianza qualche ora d'aria ma 'le motivazioni affettive sottese alla richiesta avanzata dal Musumeci, encomiabili e rispettabili sul piano umano non sono applicabili'". Permesso respinto.

Il reinserimento che non c'è. "Si continua a parlare di pentiti ma in realtà si dovrebbero chiamare collaboratori di giustizia, perché è evidente che la collaborazione è una scelta processuale mentre il pentimento è uno stato interiore. In realtà sono gli anni di carcere e la sofferenza che portano ad una revisione interiore sugli errori del passato. Tutto questo nonostante un sistema carcerario che abbandona i detenuti a se stessi, non agevola la rieducazione e, nel caso degli ostativi, esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale". Nadia Bizzotto, volontaria della comunità "Papa Giovanni XXIII", fondata nel 1973 da don Oreste Benzi, il carcere lo conosce bene.

Non si tratta di tirar fuori i delinquenti. "Piuttosto, per ottenere benefici, agli ergastolani comuni bastano diritto e merito. Per gli ostativi non si arriva al merito. Allora qui il principio rieducativo non c'è proprio e il famoso articolo 27 non serve a niente". Si domanda che senso ha tenere in galera uno tutta la vita con la prospettiva di non uscire mai, Nadia. Lei, come altri, lavora da intermediaria e combatte per rendere 'utilè la detenzione a vita. "Siamo stati nel carcere di Spoleto la prima volta nel 2007 accedendo come esterni che entrano per fare colloqui. La nostra battaglia - spiega - si chiama 'Urladalsilenzio 5'". Con lo stesso nome, è nato anche un blog , che con il tempo è diventato la voce degli ergastolani che con lettere, poesie, testimonianze raccontano l'assenza di ogni speranza. "Il tentativo è quello di far conoscere a tutti la realtà dell'ergastolo ostativo. E' un modo per dare una possibilità a chi ne avrebbe diritto", spiega Bizzotto.

La legge Martelli-Scotti. "La sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario" nei confronti dei carcerati - anche non ergastolani - accusati di associazione mafiosa, fu stabilita nel maggio del 1992. Il decreto Martelli-Scotti, pochi giorni dopo che Giovanni Falcone veniva fatto saltare in aria con la moglie e la scorta, inaspriva le pene già contenute nell'articolo 4 bis della legge antimafia del 1975. Con uno scopo: distruggere la rete malavitosa attraverso le confessioni dei detenuti. Da allora, per varie ragioni, da parte dei carcerati ostativi c'è stato soprattutto silenzio. In merito alla legge del '92, invece, non è mancata la polemica. "Mentre in alcuni paesi - Norvegia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia e Polonia per esempio - la detenzione a vita è stata abolita - spiegano i volontari della comunità "Papa Giovanni XXIIIesimo" - in Italia, unico Paese nel mondo, l'ergastolo puro si sconta per minimo 25 anni. Un provvedimento, questo, in contrasto con l'articolo 5 della Carta europea dei dritti dell'uomo che - in ogni caso - prevede che nessuno venga sottoposto a tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti".

da Repubblica

venerdì 24 settembre 2010

“CLANDESTINO DAY” SI MOBILITA ANCHE NARDO’


Cosa c’è di reale quando sentiamo parlare di scambi culturali, solidarietà, accoglienza?
In Italia ben poco direi, le leggi del nostro paese sono sempre più razziste e portano di conseguenza alla non interazione degli extracomunitari che arrivano nel nostro paese.
Non si può ignorare il fatto che degli esseri umani rischino la propria vita e quella dei propri figli per lasciarsi alle spalle territori in cui esistono soltanto guerra, fame, miseria e malattie per provare a crearsi una vita degna di tale nome.


Per dare voce a tutti i migranti del nostro paese ieri 23 settembre è stato
ilsecondo “CLANDESTINO DAY” circa 60 città (tra cui Nardò) e 500
organizzazioni si sono mobilitate nei modi più disparati per attirare l’attenzione dei
cittadini su un tema che i media nazionali troppo spesso trascurano, per
ricordare quel concetto spesso tralasciato degli uguali diritti di ogni
essere umano.
La sezione neretina di Sinistra Ecologia e Libertà ha escogitato uno
stratagemma tanto originale quanto efficace: dei cartelli con la scritta
volutamente provocatoria “OGNUNO E’ CLANDESTINO NESSUNO E’ CLANDESTINO” sono
stati posizionati in diversi punti della città e soprattutto alle varie
strade di accesso dov’è esposta la segnaletica “Nardò comune di pace” e “Nardò
città dell’ accoglienza”,proprio ad evidenziare il paradosso di una città che ha
la pretesa di presentarsi come accogliente ed aperta ma che troppo spesso
rimane indifferente all’argomento (facendo un esempio su tutti la situazione degli
immigrati irregolari che vengono sfruttati nella stagione estiva e non solo
per il duro lavoro nei campi, malpagati e in condizioni igienico-sanitarie oltre
ogni forma di degrado).
Al centro dell’attenzione in questa edizione della manifestazione è stato
posto ed evidenziato il duro lavoro che gli insegnanti, partendo dalle
materne per finire alle superiori, svolgono: loro hanno davvero il compito e la
responsabilità di mettere in pratica il processo di integrazione e
interazione tra culture e religioni e di certo non deve essere cosa facile considerando
che gli ultimi decreti o leggi vanno nella direzione contraria, rendendo il
dialogo molto più che difficile e distruggendo molte speranze di chi viene
rimpatriato, sviluppando anche una burocrazia che richiede un notevole spreco di tempo
per quanto riguarda il settore dell’impiego.
A volte mi capita di chiedermi se e quanto sarebbero diverse certe
situazione se riuscissi a vederle con l’ottica del mio bambino di soli 2 anni e mezzo.
Non mi riferisco solo al carico di responsabilità e doveri che noi adulti
siamo costretti a portarci addosso tutto il giorno come fosse uno zaino
invisibile, mi riferisco alla sua capacità di guardare senza quel velo di
ipocrisia, nervosismo e pregiudizio che invece abbiamo noi over 20 sugli
occhi, a quanto è semplice per lui interagire con il resto del mondo: quando sul
banchetto della sua scuola materna sfida ad una lotta tra dinosauri il suo
compagno non gli chiede da dove viene o quale siano la religione o la lingua
madre dei suoi genitori e prima di prendergli la manina non ne guarda di
certoil il colore.


Laura Ragogna

NARDO': SeL denuncia la politica antimeridionalista del governo nazionale

Il ricatto

500 milioni : tanti gli euro che perderebbero le ASL pugliesi senza il piano di rientro 2010-2012, le cui linee sono imposte dal governo nazionale e intese, in realtà, come una sorta di punizione/vendetta nei confronti della regione puglia, ‘colpevole’ di aver voluto avviare un modello nuovo di politica, che contrasta la precarizzazione dei rapporti di lavoro e mira a una modernizzazione del sistema dell’offerta sanitaria.

I tagli imposti alla puglia dal governo berlusconi riguardano la sospensione del processo di internalizzazione, il blocco delle assunzioni, il divieto di superare i tetti di spesa già concordati, la soppressione di circa 2250 posti-letto e la chiusura di 18 piccoli ospedali entro la fine dell’anno. nel piano di rientro imposto dal governo centrale è inoltre prevista l’introduzione del ticket di 1 euro su ogni ricetta e la riduzione della fascia di reddito per l’esenzione.

Alla puglia i 500 milioni negati spetterebbero di per sé e il paradosso che stiamo subendo sta nell’avere i soldi e non poterli utilizzare : in definitiva o si spendono i fondi europei o si rispetta il patto di stabilità. un vero e proprio ricatto imposto da fitto & co., alla faccia di quanto concordato tra i tecnici del ministero e della regione e puntualmente rimesso in discussione dal centrodestra, ostaggio del forte condizionamento della lega, entrambi determinati a ostacolare in tutti i modi l’affermarsi a livello nazionale dell’alternativo modello pugliese che vendola rappresenta. l’assedio con cui le misure di tremonti stanno ‘strangolando’ la puglia vede nei tagli imposti alla sanità l’ amaro risultato dell’ ‘embargo’ diretto contro la nostra regione.

La triste ineluttabile esecuzione delle misure volute dal governo vede il ‘sacrificio’ tra gli altri dell’ospedale neritino. sel nardò non può che unirsi al coro di proteste che si levano dal paese, ma invita i cittadini a forme di mobilitazione dirette contro i soli veri responsabili dell’ulteriore scippo perpetrato ai danni della nostra comunità dalla politica reazionaria e antimeridionalista del governo Berlusconi.

Claudia Raho
Circolo SeL Nardò

giovedì 23 settembre 2010

Sanità, Fiore: "Il piano di rientro è l’adeguamento dei servizi sanitari alla dotazione finanziaria del governo"


Parole grosse all’indirizzo di Rocco Palese da parte di una delegazione di lavoratori che era stata ricevuta dai capigruppo regionali

Il fuoriprogramma arriva alla fine, a leggi ormai approvate: il governatore Nichi Vendola e l’assessore Tommaso Fiore stanno uscendo dalla Consiglio regionale, dove poliziotti e carabinieri sono in assetto antisommossa. Si temono contestazioni per lo stop alle internalizzazioni. Invece sulla coppia VendolaFiore piovono applausi:

la giunta pugliese non si fida dopo che da Roma hanno fatto capire che il ddl in discussione non è adeguato alle condizioni poste per la firma del piano di rientro ed hanno chiesto, oltre che di fermare il turn over e di non sforare i tetti di spesa per le strutture private, di bloccare le procedure di internalizzazione, comprese quelle in corso che il testo della giunta escludeva. E infatti il testo viene modificato ma per essere blindato: le procedure in corso non si toccano e viene introdotta una clausola che fa decadere il blocco delle internalizzazioni nel caso in cui Tremonti decidesse di non firmare nemmeno a ottobre. Quegli applausi si spiegano così, inimmaginabili solo poche ore prima, quando con via Capruzzi bloccata dai manifestanti, una delegazione di lavoratori era stata ricevuta dai capigruppo regionali ed erano volate parole grosse all’indirizzo di Rocco Palese, il capogruppo del Pdl. «Sono stato minacciato e accusato di cose infamanti e il responsabile morale e materiale è Vendola», dirà Palese in aula: riceverà la solidarietà del centrodestra, del presidente del Consiglio, Onofrio Introna, del Pd. Anche del governatore.

Ma ieri il Vendola della situazione è stato Fiore che ha tracciato la linea e rimesso la giunta con la schiena dritta al tavolo ministeriale: «Il piano di rientro è l’adeguamento dei servizi sanitari alla dotazione finanziaria del governo. Non dipende da sperperi, sprechi o altro. Il piano di rientro dipende — ha aggiunto Fiore — dal fatto che il governo dice ‘non dovete spendere un euro in piu’ di quello che io vi dò. E questo per noi significa tagliare servizi. La sospensione delle norme — ha spiegato l’assessore — è un atto che oltre che creare un danno ai lavoratori e alla Regione è una grave perdita di autonomia, uno scippo di decisionismo che il governo centrale ha ordito nei confronti della Puglia. Faremo il possibile per approvare quanto prima il piano di rientro — ha concluso Fiore — ma un attimo dopo faremo il possibile per riprendere il cammino di civiltà e di rispetto dei diritti al quale noi siamo molto affezionati».

Vendola racconta al Consiglio la giornata kafkiana di fine luglio, quella della firma negata. È chiaro che non si fida. E lo dice: «Come faccio a fidarmi? Il film è chiaro, per uno o mille peli nell’uovo, saremo castigati. Tremonti ci ha definiti una epidemia da bloccare». Da qui il tentativo di coinvolgere l’opposizione nella sottoscrizione di un ordine del giorno con cui chiedere al governo di stralciare dalle richieste il blocco delle internalizzazioni che anche il centrodestra pugliese aveva votato a febbraio. L’opposizione che si è astenuta sulle due leggi (internalizzazioni e riserve finanziarie per i deficit asl), ed ha abbandonato l’aula al momento del voto sull’ordine del giorno. «Il piano di rientro — ha detto Palese — è frutto delle inadempienze della giunta Vendola che ha usato le Asl come slot machine per favorire l’aumento del consenso elettorale della sinistra». E sulle internalizzazioni? «Nulla in contrario — ribatte Palese — ma che almeno avvengano nel pieno rispetto delle leggi».

mercoledì 22 settembre 2010

Vendola intervistato da Enrico Lucci alle Iene

La crisi unisce, l'università chiama


Le reti studentesche romane accolgono l'appello "Uniti contro la crisi" e indicano la Sapienza come luogo dove dare vita ad una grande assemblea pubblica, capace di garantire continuità al percorso che si aprirà il 29 settembre e procederà fino alla grande manifestazione del 16 ottobre

Interrogare la crisi in Italia vuol dire prima di tutto cercare di individuare la strategia di risposta al modello sociale che il governo sta cercando di mettere in campo.
Il percorso intrapreso dal governo, se all'inizio poteva sembrare disordinato e confusionario, è ormai molto chiaro. L'ultimo passaggio, l'accordo separato di Pomigliano, ha reso ai nostri occhi più evidente quale sia la strategia italiana di risposta alla crisi: attacco alle garanzie e alla contrattazione nazionale, legittimazione della precarietà come forma di vita, ridefinizione complessiva della relazione capitale-lavoro. Pensiamo che questo però sia solo un secondo step di un'unica strategia, cominciata due anni fa con il definanziamento massiccio di scuola e università e arrivata al culmine con l'invito del ministro Sacconi ai giovani laureati di dedicarsi a «lavori umili e manuali». Una strategia complessiva che, innestandosi in un ventennale processo di subordinazione del lavoro e dei saperi alle logiche della precarietà, della mercificazione e del profitto, mira a distruggere qualunque capacità contrattuale o garanzia, siano esse individuali o collettive.I tagli del governo e il Ddl Gelmini, attraverso la dequalificazione della didattica, la precarizzazione della ricerca, l'attacco al diritto allo studio e la torsione in senso autoritario e aziendale della governance, svuotano l'università di saperi, qualità e diritti, desertificando il presente e il futuro della nostra generazione esattamente quanto la legge 30 e la riforma del sistema contrattuale abbattono il sistema di tutele in grado di fornire dignità e speranza dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Proprio il mondo della formazione, attraverso il movimento dell'Onda, si è interrogato per primo sulla crisi e sulle sue conseguenze. Crediamo che «Noi la crisi non la paghiamo» sia uno slogan ancora attuale, laddove due anni fa è stato, nella sua viralità e nella sua larga diffusione, la prima forma pubblica di rifiuto della crisi da parte di migliaia di giovani, studenti, precari. Non si è trattato in nessun caso di una resistenza conservatrice, ma di un'istanza composta al suo interno da molti temi e rivendicazioni, dall'immaginazione di una nuova funzione sociale della scuola e dell'università, alle battaglie per una via di fuga dalla precarietà lavorativa ed esistenziale, al tentativo di porre nell'agenda del dibattito pubblico il tema del welfare e del reddito garantito. Un movimento, quello dell'Onda, che è si è posto subito il problema di generalizzare l'opposizione alla crisi e che ha provato a parlare al resto dei movimenti e delle lotte sociali.
L'attacco congiunto ai luoghi del lavoro e della formazione ci impone di riaprire in quest'autunno possibili fronti ricompositivi di resistenza alla crisi, provando a immaginare un nuovo orizzonte comune per la stagione di lotte che intendiamo aprire. Laddove viene messo in crisi l'intero complesso dei diritti che i movimenti e i conflitti sono stati in grado di strappare negli ultimi quarant'anni, la nostra prospettiva non può, evidentemente, attestarsi sulla semplice difesa dello status quo ante, ma deve tentare di costruire nuovi diritti, all'altezza dello stato di cose presenti. In quest'ottica, il ragionamento attorno alla difesa dei beni comuni e al superamento della contrapposizione tra le rivendicazioni sul reddito e quelle sul salario ci offrono l'opportunità di aprire una nuova stagione di riflessione e iniziativa.
Non possiamo che accogliere con estremo favore l'appello Uniti contro la crisi circolato in questi giorni (pubblicato domenica 19 settembre da il manifesto), sottoscritto da una serie di nomi impegnati nel vasto panorama delle lotte e dell'associazionismo, dei conflitti sui beni comuni e sui luoghi di lavoro, non fosse altro perché ne condividiamo l'urgenza. Ricomporre le resistenze, costruire connessioni tra tutte le lotte, provare ad immaginare ed esprimere una nuova prospettiva di futuro: crediamo che questo sia davvero il terreno decisivo su cui si giocherà la partita dell'autunno! Proponiamo che il mondo della formazione possa ospitare questa discussione, mettendo a disposizione di tutti i propri spazi, a partire dalle lotte che stanno già iniziando nei territori e che cresceranno nel corso dell'autunno. Dai precari della scuola, in lotta contro i licenziamenti di massa e la completa dequalificazione della scuola pubblica, che in questi giorni stanno protestando in molte città italiane, ai precari della ricerca che difendono la dignità e la centralità di chi lavora per l'innovazione al servizio di tutti, ai ricercatori strutturati, che, in opposizione al disegno di riforma della Gelmini e ai tagli del governo, in molti atenei hanno dichiarato l'indisponibilità ad assumere incarichi didattici, disvelando così una situazione che da anni caratterizza le università italiane, quella di un sistema formativo e di ricerca fondato sul lavoro gratuito e non riconosciuto.
La nostra generazione, la prima a vivere in maniera totalizzante la precarietà come forma dominante dei rapporti di lavoro e come cifra di disciplinamento delle vite quotidiane, si trova al centro di questo attacco congiunto al lavoro e ai saperi, e deve avere il coraggio di cogliere la sfida imposta dalla crisi, inserire la difesa dell'università pubblica all'interno di una vertenza generale sul futuro e interpretare un ruolo di primo piano nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo, equo e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, a partire dalla costruzione di un sistema di welfare universale in grado di garantire l'autonomia sociale alla generazione precaria.
Per questo saremo protagonisti delle giornate del 29 settembre (mobilitazione internazionale indetta dai sindacati confederali europei contro le politiche di austerità imposte dall'Ecofin e accolte da tutti i governi, compreso il nostro) e del 16 ottobre (manifestazione nazionale indetta dalla Fiom), e proponiamo, in risposta alle sollecitazioni dell'appello Uniti contro la crisi, la convocazione di un'assemblea generale dei movimenti e delle lotte sociali all'Università La Sapienza di Roma il giorno 17 ottobre, alle ore 11 presso la facoltà di Scienze politiche. Un momento aperto e inclusivo, in grado di partire dai temi della conoscenza per costruire un discorso complessivo su crisi, precarietà, welfare, ambiente e beni comuni, per comporre un fronte comune di resistenza e lotta, per rilanciare un ciclo generale di mobilitazioni sociali.

UniRiot - Roma
Link - Roma
Uds - Roma

da GlobalProject

Millenium, il festival della vacuità


Alle Nazioni Unite si discute dei Millenium Development Goals: il valzer dei capi di stato su parole e promesse. Ne abbiamo parlato con Loretta Napoleoni.
A New York, nel Palazzo di Vetro, tutto si sta svolgendo secondo il cerimoniale e il copione che accompagna il grande carrozzone dei buoni intenti, delle belle promesse e delle parole vacue: pacche sulle spalle, complimenti reciproci, incoraggiamenti a fare di più. Nel 2000, quando i capi di governo di 192 Paesi delle Nazioni Unite hanno sottoscritto gli "Otto obiettivi" dei Millenium Development Goals (Mdgs) per assistere le nazioni più povere, circa 720 milioni di esseri umani combattevano e resistevano alla miseria più degradante, sopravvivendo senza accesso all'acqua potabile e alla sanità di base, sotto tetti che sfidano le leggi dell'architettura, dove ogni pioggia o ogni colpo di vento rappresenta l'alea della scommessa sulla tenuta degli stessi. Allora si pensò che fosse giunto il momento di correre in aiuto di almeno cento milioni di essi. Un numero che rappresenta un mistero, come sostiene Meghna Abraham di Amnesty International, preso forse in prestito da un precedente progetto che si chiamava ‘Cities without Slums' - ‘Città senza Baraccopoli'. Sebbene 227 milioni di persone hanno lasciato le baraccopoli e i degradi della periferia - si legge in un recente rapporto delle Nazioni Unite - i "paria della società" che vi vivono oggi sono comunque aumentati di sessanta milioni. Forse per la grave crisi del sistema finanziario che ha colpito in tutto il globo, come affermato dal presidente del Fondo Monetario Internazionale? Sicuramente. Ma al Palazzo di Vetro deve essere sfuggito un altro parametro fondamentale: il naturale incremento della popolazione mondiale e, si sa, i poveri generano poveri. Secondo le stime di alcuni esperti, tra il 2015 (termine stabilito per il raggiungimento degli Mdgs) e il 2020, i numeri saranno praticamente raddoppiati e quelli che vivranno in condizioni di povertà estrema raggiungeranno quota 1,4 miliardi.

Dal pulpito delle Nazioni Unite, il Segretario generale Ban Ki-moon ha lanciato il suo sermone invitando i paesi ricchi a non far quadrare i propri bilanci a spese dei poveri. Perché nonostante i buoni propositi, la Spagna di Zapatero ha già ridotto il budget destinato al soccorso dei più poveri tanto per il 2010, quanto per il 2011 impegnandosi però a perseguire lo scopo di destinare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo (pil) alle politiche di sostegno (obiettivo già raggiunto dai Paesi scandinavi, Olanda, Belgio e Lussemburgo - mentre l'Italia è ancora sotto lo 0,1 per cento) e il Canada, addirittura, è in procinto di congelare del tutto l'erogazione degli aiuti per arginare il deficit che sta attanagliando nell'immobilismo il paese nordamericano.

A provocare disorientamento è stato l'intervento del presidente francese Nicholas Sarkozy (che si è ben guardato dal fare il minimo cenno alle espulsioni dei rom): "Perché aspettare? Siamo qui, decidiamoci!". La sua proposta è quella di introdurre una sorta di Tobin tax, tassare cioè tutte le transazioni finanziarie (quelle speculative a breve termine in maniera più severa) destinando le entrate alla comunità più svantaggiate. Per chi è all'asciutto di economia le parole di Sarkozy, pronunciate con la giusta dose di passione, iniettano fiducia e speranza. PeaceReporter ha chiesto a Loretta Napoleoni, insigne economista, quanto sia fattibile la ricetta Sarkozy: "La Tobin tax, se applicata bene, è una tassa che funziona, ma sarà aggirata facilmente da chi è abituato a muoversi nei paradisi fiscali". La condizione essenziale, perché possa parlarsi di Tobin tax - secondo Loretta Napoleoni - è che ci sia "trasparenza". Bisognerebbe strutturare il tutto in modo tale che le transazioni avvengano alla luce del sole e non sottoterra a un livello nascosto. "Prima di arrivare a questo tipo di soluzione - continua l'economista - è necessario pensare, a livello comunitario, a una legislazione che imponga la trasparenza in certe operazioni e tenere a freno gli strumenti della ‘finanza creativa'". "Bisognerebbe limitare il ricorso ai derivati, per esempio, che permettono di rendere ‘opachi' i bilanci". Quindi ancora una volta, solo belle parole impossibili da applicare nella pratica? - chiediamo alla Napoleoni -. "Ma sì, si tratta della solita propaganda politica. In realtà, la finanza è avulsa dalla politica", conclude l'economista lasciando sottendere che i politici non hanno gli strumenti e le competenze per controllare la finanza e che chi muove i capitali ha le mani completamente libere.

di Nicola Sessa da PeaceReporter

Cannabis: un opuscolo pieno di bugie

Da sempre il motto dei fascisti è BASTA RIPETERE UNA BUGIA TANTE VOLTE PER FARLA DIVENTARE UNA VERITA' (Goebbels)

Terrorismo psicologico sulla cannabis

Riceviamo dal “Grifone” la notizia di una pubblicazione proibizionista che può essere considerata una sintesi del terrorismo psicologico, esercitato nei confronti di genitori ed insegnanti.

In NDR le osservazioni del responsabile del “Grifone” che mette in risalto di come questa campagna sia volutamente disinformante e mirata a mantenere l’ignoranza a favore della criminalità organizzata e dei forti poteri che dal proibizionismo traggono enormi benefici.
Buona lettura

In questo modo viene presentato il prezioso manoscritto:

“OPUSCOLO INFORMATIVO DA SCARICARE E STAMPARE”
di Claudio Risé — tratto dal libro “Cannabis & Spinello: tutta la verità + ciò che non viene detto. Dieci consigli per non perdere la testa e a volte la vita”

1 – LA CANNABIS NON E’ UNA DROGA LEGGERA.
E’ una vera droga, con principi psicoattivi, pericolosa per il cervello e per il ! corpo.
Può creare dipendenza e può condurti all’uso di sostanze ancora più dannose, come EROINA E COCAINA. I TOSSICODIPENDENTI INIZIANO SEMPRE CON UNO SPINELLO
(NDR: Non è vero, è stato dimostrato che questa è una falsa credenza.)

2 – LA CANNABIS E’ PERICOLOSA PER IL CORPO.
Produce disturbi all’apparato respiratorio (fino al tumore ai polmoni, alla gola e all’apparato digerente),all’apparato cardiocircolatorio(può causare l’INFARTO), al sistema ormonale (danneggiando lo sviluppo sessuale e la capacità riproduttiva), al sistema metabolico(provocando disturbi DELL’ALIMENTAZIONE E DEL SONNO)
(NDR: non è vero, anzi: il THC ed altri Cannabinoidi presenti nella Cannabis PREVENGONO il tumore al cavo orale e/o in genere dove non presente, ed aiutano la battaglia al cancro stesso meglio della Chemioterapia, intaccando SOLO le cellule malate e non tutte quante, nella vana speranza di intaccare, tra le altre, anche quelle malate; inoltre il THC è un potentissimo BRONCODILATATORE, utilissimo ai malati di asma; non esistono studi che provino effetti deleteri sulla riproduzione e sullo sviluppo sessuale degli assuntori, inoltre il THC è un potentissimo sti! molatore dell’appetito, utile sia agli anoressici che ai malati di cancro, per stimolare l’appetito post-chemioterapia; il suo potere rilassante, inoltre, AIUTA persone sofferenti di insonnia ad avere un riposo migliore).

3 – LA CANNABIS E’ PERICOLOSA PER IL CERVELLO.
Soprattutto per quello degli adolescenti, che è in via di sviluppo. Il principio attivo della Cannabis (THC), danneggia le cellule cerebrali provocando RIDUZIONI NELLE CAPACITA’ COGNITIVE, PROBLEMI DI MEMORIA E CONCENTRAZIONE, APATIA E DEMOTIVAZIONE, DISTURBI NELLA CAPACITA’ DI FORMULARE DELLE IDEE E RISOLVERE PROBLEMI. SI ABBASSA COSI’ IL RENDIMENTO SCOLASTICO, SPORTIVO E PROFESSIONALE.
(NDR: Tutto quanto descritto nel Punto 3, è da leggersi all’opposto….. ci sono persone, poche a dire il vero, che con mezzo bicchiere di birra sono ubriache, al contrario della maggior parte a cui invece ne serve almeno un litro o più per raggiungere tale risultato.

4 – LA CANNABIS E’ PERICOLOSA PER LA SALUTE MENTALE.
Può produrre ANSIA E DEPRESSIONE, ALLUCINAZIONI VISIVE ED AUDITIVE, DEPERSONALIZZAZIONE E DEREALIZZAZIONE, ATTACCHI DI PANICO E PARANOIA. Inoltre l’uso prolungato può provocare più tardi gravi malattie mentali, come PSICOSI E SCHIZOFRENIA
(NDR: Tutto quanto relativo al Punto 4, è da tenere in considerazione per l’LSD e non per il THC; inoltre il THC CURA la schizofrenia e non la provoca…..).

5 – PER CANNABIS SI PUO’ ANDARE IN OVERDOSE E MORIRNE.
Con Hashish e Marijuana contenenti alte concentrazioni di principio attivo, o per particolare affaticamento o combinazione con alcol, può svilupparsi un’intossicazione acuta: TREMORI E AGITAZIONE MUSCOLARE, DIFFICOLTA’ DI RESPIRAZIONE, PALPITAZIONI ED ECCESSIVA TENSIONE DEL SISTEMA CARDIOVASCOLARE, FINO ALLA PERDITA DI CONOSCENZA
(NDR:Partendo dal fondo, si: assumere in concomitanza THC ed alcol può portare l’assuntore al “collassamento” – si è omesso di dire che spesso si arriva anche a vomitare…. – , stà all’assuntore stesso EVITARE L’ASSUNZIONE CONCOMITANTE; sull’overdose è vero anche, si è però omesso – GUARDA IL CASO… – di dire che per rischiare un’overdose di THC, lo spinello in questione dovrebbe contenere circa 15 CHILI di CANNABIS….Vi lascio immaginare le dimensioni di questa gigantesca canna….).

6 – LA CANNABIS ROVINA LE TUE RELAZIONI CON GLI ALTRI (E CON IL/LA PARTNER).
Se inizialmente facilita lo stare in compagnia con gli amici, poi ti chiude nella solitudine, TI RENDE ASSENTE, SOSPETTOSO, AGGRESSIVO O VIOLENTO
(NDR: … Sul fatto di rovinare i rapporti con il//la partner, replico che lo fa quanto avere con questo/a altri interessi diversi, nè più nè meno: il segreto di un buon rapporto di coppia, sta nel fatto di avere interessi comuni per poterli condividere, e in nient’altro; sul resto, ho conosciuto molte persone nella mia vita che abbiano consumato o tutt’ora consumino Cannabis, e nessuno di questi è mai stato un violento, semmai l’opposto; inoltre ricordo che i nostri predecessori sono stati gli Hippies, anche detti “I FIGLI DEI FIORI”, persone tutt’altro che violente e/o problematiche….).

7 – LA CANNABIS METTE A RISCHIO LA TUA VITA, E QUELLA DEGLI ALTRI, SE LA FUMI E POI TI METTI ALLA GUIDA.
E’ la sostanza più spesso trovata nel sangue di vittime di incidenti stradali. AGISCE SUL CERVELLO PROVOCANDO APPANNAMENTO DELLA VISTA E DELL’UDITO, DIMINUZIONE DELLA VIGILANZA, RALLENTAMENTO DEI RIFLESSI E DELLE REAZIONI, DIFFICOLTA’ NELLA COORDINAZIONE MOTORIA E NEL CONTROLLO DELLA TRAIETTORIA DEL VEICOLO
(NDR: E qui in parte si può anche essere d’accordo: vero è che se la si vuole assumere, lo si dovrebbe fare in ambiti privati e non per la strada, senza poi doversi mettere alla guida, onde evitare rischi per se stessi e per il prossimo; gli effetti descritti in questo settimo punto, però, sono maggiormente relativi all’alcol CONSUMATO DA SOLO SENZA AGGIUNTA DI NESSUN ALTRA SOSTANZA…..sul fatto invece che il THC sia la sostanza più spesso rinvenuta nelle analisi di vittime di incidenti stradali, è dovuto al! la maggiore persistenza nel sangue – e nelle urine… – di questa sostanza rispetto a quasi tutte le altre – solo il METADONE rimane nell’organismo per più tempo… – , cosa che non significa assolutamente che la persona che venga trovata positiva al THC durante le analisi, sia effettivamente sotto l’effetto della sostanza. Inoltre, per essere trovato positivo ad un test post-incidente, non è necessario avere causato l’urto: è infatti sufficiente ESSERE FERMO AD UN SEMAFORO, ESSERE TAMPONATO DA CHI SEGUE CHE, SCONTROSAMENTE, NON VOGLIA SAPERNE DI COMPILARE IL C.I.D.: all’arrivare delle Forze dell’Ordine sulla scena di un incidente, secondo il Codice della Strada, scattano automaticamente PER TUTTI I CONDUCENTI COINVOLTI IN UN INCIDENTE, LE ANALISI PER RINVENIRE ALCOL e DROGHE…).

8 – L’USO DI CANNABIS E’ STRETTAMENTE LEGATO ALLA DELINQUENZA.
Dietro ad uno spinello di pochi Euro ci sono intere organizzazioni di criminali: COMPRANDO UNO SPINELLO DAI I TUOI SOLDI A QUESTE PERSONE CHE UTILIZZANO ANCHE I BAMBINI COME SCHIAVI PER PRODURRE LA DROGA. L’USO DI CANNABIS, POI, PUO’ TRASFORMARTI IN UN DELINQUENTE: MOLTI RAGAZZI, DIPENDENTI DA QUESTA SOSTANZA, RACCIMOLANO IL DENARO CON FURTI, SPACCIO DI STUPEFACENTI, ESTORSIONI NEI CONFRONTI DEI PIU’ DEBOLI (BULLISMO)
(NDR: – Io pensavo che Giovanardi fosse il “più fuori” del gruppo, evidentemente mi sbagliavo… – Vagamente camuffati, questi sono i concetti espressi dal Marijuana Tax Act del 1937, U.S.A. …..Sui bambini: anche L’ADIDAS, per cucire i palloni, in India SFRUTTA BAMBINI DAI 3 AI 5 ANNI; cucire un pallone o fare dell’altro, non cambia le cose: lo sfruttamento è sfruttamento. Inoltre, se i consumatori finanziano attività criminali, è solamente grazie al ! Governo che preferisce “tenere la testa sotto la sabbia”, non guardare una fetta IMPORTANTE della Cittadinanza e tentare di risolvere il “problema” arrestando persone che nulla di male o di sbagliato hanno fatto se non andare contro una legge, sbagliata; se si desse modo e maniera alla cittadinanza di poter COLTIVARE le piante di Cannabis, oppure anche di POTER ACQUISTARE REGOLARMENTE infiorescenze o anche Hashish, in luoghi di Monopolio debitamente preposti, tutto quanto qui al Punto 8 descritto non sussisterebbe; la verità è che SONO I GOVERNI A GIRARE TALI ENTRATE ALLE ATTIVITA’ CRIMINOSE, E NON I CONSUMATORI).

9 – LA CANNABIS PUO’ ROVINARTI LA CARRIERA O FARTI PERDERE IL LAVORO.
La riduzione delle capacità cognitive come l’attenzione, la memoria può rallentare la tua carriera negli studi. Se hai un lavoro rischi di perderlo, per disimpegno e assenteismo, e se utilizzi macchinari puoi avere gravi infortuni o provocarli agli altri
(NDR: Evidentemente il Signor Risè, a corto di argomenti, ha ripreso quello che già aveva citato al PUNTO 3 – VEDERE SOPRA….. – ; vero è che potrebbe farti perdere il lavoro, ma non per le astruserie – ma forse era meglio scrivere stronzate… – qui al Punto 9 citate: infatti lo si può perdere a causa delle analisi delle urine che sempre più terziario si trova a dover affrontare periodicamente; tali analisi, come peraltro già commentato sopra al Punto 7, in relazione agli incidenti stradali, prevedono un controllo di quanto presente nell’organismo, e non di quanto effettivam! ente assunto in tempi recenti – un’analisi corretta sarebbe se questa andasse a ritroso di un massimo di sei ore, non certo di sei/otto settimane….).

10 – LA CANNABIS E’ UNA DROGA DA CUI SI PUO’ USCIRE.
Chiedendo aiuto ad amici autentici, insegnanti che stimi o ai genitori; medici e psicologi POSSONO AIUTARTI AD USCIRE DA UNA STRADA SENZA DIREZIONE. La felicità è molto di più di un’ora di risate (nemmeno garantite), comprata per pochi Euro, mandando la propria vita in fumo.
(NDR: A me non risulta che ci siano persone che abbiano dovuto frequentare una comunità per smettere di fumare Erba o Hashish: mi risulta invece che alcuni consumatori, post seconda denuncia, abbiano scelto un periodo da passare in comunità – generalmente lungo 4 o 5 anni… – per non dover affrontare le analisi per il rinnovo della patente; “UNA STRADA SENZA DIREZIONE”? Lo stesso concetto è un controsenso, infatti al Punto 1 la Cannabis viene definita quale VIATICO per sostanze peggiori quali EROINA E COCAINA….vuol dire che anche secondo loro – anche se non è vero che porta li – da ! qualche parte porta….)

Opuscolo fedelmente trascritto e tratto dal libro ”Cannabis & Spinello: tutta la verità + ciò che non viene detto. Dieci consigli per non perdere la testa e a volte la vita” scritto da Claudio Risè (2007) ed edito dalla EDIZIONI SAN PAOLO S.r.l. – Piazza Soncino, 5 – 20092 Cinisello Balsamo (MI) - Sto internet: edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo S.r.l. - C.so Regina Margherita, 2 - 10153 Torino (TO)

(NDR: per qualcuno che avesse voglia di andare a tirargli delle uova, il numero 2 di Corso Regina Margherita a Torino, rimane dal lato del Po, ed avendo il Po alle proprie spalle, il numero 2 è il primo palazzo alla propria destra…..)

da Indymedia

lunedì 20 settembre 2010

Regione Salento: un progetto senza futuro da convertire in un serio impegno civile

Il dibattito sull’iniziativa referendaria per la creazione dell’ipotizzata regione Salento prosegue e può quindi essere utile mettere a confronto tale iniziativa con la normativa in materia e cioè con l’art. 132 della Costituzione e col titolo III della Legge 25/05/70 n. 352 che disciplina i referendum per la modificazione territoriale delle regioni. Va intanto rilevato che l’art. 42 della Legge 352/70 precisa che «la richiesta di referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se diretta alla creazione di una regione a sé stante deve essere corredata delle dichiarazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti».Ora, il tenore letterale della citata norma induce a ritenere, per l’uso che in essa viene fatto delle congiunzioni disgiuntive «ovvero» e successivamente «o» le quali collegano i due concetti uno dei quali esclude l’altro, che i promotori di un tale referendum possono chiedere il distacco per la creazione di nuove regioni, di una o più province o di una o più comuni ma che non possano domandare entrambe le cose e neppure far deliberare i consigli comunali sul distacco delle province o i consigli provinciali sul distacco dei comuni. C’è inoltre l’avverbio«rispettivamente» che toglie ogni dubbio al riguardo sicchè appare superfluo aggiungere che l’interpretazione logica della norma conferma quella letterale. E’ vero che l’art. 132 della Costituzione parla a questo proposito solo di richieste da parte dei«consigli comunali» ma è altrettanto vero che la menzionata legge del ‘70 ha ragionevolmente dato di tale espressione una interpretazione estensiva fino a comprendere i consigli provinciali e ha poi nettamente distinto e disciplinato la richiesta referendaria dei consigli comunali da quella dei consigli provinciali.


Orbene su una strada diversa si è invece mosso il comitato promotore della consultazione che ha invitato i consigli comunali interessati a dare il loro assenso al seguente quesito: «volete che il territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto e quindi anche il territorio del comune di cui siete rappresentanti sia separato dalla regione Puglia per formare una regione a sé stante denominata regione Salento?» Il comitato propone quindi un referendum per il distacco delle province di Lecce, Brindisi e Taranto dal resto della Puglia ma chiede le relative delibere non, come avrebbe dovuto, ai consigli provinciali interessati ma a tutti i consigli comunali delle tre province in chiaro contrasto con l’art. 43 della legge 352/70, senza dubbio vigente e quindi per tutti vincolante. Una legge che peraltro, quando disciplina distintamente la richiesta delle province e quella dei comuni, stabilisce che le deliberazioni devono provenire, nel primo caso, da tutti i consigli provinciali e, nel secondo, da tutti i consigli comunali interessati. E’ allora molto probabile che la richiesta referendaria in questione, per come formulata, venga dichiarata inammissibile dal competente Ufficio della Corte di Cassazione anche a prescindere dal verificarsi o meno della non facile condizione che i consigli comunali richiedenti rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione.
Va rilevato inoltre che gli artt. 44 e 45 della suddetta legge prescrivono che il referendum sia indetto in tutto il territorio della Regione dalla quale «le province o i comuni» (torna anche qui la congiunzione disgiuntiva) intendono distaccarsi per formare una nuova regione e che la proposta sottoposta a referendum si considera approvata se «il numero dei voti attribuiti al quesito referendario non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum». Ora, se non si vuole ignorare la realtà, non è possibile immaginare che la maggioranza degli elettori dell’intera Puglia si esprima per il “sì” al quesito referendario. E non basta, perché l’eventuale esito positivo del referendum (improbabile ai confini dell’impossibile) avrebbe un valore solo consultivo sicché toccherebbe poi al Parlamento, con la complessa procedura prevista dall’art. 138 dello Statuto, decidere con legge costituzionale la creazione della nuova regione alla luce di approfondite valutazioni che tengano conto non solo delle ragioni delle popolazioni coinvolte nell’iniziativa ma anche dell’interesse generale del Paese. C’è allora da chiedersi come mai si stiano impiegando energie e mezzi a sostegno di una iniziativa praticamente destinata, come giustamente ha rilevato l’on.le Ria, all’insuccesso.

Quanto al merito, la pretesa di costituire una regione salentina appare poi priva di apprezzabili giustificazioni a fronte di una Costituzione che afferma l’indivisibilità della Repubblica contro i pericoli non solo di secessioni ma anche di innaturali frammentazioni. E va rilevato al riguardo che l’Assemblea costituente, nel determinare le regioni della Repubblica, adottò il criterio storico-geografico e si indusse perciò a confermare la situazione preesistente ritenendo altri criteri o estranei alla logica costituzionale (come quello etnico) o labili e privi di rilevanza. Le antiche origini dei pugliesi sembrano infatti, alla luce degli studi più accreditati, sostanzialmente comuni dal momento che iapigi e messapi furono in sostanza un unico popolo tanto che i due nomi venivano indifferentemente usati per indicare la regione che si estende dal Gargano all’estremo Salento che i Romani chiamarono Apulia riconoscendo alle popolazioni su di essa stanziate una omogeneità di cultura e di tradizioni rimasta nel tempo inalterata. Né vi sono ragioni geografiche che possono giustificare una regione salentina dal momento che la Puglia è tutta una terra di frontiera, il lembo estremo dell’Europa centro-occidentale che si apre ai Balcani, alla Grecia, al vicino Oriente ed al mondo arabo. Quanto infine alle pretese ragioni economiche, non si comprende in qual modo l’ipotizzato distacco potrebbe avvantaggiare un Salento che, chiuso al nord da una vasta e consolidata regione pugliese, rischierebbe di rimanere ancora più lontano dai processi di ammodernamento e di sviluppo.

Sorprende invero che non ci si renda conto del danno che l’iniziativa referendaria rischia di arrecare all’immagine di una terra come il Salento che ha sempre avuto una spiccata vocazione all’apertura, all’incontro e all’integrazione. Forse c’è bisogno, è vero, di lavorare per il superamento di una certa subalternità del Salento rispetto alla Puglia “barese” ma ciò che occorre è un cammino che va intrapreso sul terreno fermo e fecondo dell’impegno civile e non su quello accidentato e illusorio di “riformette” localistiche che frantumano e indeboliscono invece di rafforzare e di unire. Lo spirito che anima i promotori del referendum merita considerazione e rispetto ma è sbagliato lo strumento operativo scelto. L’auspicio è che si faccia strada questa consapevolezza e che i promotori medesimi, rinunciando all’iniziativa referendaria, convertano i loro sodalizi in un centro permanente di sensibilizzazione, di studio e di proposta. Mettano cioè la loro passione e le loro indubbie capacità al servizio della scelta di offrire alla politica nostrana un valido contributo di conoscenze, di idee e di indicazioni operative per dar corpo ad un organico progetto di sviluppo economico e di progresso civile del nostro Salento.

Michele di Siena - http://www.asinistra.net/

da GrandeSalento.org

Il commercio ed il "turismo delle macerie" a L'Aquila


scritto da Daniele Coltrinari
Domenica 12 settembre 2010, L'Aquila

"Non c'è un piano comunale per i piccoli commercianti locali, chi può riapre, magari rischiando, senza autorizzazione". Si confida così un imprenditore del territorio, gli chiedo piu' volte se vuole farsi riprendere dalla telecamera, per una breve intervista video. Non se la sente, allora non mi rimane che proseguire questa chiaccherata in forma anonima. Mi spiega che il comune e la regione abruzzese si rimbalzano le responsabilità sulla ricostruzione della città e su quello che chiedono i medio e piccoli imprenditori della zona, un piano di organizzazione delle attività commerciali sul suolo della città devastata dal terremoto. Il commerciante aggiunge che piu' volte hanno incontrato le istituzioni locali, portando diverse proposte su un possibile piano organizzativo dei negozi, per dirla breve, dove metterli e cosa mettere, niente. Ognuno fa quello che può, chi riesce apre o riapre l'attività senza un'autorizzazione ufficiale del comune o di qualche istituzione del luogo. Sarà vero tutto quello che mi ha dichiarato in forma anonima questo commerciante? E' impressionante vedere come nel corso del centro storico ( aperto) dove ai lati è praticamente ovunque zona rossa, diversi bar sono attivi. A breve dovrebbe iniziare l'attività un ristorante. Mi fa piacere, vedo un pò di vita nel centro storico, almeno di quello che rimane agibile. Poi mi chiedo, chi usufruirà di bar e di ristoranti, gli aquilani, gli abruzzesi? Non proprio, è domenica, ci sono tanti turisti di altre regioni, mi sembra chiaro: si sta sviluppando un turismo specifico, "un turismo delle macerie". E' formato da persone curiose, spesso accompagnati da pulman organizzati da tutta Italia; vedono le macerie, qualcuno sorride facendosi fotografare, mentre qualche cartello appeso alle transenne che dividono i turisti dalla tragedia chiede rispetto. "Non ridete qui davanti, qui c'è stato il dolore", lo ha scritto un cittadino aquilano.
Questo post è pubblicato anche su Coltrinaux

Related Link: http://calcisulcalcio.blogspot.com/2010/09/graffiti-e-g....html

da Indymedia

WANTED BUT NOT WELCOME



Proiettato al Milano Film Festival "Wanted but not Welcome", sconvolgente montaggio di video realizzati dai migranti nel viaggio verso l'Italia
LA TRAVERSATA del Sahara. L'imbarco e la navigazione nel Mediterraneo. L'incontro con le motovedette italiane e la reclusione nei Cie, prima dell'espulsione. Infine le immagini sconvolgenti dei campi della morte nel deserto, disseminati dei cadaveri di quelli che non ce l'hanno fatta. E' l'impressionante sequenza di "Wanted but not Welcome", montaggio di spezzoni di filmati realizzati con i telefonini da migranti africani durante il loro viaggio verso l'Europa.

da Indymeida

sabato 18 settembre 2010

PUNKREAS - ZINGARI



PUNKREAS - ZINGARI

Chiudete le finestre sbarrate le persiane
pericolo in città di nuovo carovane
nomadi gitani con abiti sfarzosi
si nota a prima vista che son pericolosi
cara io vado dai vicini
tu chiudi con la chiave e porta su i bambini
se fanno i capricciosi e non vogliono dormire
racconta che gli zingari li vengono a rapire

Cultura millenaria usanze e tradizioni
e non soltanto giostre furti o baracconi
la grande maggioranza non sa che stiam parlando
di gente che ha deciso di vivere viaggiando
ma noi adoratori di proprietà e lavoro
vediam la vita da dietro un paraocchi
pur di evitare di comprendere la loro

Conseguenza fu la deportazione
la violenza la gran persecuzione
le bottiglie lanciate nella notte
molti roghi, nessuno se ne fotte

Girovagando per il mondo
aprendo buchi in una rete che trascina a fondo
chi pensa che
girovagare per il mondo
restare in movimento non puo' che fare rabbia
a chi si sente in gabbia

Ma vince la paura di averli qua vicino
che saltino le mura entrando nel giardino
la classica trovata per questo malcontento
è far come John Wayne, bruciar l'accampamento
però a differenza degli indiani con i cow-boy
qui non c'è hollywood con la sua cinepresa
nè la speranza di vederli come eroi

Conseguenza fu la deportazione
la violenza la gran persecuzione
le bottiglie lanciate nella notte
molti roghi, nessuno se ne fotte

Girovagando per il mondo
aprendo buchi in una rete che trascina a fondo
chi pensa che
girovagare per il mondo
restare in movimento non puo' che fare rabbia
a chi si sente in gabbia

venerdì 17 settembre 2010

SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA' - CIRCOLO DI NARDO' - ORGANIZZA UN'ASSEMBLEA PUBBLICA SABATO 18 SETTEMBRE IN PIAZZA SALANDRA


Il 1° Congresso fondativo nazionale di SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’ è convocato dal 22 al 24
ottobre 2010, con all’ordine del giorno la discussione e l’approvazione del documento politico, dello statuto e degli organismi dirigenti e di garanzia.
Il 1° Congresso di SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’ si svolgerà su un documento politico , il“Manifesto Fondativo”.

Per illustrare e commentare le linee guida di tale documento il circolo Sel di Nardò invita la cittadinanza all’assemblea pubblica che si terrà sabato 18 settembre alle ore 18.00 in P.za Salandra.
‘Sentiamo l’esigenza di costruire una proposta politica che sia innanzitutto un nuovo patto di popolo e un discorso di futuro rivolto alle giovani generazioni. Ci rivolgiamo all’intelligenza e alla passione dei tanti e delle tante che non si rassegnano…siamo in campo perché possa rinascere nel cuore dell’Europa e dell’Italia una nuova grande speranza, una nuova grande sinistra.’ (dal manifesto per sinistra ecologia libertà)

Claudia Raho
circolo Sel - Nardò

CARCERE DI LECCE: UN TAVOLO PERMANENTE PER DENUNCIARE I PROBLEMI, FARE PROPOSTE, TROVARE SOLUZIONI PRATICABILI

Di fronte al progressivo aggravarsi della situazione all'interno del Carcere di Lecce, la Direttrice dott. Piccinni ha convocato per oggi un incontro allargato a Sindacati, rappresentanze interne dei dipendenti, responsabili dei servizi, quadri dirigenti amministrativi e della polizia penitenziara. Alcune ore di discussione non hanno fatto che rendere ancora più palese la sensazione di disagio e di allarme esistente. Una popolazione detenuta triplicata (1500) rispetto al tollerabile (500 ); organico di polizia penitenziaria sottodimensionato di circa 200 unità; carenza di servizi sanitari che provocano poi superlavoro al personale; turni sempre più faticosi; personale amministrativo diminuito del 35 % in pochi anni; carenza di interventi e di fondi, tanto da tendere moroso l'Istituto nei confronti dell'INPS edell'INAIL; sempre più ridotte le attività di “trattamento”, che consentono di impegnare i detenuti costruttivamente abbattendone l'aggressività causata dalla reclusione, con conseguente aumento dei problemi di sicurezza.
“Sono solo alcuni punti dolenti della situazione – dice Giovanni Rizzo, Segretario regionale della Confsal-Unsa – del resto ormai noti anche all'esterno. Ho quindi proposto, nel corso dell'incontro che era appunto tra addetti ai lavori, di superare le dinamiche dell'esplosione episodica di 'casi' e di avviare un confronto continuativo: un tavolo permanente paritetico, continuativo come continua è l'emergenza”.


“Il tavolo permanente – continua Rizzo - tra sindacati, amministrazione, operatori, centrerebbe molti obiettivi. Primo, quello di dare all'esterno la consapevolezza dell'urgenza e dell'emergenza, tale da imporre l'analisi e l'iniziativa unitaria. Secondo, la mancanza di frazionismi, rivalità, protagonismi individuali o collettivi. Terzo, l'analisi dei problemi e l'elaborazione finale di una serie di punti critici e di proposte quanto meno organizzative e poi di livello più elevato per ottenere le risorse necessarie: non è sbagliato rivolgersi alla mediazione e all'intervento del Prefetto”. “L'emergenza – ha concluso Rizzo – causa anche un irrigidimento nei rapporti tra amministrazione e personale. Lo stress, il sovraccarico, il disagio possono portare a un rilassamento dei servizi, cui si può pensare di riparare con una disciplina più rigida. Motivo di più per confrontarsi e agire concordemente, e anche presto”.

da GrandeSalento.org

La crisi di Forza nuova a Milano e i movimenti dell'estrema destra a livello nazionale in vista delle possibili elezioni anticipate


La crisi di Forza nuova a Milano e i movimenti dell'estrema destra a livello nazionale in vista delle possibili elezioni anticipate. Roberto Fiore alla ricerca di un accordo con il Pdl e Luca Romagnoli con i finiani.

A giugno è stato arrestato Michelangelo Manazza giovanissimo naziskin, conosciuto per la sua militanza in Forza Nuova a Milano, reo di avere accoltellato la sera del 14 due ragazzi in un parco di Cuneo. Ora è detenuto nelle carceri di quella città con l'accusa di "lesioni gravi ed efferate".
Il fatto ha creato scompiglio, tensioni e divisioni, sia fra il "mondo skin" (ormai egemonizzato dagli Hammer) e i forzanovisti, sia all'interno di quest'ultima organizzazione.
Roberto Fiore, con un comunicato stampa, ha subito preso le distanze dal giovane arrestato, negando fosse di Fn. Ovviamente il fatto non è piaciuto agli skin. Alcuni di loro si sono persino azzuffati con un gruppo di forzanovisti.A luglio, anche seguito di questi fatti, almeno un terzo di Forza nuova di Milano, Bergamo, Pavia e Varese se ne è andata dal movimento per aderire alla nuova sigla Movimento Patria Nostra: un'associazione culturale nata a Roma, recentemente trasformatasi in organizzazione politica, con il riutilizzo del vecchio simbolo di Ordine nuovo, con tanto di ascia bipenne.
Attualmente, in Lombardia, questo neonato gruppo può contare già su una cinquantina di militanti guidati da Alberto Doldi (ex Ordine nuovo di Milano), Valter Melchiorri e Maurizio Stocco. Anche in questo caso la base tende a coincidere con gli ultras della curva interista, in particolare con l'Inter Club di Motta Visconti. Data la comune fede nerazzurra e la generale solidarietà con i "camerati incarcerati" (Manazza come Lothar, sempre detenuto nel carcere di Bergamo), con il neonato gruppo, hanno subito fraternizzato quelli di Calci e Pugni di Alessandro "Todo" Todisco, ben contento della profonda crisi dei rivali di Forza Nuova e dell'odiato Duilio Canu.

Sul versante nazionale, invece, mentre Gianluca Iannone e Casa Pound cercano sponda nel Pdl, tramite Marcello Dell'Utri, Roberto Fiore, in vista di possibili elezioni anticipate, si è incontrato, la settimana scorsa con Giuseppe Ciarrapico e Alessandra Mussolini per proporre a Berlusconi la desistenza di Fn, in cambio di almeno un deputato forzanovista eletto come indipendente nel Pdl. D'altro canto, sempre in vista delle elezioni, la Fiamma tricolore si è spaccata verticalmente in due su tutto il territorio nazionale: da una parte Luca Romagnoli, incredibile ma vero, si sta avvicinando agli odiati finiani (tramite il fascistissimo deputato Donato La Morte, cassiere del vecchio Msi), dall'altra il gruppo movimentista "Fiamma Futura" del naziskin veneto Piero Puschiavo che sta per confluire ne La Destra di Storace.

www.osservatoriodemocratico.org

da Infoaut

Estate caldissima

di GENEVIÈVE MAKAPING
Gli ultimi mesi nella provincia di Cosenza sono stati caldissimi, e non solo per le temperature sahariane o gli incendi. A luglio è scattata l’operazione “Ippocrate”: la polizia stradale ha scoperto decine di falsi invalidi. Tra luglio e agosto si è svolta anche l’operazione “Santa Tecla” contro il clan della ’ndrangheta di Corigliano Calabro. Decine gli arrestati e un centinaio gli indagati, tra cui Pasqualina Straface, sindaco di Corigliano. L’inchiesta ha portato in carcere i suoi fratelli Mario e Franco.

Ad agosto, a Cosenza un autista di autobus ha picchiato duramente un uomo di 78 anni e l’ha lasciato per strada davanti ai passeggeri indifferenti. A soccorrerlo è stato un automobilista di passaggio. È stata una vergogna per tutti noi calabresi, che facciamo della solidarietà un vanto.

Sempre ad agosto una telefonata al 117, il numero della guardia di finanza, ha denunciato una discarica abusiva con 25 tonnellate di rifiuti. A San Marco Argentano è finito in manette Giuseppe Di Cianni, 64 anni, accusato di duplice omicidio a Sydney, in Australia. A Cavallerizzo di Cerzeto i cittadini hanno protestato contro la “new town”, costruita dopo l’evacuazione del loro paese minacciato dalla frana del 7 marzo 2005.

A Cosenza sono state sequestrate armi da guerra. Il provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Calabria, Paolo Quattrone, si è suicidato sparandosi alla testa. Da pensionato voleva dedicarsi agli orfani e io volevo scrivere un libro-intervista su di lui. “Geneviève!”, mi diceva, “come in Africa, anche in Italia ci sono molti orfani abbandonati”. Infine la ’ndrangheta ha fatto esplodere una bomba sotto la casa del procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro.

Cari lettori di Internazionale, in Calabria, è stata un’estate calda.

Geneviève Makaping è una giornalista e antropologa camerunese. Vive in Italia dal 1988.

da Internazionale

Vittime delle forze dell’ordine: le famiglie danno vita a un’associazione

[da Redattore sociale] Sarà presentata ufficialmente il 25 settembre a Ferrara, nel quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi. La madre, Patrizia Moretti: «Un modo per unire le nostre voci e avere più forza. Lavoreremo perché non accada più»

FERRARA – «Continuare a parlarne è la forma più duratura di giustizia». Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi ucciso il 25 settembre 2005 da quattro poliziotti, ha ancora voglia di far sentire la sua voce. Ma perché abbia più forza l’ha unita a quella delle famiglie Bianzino, Cucchi, Giuliani, Sandri e Uva. Nel quinto anniversario della morte di Federico, a Ferrara, verrà presentata l’associazione famiglie delle vittime delle forze dell’ordine. Quel giorno sarà anche la prima nazionale del documentario di Filippo Vendemmiati sul caso Aldrovandi.«Sarà un’associazione aperta – racconta Patrizia Moretti – che nasce con due obiettivi: lavorare perché nessuno debba più vivere ciò che è accaduto a noi e ricucire il rapporto con le istituzioni». La madre di Federico tiene infatti a ricordare come, in questi anni, non abbia mai generalizzato le accuse, ma abbia sempre distinto i colpevoli dalle persone oneste. «Ho accusato di omicidio i quattro agenti condannati nel 2009 – precisa – e di depistaggio e falso i loro colleghi che hanno cercato di nascondere quanto era accaduto, mai la polizia nel suo complesso».
Quello del poliziotto è un mestiere delicato, «che va fatto con coscienza». È per questo che la madre di Federico sostiene l’importanza di una selezione sugli ingressi e della formazione. E parla della necessità di poter identificare gli agenti, cosa che oggi non è possibile. La strada da fare è ancora lunga, ma lei non si tira indietro ed è convinta che ognuno nel suo piccolo possa fare qualcosa. «Non credo che la gente voglia una polizia di cui avere paura – afferma –. Anche per questo la legge deve essere uguale per tutti. Oggi, purtroppo, non è così».
La notizia della decisione di costituirsi in associazione arriva a pochi giorni dall’anteprima veneziana del documentario «È stato morto un ragazzo» [8 settembre nelle Giornate degli autori]. «Il titolo è una sgrammaticatura, ma riflette la realtà. Abbiamo lottato a lungo contro le versioni ufficiali che via via ci venivano raccontate – racconta Patrizia Moretti – e che, puntualmente, venivano smentite».
Patrizia Moretti si aspetta molto dal film di Vendemmiati, «l’unico», a suo parere, che potesse girarlo. Il regista, di origine ferrarese, era un conoscente della famiglia [compagno di scuola di Lino Aldrovandi] a cui, durante la lavorazione, si è avvicinato molto. «Ha seguito il processo fin dall’inizio e conosceva bene la vicenda – chiarisce la madre di Federico – ma il film gli ha permesso di approfondirla sia dal punto di vista giornalistico che da quello umano».
Una conoscenza, quest’ultima, che, secondo Patrizia Moretti, è mancata a Mariaemanuela Guerra, il pubblico ministero a cui era stato assegnato il caso e che «non ha mai cercato di sapere chi era mio figlio o che cosa aveva fatto quel giorno. Non le importava di lui». Tanto che per i primi quattro mesi il fascicolo dell’indagine rimase vuoto e ci vollero il blog aperto da Patrizia Moretti e l’assegnazione a un nuovo pm per arrivare al processo. «Il fascicolo vuoto non è una mia invenzione – precisa – ma un fatto. Oggi, quel pm ha scelto di querelarmi per averlo detto. Non so perché lo abbia fatto, ma credo che per lei sia controproducente».
Nonostante tutte le falsità dette sul figlio, i depistaggi e le querele, Patrizia Moretti non ha perso la fiducia nella giustizia. «Non ho mai dubitato che la verità sarebbe venuta alla luce – racconta –. È vero, la condanna è piccola, ma nemmeno l’ergastolo avrebbe potuto restituirmi Federico. Ho lottato per dargli la giustizia che meritava. Credo che il film di Vendemmiati sia importante: potrà mettere mio figlio nella giusta luce e farlo vivere di nuovo, visto che lui non può più farlo». [lp]

da Carta.org

Rom, espulsioni inutili e ingiuste


Parla Cristian Gaita, giornalista rumeno in Italia
L'espulsione dei Rom dalla Francia è un tema che tocca i nervi scoperti del vecchio continente, sicché se ne parla anche al Consiglio europeo, nonostante non fosse in agenda. Se le indiscrezioni parlano di un Sarkozy furente a causa della possibile procedura di infrazione verso il suo Paese, a soffiare sul fuoco ci pensa anche il governo italiano, pronto a schierarsi con l'Eliseo in un quasi inedito asse franco-italiano delle espulsioni.
PeaceReporter ha intervistato Cristian Gaita, caporedattore di "Ora" - il giornale dei rumeni in Italia - che ci rivela gli esiti di un piccolo sondaggio condotto dalla rivista tra i suoi lettori: cittadini del Paese da cui provengono diverse decine di migliaia di Rom attualmente in Italia e che da sempre si misura con il problema della convivenza.

Dal vostro sondaggio sembra che anche i rumeni in Italia siano d'accordo con Sarkozy

In Romania gli zingari non sono così "ben visti" come in Occidente, ma comunque la percentuale di favorevoli non è così alta. Il 56 per cento è con Sarkozy, rimane comunque un 38 per cento che non lo è.
Come rivista non abbiamo una posizione ufficiale, noi abbiamo solo presentato i fatti e ognuno è libero di giudicare.

Qual è il suo parere personale?

Quella di Sarkozy non è una soluzione, perché non solo calpesta i diritti umani, ma è inutile. Come fai a mandare questa gente a casa, pagando perfino l'aereo, pretendendo che restino lì. Non puoi contringerli a restare in Romania, sono cittadini europei liberi: perché e come tenere fermi in un Paese delle persone sulla base del fatto che appartengono a una determinata catogoria? Passare la patata bollente da un Paese all'altro non risolve la situazione.

Da noi i Rom sono sempre considerati un'emergenza. Anche i cittadini rumeni, sia in Italia che in Romania, li percepiscono come tali?

No, la gente è abituata. Diciamo che è un piccolo problema che si sta risolvendo.
Ma anche qui: i mass-media parlano sempre di espulsioni e problemi ma nessuno racconta i progressi. Le politiche sociali sia in Romania sia in Italia ormai puntano ai bambini, che cambieranno la cultura Rom. Non saranno più nomadi, anche se ci vorrà tempo.

Dunque è inevitabile che da nomadi diventino sedentari cambiando il proprio stile di vita?

Per una gran parte sarà così. Magari rimarranno alcuni nomadi ma non potranno essere così per sempre, anche perché devono in qualche modo vivere, al di là dei fatti piacevoli o spiacevoli che accadono.
Aggiungo che oggi ho sentito Bossi che accusava i Rom della maggior parte dei furti in Italia. Ma non scherziamo, come è possibile che su sessanta milioni di persone i Rom siano quelli che rubano di più?

Come vivete la confusione che spesso viene fatta sui media italiani, forse volutamente, tra Rom e rumeni?

E' una confusione sensa senso. Bisogna essere troppo ignoranti per crederci.

da PeaceReporter di Gabriele Battaglia

giovedì 16 settembre 2010

Padre incazzato come una vipera

Bene è iniziata la scuola.
Non so nemmeno da dove cominciare.
Allora mia figlia (la grande) va alle elementari.
L'anno inizia così:
La maestra di italiano che ha avuto per tre anni non c'è più.
Hanno tolto anche l'insegnante di inglese e di educazione fisica.
Adesso c'è una nuova maestra che farà italiano, inglese, educazione fisica.
Ovviamente ci ha già detto (molto onestamente) di non sapere una cippa di inglese e di educazione fisica.
La maestra di matematica (per fortuna) rimane.
Hanno eliminato le compresenze che garantivano a tutti i bambini di rimanere al passo con la classe se incontravano delle difficoltà durante l'anno.
Hanno eliminato il laboratorio di informatica, mancano dei banchi.
La carta igenica bisogna portarla da casa, le fotocopie per lo studio e per i compiti le dobbiamo fotocopiare noi genitori negli uffici.
Dovrebbero esserci dei nuovi testi che dovremmo comprare (parliamo della scuola dell'obbligo...scuola pubblica).
Non ci saranno più ne gite didattiche men che meno ludiche.
Il piccolo (materna)
Una maestra è in maternità...non è stata sostitutita.
Adesso mio figlio (il piccolo) ha una sola maestra che deve gestire 13 inserimenti, i piccoli, i medi e i grandi.
In pratica i grandi (dov'è mio figlio) saranno lasciati allo stato brado, non verranno fatte tutte le attività che dovranno preparare questi bambini per le elementari.
Poi accendo la TV e vedo quella merda della Gelmini che dice che la sua riforma sta migliorando la qualità della scuola.....
Ti giuro che se ti incrocio mentre sono in giro in macchina ti passo sopra.

da Indymedia

mercoledì 15 settembre 2010

Lega del Cittadino: Regione Salento impossibile per legge

Sul tema della Regione Salento interviene Vantaggiato della Lega del Cittadino che definisce il dibattito in corso “una futilità sconcertante”.“Una futilità sconcertante”. E’ questo il giudizio di Ruggero Vantaggiato, presidente della Lega del Cittadino e dell’Ambiente di Lecce su tutte le iniziative riguardanti la “Regione Salento” per la quale in molti si stanno appassionando in queste settimane. Il giudizio di Vantaggiato, dunque, è a dir poco pessimo e le sue invettive partono da presupposti legislativi: “Meraviglia non poco - sostiene il presidente della Lega del Cittadino - che docenti indigeni di diritto costituzionale non dicano, a quanti si impegnano e si spendono per la “Regione Salento”, che sulla base dei principi contenuti nell’ordinamento costituzionale italiano, non esiste l’ipotesi di nuove autonomie regionali a statuto speciale, nè tanto meno è percorribile la strada della regione a statuto ordinario per le difficoltà oggettive che ne rendono quasi impossibile il percorso, impervio, se non del tutto inaccessibile.I propagandisti – prosegue Vantaggiato - ignorano volutamente quanto la competente Commissione parlamentare, in sede di esame della riforma dell’ordinamento costituzionale dello stato ha inteso fare cambiando radicalmente l’articolo 132 della Costituzione. Da quella modifica risulta che a nuove regioni si potrà arrivare solo con la fusione di entità già esistenti con popolazione non inferiore a due milioni di abitanti”.
Da qui si deduce dunque che lo “scorporo” è una via assolutamente impraticabile. “Il nostro spirito federalista - conclude Vantaggiato - ci porta a condividere lo spirito di tale riforma ma al tempo stesso ci costringe a non unirci al coro di coloro invocano il “grande Salento” come panacea di tutti i mali della vecchia “Terra d’Otranto”.

(C) ilpaesenuovo.it

PIU' DIRITTI PER I DETENUTI DEL CARCERE DI BORGO SAN NICOLA (LE)

Più diritti per i detenuti
Il vescovo: se no svilisce la dignità dell’uomo

di STEFANO LOPETRONE
Solidarietà ai detenuti di Borgo San Nicola, che chiedono il risarcimento del danno per trattamento inumano e degradante. Sostegno all'iniziativa degli agenti penitenziari, che intendono ricostruire due celle del carcere in Piazza Sant'Oronzo per risvegliare le coscienze dei leccesi. L'arcivescovo di Lecce, monsignor Domenico D'Ambrosio, ha da sempre mostrato una vicinanza particolare al mondo del carcere. Nel giorno in cui si è insediato, il 4 luglio 2009, prima ancora di entrare in città si è fermato davanti ai cancelli di Borgo San Nicola
per incontrare lavoratori e prigionieri. L'ultima visita il 25 agosto, quando ha trascorso «dietro le sbarre» l'intera mattinata. Ha ritrovato un carcere ancor più sovraffollato, che sbuffa ed è ai limiti della resistenza: ci vivono 1.488 persone invece di 659.
«Chi è attento alla dignità dell'uomo non può non gridare il suo disagio, il suo dissenso forte», ci dice. Borgo San Nicola è una polveriera che rischia di esplodere. Un tunnel in cui però non è impossibile, ad un uomo di fede, intravedere la luce della speranza nonostante si viva in condizioni ai limiti della tortura. Eccellenza, il Comitato permanente sulla tortura indica in 7 metri quadrati lo spazio vitale minimo da destinare ai detenuti per non configurare condizioni da tortura. A Borgo San Nicola ci sono detenuti che in
quello spazio vivono in 3.

È possibile che in un Paese civile i detenuti debbano fare ricorso ad un Tribunale per far rispettare un proprio diritto? «Non so se i parametri internazionali considerano uno spazio inferiore ai 7 metri quadrati un
trattamento da tortura. Certo quella specie di spazio, anzi di sottospazio, è disumano. Certamente è degradante».

Possibili soluzioni? «Non so che cosa si può fare. Fanno bene i detenuti a far sentire la loro voce. Facciamo bene anche noi, che ci rendiamo conto delle condizioni in cui vivono, a fare da megafono soprattutto per la società civile. Mi chiede se è possibile che si verifichi una situazione del genere: purtroppo è la realtà. Chi è attento alla dignità dell'uomo non può non gridare il suo disagio, il suo dissenso forte. Io l'ho fatto: parlando alla città ho ricordato che esiste anche questo luogo di pena e di sofferenza che costringe gli uomini in condizioni disumane e degradanti».

Nel suo messaggio alla comunità del 24 agosto ha richiamato i fedeli ad una delle sette opere di misericordia corporale: visitare i carcerati. Borgo San Nicola però sembra essere il tappeto sotto il quale la società nasconde la polvere. Che cosa fare per non pensare ai detenuti come le scorie della società? «Parlo da cristiano, non posso smettere panni che mi appartengono. Ho richiamato una delle sette opere di misericordia, ma nel Vangelo Gesù dice qualcosa di più forte: “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. Di fronte a un Cristo liberatore dell'uomo che addirittura sceglie di identificarsi con queste persone, è chiaro che noi cristiani non possiamo pensare che il carcere o quelli che si trovano nel carcere siano i reietti della società. Sono persone che hanno sbagliato, certo. Bisognerà trovare un modo per aiutarli a comprendere i loro errori. Ma non può essere un sistema riabilitante ciò che invece abbrutisce. Così come è messo, Borgo San Nicola svilisce la dignità dell'uomo. Il cristiano, che crede ad un Amore che non conosce distinzioni di
sorta, non può non far sentire il proprio dissenso. Io l'ho fatto perché credo in quella Parola, ma la Parola non si annunzia soltanto, si vive».

Nel mondo sindacale della polizia penitenziaria, c’è chi pensa ad una manifestazione clamorosa, come ricostruire in dimensioni naturali due celle del carcere in Piazza Sant'Oronzo, per far capire alla cittadinanza in quali condizioni vivono i detenuti e lavorano gli agenti. Può essere un'iniziativa che scuote le coscienze? «Credo che una parola per questi lavoratori vada spesa. Forse li vediamo come quelli che devono punire. Invece credo che siano reclusi anche loro. Sono uomini come noi e vivono spesso nel disagio di dover
far fronte a situazioni estreme che essi stessi rifiutano. Sono penalizzati per troppe cose: per i turni di lavoro, perché sono impari nel numero rispetto alle reali necessità, perché molte volte devono dichiarare la propria impotenza a fare qualcosa che umanamente vorrebbero fare. Bisogna dare atto a questa gente del lavoro che fanno: quanti suicidi sono stati sventati nel nostro carcere,per il soccorso, la prontezza e l'attenzione degli agenti penitenziari! Questa protesta clamorosa può servire a far prendere coscienza ai tanti di una realtà che è preclusa a molti. È vero che Gesù dice di visitare i carcerati, ma chi può andarci in realtà? Io sono fortunato perché sono vescovo e le porte mi si aprono. Perciò vado per far capire loro che all'esterno di quelle mura c'è chi non li ha gettati nel pozzo del dimenticatoio».

Eccellenza, la prima visita da arcivescovo di Lecce l’ha dedicata ai detenuti ed ai lavoratori di Borgo San Nicola, che periodicamente va a trovare. Lei che cosa ha notato stando insieme a loro? «Hanno un tasso di umanità che per certi versi è superiore al nostro. Vivendo la privazione della libertà sono portati a spazi di riflessione che la fretta e le preoccupazioni ci impediscono di avere. Sono persone sensibilissime. Ho una buona corrispondenza con loro. Come minimo mi arriva una lettera ogni 15 giorni. A volte chiedono oggetti indispensabili, ma per lo più esprimono disagio e desiderio di sentirsi accolti anche all'esterno. Potrei raccontare un'infinita di episodi: spesso mi scrivono “io non sono degno, ma una benedizione per i miei figli me la può dare?”. Hanno bisogno di amore».

Il carcere è pieno di “ultimi”, persone che si ritrovano dentro perché tossicodipendenti, extracomunitari clandestini, barboni, matti. Si può essere d ‘accordo con chi pensa al carcere come uno strumento di “pulizia etnica”? Può il carcere essere considerato come un fallimento della società? «L'istituto penitenziario ha una sua funzione, ma oggi in carcere ci sono tutti. Sbaglia chi pensa che l'unico mezzo per curare le piaghe sociali sia il carcere. Questo è un errore madornale compiuto dalla società contemporanea. Si fa di ogni erba
un fascio, proprio per la varietà delle tipologie di persone che vi si trovano, ci sarebbe bisogno di mezzi diversi. Non si può curare un tossicodipendente, un depresso mettendolo tra quattro mura. Piuttosto bisognerebbe utilizzare le tecniche che il mondo moderno mette a disposizione. Il carcere è diventata una
soluzione facile, pilatesca: ci laviamo le mani e non affrontiamo realmente i problemi. Forse perché abbiamo paura. O Forse perché la società non è capace di modulare gli interventi utili a rimettere nella giusta dimensione chi vive in una realtà che lo emargina».

Si sente solo in questa battaglia per risvegliare le coscienze della comunità cattolica sulla condizione dei diritti dei carcerati? «Io non faccio battaglie, io faccio il vescovo. Come vescovo devo essere fedele a quel che mi insegna Gesù Cristo. Se c'è un precetto che è primo nella logica dei credenti è quello dell'Amore. E l'Amore va dato a tutti, in modo particolare a quelli che non ne hanno. E chi è in carcere è più bisognoso d'amore: per questo ci vado con frequenza».