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lunedì 20 settembre 2010

Regione Salento: un progetto senza futuro da convertire in un serio impegno civile

Il dibattito sull’iniziativa referendaria per la creazione dell’ipotizzata regione Salento prosegue e può quindi essere utile mettere a confronto tale iniziativa con la normativa in materia e cioè con l’art. 132 della Costituzione e col titolo III della Legge 25/05/70 n. 352 che disciplina i referendum per la modificazione territoriale delle regioni. Va intanto rilevato che l’art. 42 della Legge 352/70 precisa che «la richiesta di referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se diretta alla creazione di una regione a sé stante deve essere corredata delle dichiarazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti».Ora, il tenore letterale della citata norma induce a ritenere, per l’uso che in essa viene fatto delle congiunzioni disgiuntive «ovvero» e successivamente «o» le quali collegano i due concetti uno dei quali esclude l’altro, che i promotori di un tale referendum possono chiedere il distacco per la creazione di nuove regioni, di una o più province o di una o più comuni ma che non possano domandare entrambe le cose e neppure far deliberare i consigli comunali sul distacco delle province o i consigli provinciali sul distacco dei comuni. C’è inoltre l’avverbio«rispettivamente» che toglie ogni dubbio al riguardo sicchè appare superfluo aggiungere che l’interpretazione logica della norma conferma quella letterale. E’ vero che l’art. 132 della Costituzione parla a questo proposito solo di richieste da parte dei«consigli comunali» ma è altrettanto vero che la menzionata legge del ‘70 ha ragionevolmente dato di tale espressione una interpretazione estensiva fino a comprendere i consigli provinciali e ha poi nettamente distinto e disciplinato la richiesta referendaria dei consigli comunali da quella dei consigli provinciali.


Orbene su una strada diversa si è invece mosso il comitato promotore della consultazione che ha invitato i consigli comunali interessati a dare il loro assenso al seguente quesito: «volete che il territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto e quindi anche il territorio del comune di cui siete rappresentanti sia separato dalla regione Puglia per formare una regione a sé stante denominata regione Salento?» Il comitato propone quindi un referendum per il distacco delle province di Lecce, Brindisi e Taranto dal resto della Puglia ma chiede le relative delibere non, come avrebbe dovuto, ai consigli provinciali interessati ma a tutti i consigli comunali delle tre province in chiaro contrasto con l’art. 43 della legge 352/70, senza dubbio vigente e quindi per tutti vincolante. Una legge che peraltro, quando disciplina distintamente la richiesta delle province e quella dei comuni, stabilisce che le deliberazioni devono provenire, nel primo caso, da tutti i consigli provinciali e, nel secondo, da tutti i consigli comunali interessati. E’ allora molto probabile che la richiesta referendaria in questione, per come formulata, venga dichiarata inammissibile dal competente Ufficio della Corte di Cassazione anche a prescindere dal verificarsi o meno della non facile condizione che i consigli comunali richiedenti rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione.
Va rilevato inoltre che gli artt. 44 e 45 della suddetta legge prescrivono che il referendum sia indetto in tutto il territorio della Regione dalla quale «le province o i comuni» (torna anche qui la congiunzione disgiuntiva) intendono distaccarsi per formare una nuova regione e che la proposta sottoposta a referendum si considera approvata se «il numero dei voti attribuiti al quesito referendario non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum». Ora, se non si vuole ignorare la realtà, non è possibile immaginare che la maggioranza degli elettori dell’intera Puglia si esprima per il “sì” al quesito referendario. E non basta, perché l’eventuale esito positivo del referendum (improbabile ai confini dell’impossibile) avrebbe un valore solo consultivo sicché toccherebbe poi al Parlamento, con la complessa procedura prevista dall’art. 138 dello Statuto, decidere con legge costituzionale la creazione della nuova regione alla luce di approfondite valutazioni che tengano conto non solo delle ragioni delle popolazioni coinvolte nell’iniziativa ma anche dell’interesse generale del Paese. C’è allora da chiedersi come mai si stiano impiegando energie e mezzi a sostegno di una iniziativa praticamente destinata, come giustamente ha rilevato l’on.le Ria, all’insuccesso.

Quanto al merito, la pretesa di costituire una regione salentina appare poi priva di apprezzabili giustificazioni a fronte di una Costituzione che afferma l’indivisibilità della Repubblica contro i pericoli non solo di secessioni ma anche di innaturali frammentazioni. E va rilevato al riguardo che l’Assemblea costituente, nel determinare le regioni della Repubblica, adottò il criterio storico-geografico e si indusse perciò a confermare la situazione preesistente ritenendo altri criteri o estranei alla logica costituzionale (come quello etnico) o labili e privi di rilevanza. Le antiche origini dei pugliesi sembrano infatti, alla luce degli studi più accreditati, sostanzialmente comuni dal momento che iapigi e messapi furono in sostanza un unico popolo tanto che i due nomi venivano indifferentemente usati per indicare la regione che si estende dal Gargano all’estremo Salento che i Romani chiamarono Apulia riconoscendo alle popolazioni su di essa stanziate una omogeneità di cultura e di tradizioni rimasta nel tempo inalterata. Né vi sono ragioni geografiche che possono giustificare una regione salentina dal momento che la Puglia è tutta una terra di frontiera, il lembo estremo dell’Europa centro-occidentale che si apre ai Balcani, alla Grecia, al vicino Oriente ed al mondo arabo. Quanto infine alle pretese ragioni economiche, non si comprende in qual modo l’ipotizzato distacco potrebbe avvantaggiare un Salento che, chiuso al nord da una vasta e consolidata regione pugliese, rischierebbe di rimanere ancora più lontano dai processi di ammodernamento e di sviluppo.

Sorprende invero che non ci si renda conto del danno che l’iniziativa referendaria rischia di arrecare all’immagine di una terra come il Salento che ha sempre avuto una spiccata vocazione all’apertura, all’incontro e all’integrazione. Forse c’è bisogno, è vero, di lavorare per il superamento di una certa subalternità del Salento rispetto alla Puglia “barese” ma ciò che occorre è un cammino che va intrapreso sul terreno fermo e fecondo dell’impegno civile e non su quello accidentato e illusorio di “riformette” localistiche che frantumano e indeboliscono invece di rafforzare e di unire. Lo spirito che anima i promotori del referendum merita considerazione e rispetto ma è sbagliato lo strumento operativo scelto. L’auspicio è che si faccia strada questa consapevolezza e che i promotori medesimi, rinunciando all’iniziativa referendaria, convertano i loro sodalizi in un centro permanente di sensibilizzazione, di studio e di proposta. Mettano cioè la loro passione e le loro indubbie capacità al servizio della scelta di offrire alla politica nostrana un valido contributo di conoscenze, di idee e di indicazioni operative per dar corpo ad un organico progetto di sviluppo economico e di progresso civile del nostro Salento.

Michele di Siena - http://www.asinistra.net/

da GrandeSalento.org

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