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martedì 26 ottobre 2010

MACELLERIA CARCERARIA

Amami quando lo merito di meno, perché sarà quando ne ho più bisogno(Catullo)

di Carmelo Musumeci
Dall’inizio dell’anno i suicidi in carcere sono 55 … e nessuno ne parla.
Molte persone aldilà del muro di cinta si domandano perché molti detenuti si tolgano la vita.
Invece molti detenuti al di qua del muro si domandano quale motivo hanno per non togliersi la vita.
La verità è che la morte in carcere è l’unica cosa che può portare un po’ di speranza, amore sociale e felicità, perché quando ti togli la vita hai il vantaggio di smettere di soffrire.
Una volta il carcere era solo una discarica sociale, ora è diventato anche un cimitero sociale.
E da un po’ di anni a queste parte la cosa più difficile in carcere non è più morire, ma vivere.
I detenuti in carcere vengono controllati, osservati, contati, ogni momento del giorno e della notte, eppure riescono facilmente a togliersi la vita.
Diciamo la verità: i detenuti non sono amati e non importa a nessuno se si tolgono la vita.
Ormai le persone perbene si voltano dall’altra parte, mentre altri fanno finta di non vedere quello che vedono.
Diciamoci la verità: questo accade perché la grandissima maggioranza della popolazione detenuta è costituita da individui disperati, poveri cristi, immigrati, tossicodipendenti, disoccupati e analfabeti.
Persone di cui non importa a nessuno.
Eppure di questa “gentaglia”, di questa “spazzatura umana” non andrebbe buttato via nulla, perché con lo slogan “Tutti dentro” e “Certezza della pena” i partiti più forcaioli vinceranno le prossime elezioni.
Nella stragrande maggioranza dei casi la morte in carcere è la conseguenza di un comportamento passivo e omissivo dello Stato, che scaraventa una persona in una cella, la chiude a chiave e se ne va. Eppure l’eutanasia in Italia è proibita.
Lo Stato non fa nulla per evitare la morte in carcere, non per niente l’Italia è il Paese più condannato della Corte Europea dei Diritti Umani.

Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto, ottobre 2010

sabato 23 ottobre 2010

Radio Padania: “L’omicidio di Sarah? In meridione hanno una predisposizione genetica per simili crimini”


Caso Sarah Scazzi: “Nel meridione hanno una predisposizione genetica per simili crimini”
Un’altra pagina nera per l’Italia, un’ennesima ondata razzista che ha come trampolino di lancio la solita Radio Padania.
Il Blog di Daniele Sensi (vedi la fotogallery) segnala i commenti di alcuni militanti leghisti che vedono nelle cause dell’omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa ad Avetrana, le “predisposizione genetica” per compiere simili crimini.
Infatti l’utente Iperboreo75 scrive: “un livello di ignoranza, di cultura sociale così sottosviluppato, di mentalità così cattiva porta a questi eventi”; oppure Maxx Ebn scrive: “condivido in pieno quello scritto da Iperboreo75 per la predisposizione genetica degli abitanti di certe regioni d’Italia”.
Infine Pittix afferma: “a Sud ci sono più crimini passionali e i delitti avvengono in famiglia, noi del Nord invece siamo più miti, gentili e malinconici”.E’ dunque la pura esaltazione della razza!
Anche se c’è da precisare che negli ultimi vent’anni i più efferati delitti sono avvenuti in località decisamente lontane dalle regioni del Sud: ad esempio Erba, Cogne e Novi Ligure, per citarne alcune.
Ma soprattutto ancora una volta non c’è nessun moderatore della radio che “richiami all’ordine” i militanti o che almeno crei un contraddittorio.
Fa male leggere queste cose, il Metternich due secoli fa affermava che non esistevano gli italiani e che l’Italia era solamente una mera espressione geografica.
Ancora oggi è purtroppo così!
Fonte: http://danielesensi.blogspot.com/2010/10/lomicidio-di-sarah-in-meridione...

da Indymedia

venerdì 22 ottobre 2010

MUORE UNO DEGLI ULTIMI CANTORI DELLA MUSICA POPOLARE SALENTINA......CIAO UCCIO







Firenze: l’appello della madre di un detenuto malato; mio figlio ha già tentato tre volte il suicidio

Firenze: l’appello della madre di un detenuto malato; mio figlio ha già tentato tre volte il suicidi

“Mio figlio ha già tentato di uccidersi tre volte nel carcere di Sollicciano. È malato e ha bisogno di cure: aiutatemi a fargli scontare la pena in una comunità”. A chiederlo è la madre di un giovane di 33 anni, residente in Valdinievole e detenuto nel penitenziario fiorentino dal maggio scorso perché deve scontare una pena di 6 anni e 8 mesi per rapina: la sua salute in bilico e la fragilità psicologica lo hanno già spinto a cercare la morte ingerendo farmaci.
La madre racconta nei dettagli i fatti avvenuti dopo l’ultimo tentativo di suicidio, il 15 ottobre scorso. “Ho telefonato in carcere intorno alle 20, dopo che ero stata informata che lui si trovava in ospedale per aver ingerito un grande quantitativo di farmaci. La notizia mi era stata data da uno psichiatra esterno che lo segue periodicamente.Questa è la terza volta che mio figlio finisce in ospedale per aver ingerito troppi medicinali. La guardia carceraria che mi ha risposto ha detto di rivolgermi a un avvocato (erano circa le 20) e che se mio figlio era lì non era certo colpa sua, poi ha chiuso. Dovrebbe provare quello che proviamo noi familiari dei detenuti... forse avrebbe risposto diversamente”.
La madre ha un lavoro fisso, ma ha a carico un altro figlio, disoccupato da un paio d’anni. L’ex - marito è nullatenente e non può aiutarla in alcun modo. La donna si rivolge a Francesco Faldi, giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze. “Chiedo di valutare la situazione alla luce delle numerose patologie di cui soffre. La carcerazione non lo aiuta sicuramente, credo che ci debba essere un’alternativa al carcere. Noi non chiediamo di liberarlo, ma di avere la possibilità di andare in una comunità terapeutica che sarebbe pronta ad accoglierlo a Pistoia.
Giudice Faldi, dipendente tutto da lei. Non credo che voglia un altro morto in carcere, so che lì dentro è un inferno, so che mio figlio ha sbagliato, ma è pur sempre un essere umano. Mi rivolgo anche al direttore del carcere di Sollicciano: prenda provvedimenti disciplinari nei confronti dei collaboratori che fanno abuso di potere contro detenuti e famiglie. Vorrei che venisse aperta un’inchiesta interna per capire come mio figlio, essendo in un reparto psichiatrico da circa due mesi, può abusare senza controllo di grandi quantità di farmaci. Mi rivolgo anche all’onorevole Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti, chiedendo di fare qualcosa per migliorare la vita di tutti e prendere in considerazione il mio sfogo, facendo qualcosa per mio figlio”.

da Indymedia

Congresso Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà 22-23-24 Ottobre Saschall (Firenze)



Start: 10/22/2010 10:30
End: 10/24/2010 15:30



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giovedì 21 ottobre 2010

Una storia già scritta? Alcune note sul processo agli anarchici salentini



L’idea e la legge, la passione e la quiete sociale.

Spesso in questa storia vi sono state forti contrapposizioni tra chi professava liberamente le proprie idee, e chi tentava di reprimerle; tra chi si batteva con determinazione perché degli individui stranieri non fossero reclusi, solo per non avere un documento in regola, e chi invece sbandierava quella reclusione come mezzo per ottenere più sicurezza. Da un lato gli anarchici, dall’altro la polizia, la magistratura, la Chiesa, che gestiva un Cpt, giornali e politici vari. Eppure questo, non può che essere un quadro riduttivo di ciò che vi è stato e vi è in gioco.
Nel marzo 2005 il centro di permanenza temporanea per stranieri irregolari gestito dalla curia leccese chiude definitivamente. Gli ultimi anni della sua esistenza hanno visto in continuazione scioperi, rivolte, fughe da parte degli immigrati all’interno. All’esterno l’opposizione tenace da parte di alcuni anarchici e la contestazione di altri gruppi. Nello stesso tempo diventa di pubblico dominio, la gestione violenta ad opera del direttore Don Cesare Lodeserto, di alcuni suoi collaboratori e dei carabinieri all’interno.
Lodeserto viene arrestato e poi condannato, tra le altre cose, per violenza privata e sequestro di persona. Ma lo Stato non poteva permettere di processare se stesso e i suoi amici e lasciare liberi i suoi più acerrimi nemici. Così, nel maggio 2005, anche alcuni anarchici vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva e molti altri inquisiti. Dopo una lunga detenzione quattro anarchici vengono condannati per associazione a delinquere, altri tre per reati minori. In otto vengono completamente assolti. Le condanne sono pesanti ma i compagni sono ormai liberi e continuano ad occuparsi dei loro interessi. Cala il silenzio su tutta la vicenda, compresi i vari processi di Lodeserto e company. Intanto i Cpt vengono trasformati in Centri di Identificazione ed Espulsione, le carrette del mare vengono subito rimandate indietro verso altri lager, la caccia allo straniero e al diverso diventa sempre più cavallo di battaglia delle politiche securitarie e xenofobe dei governi che si succedono. I Cie divengono un meccanismo fondamentale per il potere, per gestire con la reclusione e la repressione sia una manodopera ricattabile e in eccesso (gli stranieri irregolari), sia per contenere un’umanità indesiderata. A Lecce di tutto questo si rincorrono gli echi, fino a che non ricominciano gli sbarchi dei disperati stranieri che riportano in auge la questione. Ma non è certo quest’ultimo aspetto ad essere determinante per i giudici che il 9 dicembre emetteranno la sentenza d’Appello nei confronti degli anarchici sotto processo. Molto altro forse si muove sotto e al di là di questo processo, almeno tenendo conto della modalità con cui si è svolto. Il primo
presidente, dopo aver rinviato per varie udienze, ha chiaramente manifestato l’intenzione di non voler andare avanti e passare ad altri la patata bollente. Il secondo ha rinviato per tre volte la sentenza, assumendo pretesti alquanto “anomali” per la procedura corrente.
Il motivo non è facile da individuare ma potrebbe essere cercato nella volontà di peggiorare la condanna di primo grado a carico dei compagni. Se i Cie sono così importanti per il dominio, e lo sono, condannare pesantemente chi ad essi si è opposto duramente, può essere da monito per chi continua a portare avanti queste lotte. D’altro canto i Cie rappresentano una spina nel fianco, date le numerose proteste che si ripetono all’interno e all’esterno sia in Italia che nel resto del mondo. La storia di un ex Cpt, definitivamente chiuso, come di un Cie che brucia, non sono buona propaganda per gli Stati. E poi vi sono le questioni locali. Il potere e l’immagine della curia leccese offuscato da tutta la vicenda. L’influenza e la affiliazione dei suoi uomini con personaggi politici molto potenti a livello istituzionale (come può essere un
Sottosegretario all’Interno). Una procura assetata di vendetta verso alcuni amanti della libertà. La necessità di reprimere chiunque non si adegui alle regole. La fine della storia? Si vedrà! Per il momento possiamo solo dire che circostanze e personaggi non sono puramente casuali, ma si possono trovare in qualunque storia in cui l’autorità si scontri con l’autodeterminazione di chi non chiude gli occhi di fronte all’oppressione e all’ingiustizia. In gioco non vi è solo la repressione di qualcuno, ma la maggiore libertà per tutti.

Alcuni anarchici


peggio2008@yahoo.it

martedì 19 ottobre 2010

NARDO' elezioni amministrative : la posizione di sinistra ecologia libertà


Le prossime elezioni comunali rappresentano un banco di prova molto difficile per il centrosinistra, le recenti (ma anche le più lontane) vicende politiche cittadine evidenziano ormai una coalizione confusa e spaesata;

S&L però ha le idee molto chiare:

Da qualche settimana Sel Nardò ha avviato una serie di incontri con le forze politiche di area centro-sinistra per sondare le diverse posizioni e far conoscere la propria, questo allo scopo di verificare la possibilità di una convergenza su un programma politico comune.

Per quanto riguarda l'individuazione del* candidat* sindaco di schieramento, sia nella felice ipotesi di convergenza su un unico nominativo sia nell'eventualità di primarie, sono condizioni imprescindibili per l' appoggio di Sel:

coalizione dichiaratamente di centro-sinistra
nessun nome 'compromesso' con la passata amministrazione
impegno a dichiarare e risolvere l'eventuale conflitto di interessi
rispetto del patto di schieramento
quanto al programma riteniamo assolute priorità:
gestione oculata e valorizzazione delle risorse
riordino dei pubblici uffici
trasparenza nell'azione politica amministrativa


Per quanto attiene al programma specifico di sel abbiamo approntato un questionario da distribuire nel corso delle assemblee pubbliche di quartiere già in calendario, al fine di conoscere e dar voce alle esigenze concrete delle famiglie e dei cittadini.

Riteniamo sia giunto il momento che tutti i soggetti politici dichiarino apertamente e chiaramente la loro collocazione e le alleanze che intendono perseguire in modo che possa essere finalmente avviato un lavoro concreto di collaborazione alla stesura di un progetto comune e condiviso.

circolo sel 'nove
aprile' nardò

venerdì 15 ottobre 2010

DON GALLO RISPONDE A MARONI........SARA' ACCANTO AI CENTRI SOCIALI

Tako je, Ivan, molto bene!


... intercettazione sfuggita ai controlli alla frontiera ...

di Cristiano Doni
- Pronto?
- Allora, che te pare?
- Molto bene, direi!
- Ascolta il GR, stamattina ci ho messo la ciliegina...
- Cioè?
- Conferenza stampa dell'avvocato dell'animale: voleva solo protestare contro la sua nazionale e la federazione, non immaginava che il caso avrebbe avuto risvolti politici, chiede scusa all'Italia.
- Bene, bene, bene...Così puzza meno.
- Già, e mi serviva per completare il quadretto dell'intervista ai secondini, che lo adorano: Ivan è educatissimo, ha sbagliato per generosità, praticamente un bravo ragazzo! L'accordo è sempre valido, quindi se te ne viene in mente qualche altra prima che lo molliamo...
- Sarei tentato di fargli menare qualche zingaro in galera (ride), ma è meglio che ci fermiamo qua.
- Ah, tanto per quello ci ha già pensato di suo, con i secondini ovviamente (ride), ma non l'abbiamo detto ai giornalisti! (ride) Tanto quando rientra ci pensa lui ad alzare altri casini. Sennò a che servono gli eroi?
- Eh già, a che cazzo servono gli eroi senza guerre? (ride) Piuttosto, i fratellini di Belgrado son rimasti contenti?
- Quelli stanno a festeggià da due giorni!
- E ce credo!
- Dragan, il capo, mi fa: "Ti ha detto io che con calcio si risolve tutto? Ti ha detto o no? Noi ha cominciato guerra di dieci anni allo stadio di Zagreb!". Figurati che quando gli ho letto il testo della telefonata di Tadic a Berlusconi manco me l'hanno fatto finire, stavano tutti là col vivavoce a sbellicarsi. Tra la storia dei froci e questa, il governo di là sta boccheggiando. Il ministro degli interni, che ha mangiato la foglia prima degli altri, con la dichiarazione che ha fatto mò se lo bevono. E manco in vacanza in Italia può venire, Maroni sta incazzato come un bufalo!
- E pure stavolta non c'ha capito un cazzo, il padano! Mo' se ne esce pure con la storia di imputare l'animale per "tentata strage"! Ma sarà idiota? Aspetta almeno che gliene facciamo fare una! (ride) Gli faccio vedere io come si fa una strage VERA a 'sto cretino, tornasse a suonare il flauto invece di rompere i coglioni...
- Beh, se non altro non ci fa la figura di merda di Alzano.
- Ah, quella è insuperabile, ma là ha fatto tutto da solo. Stavolta invece bisogna che si toglie dalle palle subito e che la roba la prende in mano Frattini, sennò rischiamo di non fare il cappotto. Col cazzo che entrano in Europa a fare affari 'sti quattro slavocomunisti.
- Appunto. E c'ha pure ragione Dragan: "Questo è primo governo di puttane di storia di Serbia! Vuole regalare Kosovo a albanesi di merda per fare servi in Europa!".
- Hai chiamato la Farnesina?
- Sì, tutto a posto sembra. Poi però lo sai come sò questi, se a Bruxelles gli fanno brutto... Pure noi, a puttane nel governo...
- Eh, vabbè. Non stiamo a fasciarci la testa prima di cadere. Tanto prima o poi 'sta pagliacciata dell'Europa...
- Massì dài, che tanto son soddisfazioni.
- Eh, ad averne di serate così. Li hai visti 'sti rossi di genovesi, tutti là a cantare l'inno?
- A cantare? A sgolarsi! "Siam-pron-tialla-mor-te, Siam-pron-tialla-mor-te, Italia-oh-oh-oh-oh-oooh-oh".
- Eh, là son stati bravi i ragazzi nostri che han fatto montare i cori. Venissero a raccontarmi ancora che nelle curve non si coltivano i veri valori!
- Ah, ah! Grandioso! oh-oh-oh-oh-oooh-oh! Che imbecilli!
- Ooh-oh-oh-oh-oooh-oh! Ah, ah! Che patrioti vuoi dire!
- (ride) Vabbè, ciao.
- (ride) Ciao, bello.
CLICK

da GlobalProject

L'Inascoltato


Di seguito due articoli tratti dal sito www.linkontro.info e inoltarti alla nostra redazione da ergastolani@apg23.org

Una ritorsione contro gli ergastolani di Spoleto?

di Susanna Marietti
Alla fine dello scorso agosto alla sede dell’associazione Antigone arrivò una lettera – una delle antiche lettere di carta, di quelle che oramai arrivano quasi solo dalle galere – firmata da “gli ergastolani di Spoleto”. Sotto questa dicitura collettiva, diciassette nomi e cognomi scritti di proprio pugno. Il breve testo, indirizzato anche “agli organi di Stato e stampa” e per conoscenza al “Tribunale di Sorveglianza di Perugia e al Sindaco del Comune di Spoleto”, denunciava il fatto che nel carcere umbro si intendeva raggruppare gli ergastolani a due a due allocandoli in celle originariamente singole.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, si diceva, aveva dato istruzioni in questo senso alla direzione del carcere di Spoleto. Una seconda brandina doveva essere aggiunta nelle celle dalle dimensioni adatte a ospitare una sola persona. Gli ergastolani firmatari della lettera, “sicuri di morire in carcere”, riferivano di non avere alcun motivo per sottostare a una simile richiesta. Una protesta, insomma. E le proteste, si sa, in carcere si scontano.
Dopo che il documento aveva girato per associazioni, redazioni di giornali, Tribunali e Comuni, l’operazione del raddoppio pare fosse stata sospesa.Tra le firme in calce vi era quella di Sebastiano Milazzo, antica conoscenza di Antigone perché compagno tra i più attivi delle battaglie di Mai dire mai, la campagna promossa dall’associazione Liberarsi per l’abolizione dell’ergastolo, di cui Linkontro.info ha sempre seguito le evoluzioni.
Sebastiano Milazzo chiedeva da anni di essere trasferito in un carcere della Toscana, per poter scontare la propria pena più vicino alla moglie impossibilitata ad affrontare lunghi viaggi. Qualche giorno fa Milazzo è stato trasferito da Spoleto. Con lui pure Angelo Tandurella e Salvatore Maugeri, anch’essi firmatari della lettera incriminata. Ma la moglie non ha avuto il piacere di vederlo avvicinare a casa. Pare si trovi adesso nel carcere di Carinola, in Campania. Tandurella è a Rossano Calabro, Maugeri è forse con lui. Vecchi, noti, abusati, illeciti trasferimenti punitivi?
Gli ergastolani di Spoleto, con la campagna Mai dire mai, la lettera al presidente della Repubblica del maggio 2007, gli scioperi della fame a staffetta e la presentazione di circa 750 ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, hanno costituito un esempio di lotta democratica. Ci auguriamo che le istituzioni mostrino il medesimo rispetto per le leggi che esse stesse si sono date e che sono chiamate a tutelare.

(11 ottobre 2010)

http://www.linkontro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=3590:una-ritorsione-contro-gli-ergastolani-di-spoleto&catid=44:linascoltato&Itemid=79

http://www.linkontro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=3596:lettera-di-sebastiano-milazzo-dal-carcere-di-spoleto&catid=44:linascoltato&Itemid=79

L'Inascoltato

Lettera di Sebastiano Milazzo dal carcere di Spoleto

Per continuare a dar conto di quanto sta accadendo nel carcere di Spoleto pubblichiamo una lettera che Sebastiano Milazzo scriveva circa un mese fa.

Al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, Dott. ssa Grazia Manganaro
Al Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano
Al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia
Alla Direzione della Casa di Reclusione di Spoleto
Alla Direzione del D.A.P. – Ufficio Trattamento Roma

PREMESSO

Di aver chiesto ininterrottamente da anni un trasferimento nel carcere toscano.
Le motivazioni addotte alle mie richieste ritengo avrebbero meritato una seria verifica in quanto si sono sempre basate sull’ispirazione di creare le premesse per non far crescere i miei figli in Sicilia, ma in Toscana, una terra dove avrebbero una casa, un lavoro e la possibilità di realizzarsi, in quanto lì vivevo io sin dal 1970 e vivono da sempre mia madre e mia sorella, la cui presenza e vicinanza poteva rappresentare, in assenza del padre, il miglior punto di appoggio, per una nuova prospettiva di vita dei miei figli.
Altra motivazione riguardava mia madre che è del 1928. L’età non le consente più di venirmi a trovare, soprattutto da quando ha subito due operazioni al cervello.
Erano queste le ragioni per le quali chiedevo di poter essere trasferito in un carcere della Toscana, così che la maggiore vicinanza potesse offrire maggiori occasioni di frequentazione, che mi è stata sempre impedita, senza reali ragioni, perché io conosco la mia vicenda umana e giudiziaria e so che, se qualcuno si fosse assunto l’onere di analizzarla, si sarebbe accorto che io ho condotto la mia carcerazione all’insegna del più totale distacco dal mondo intero e che persino tra le parentele non si troverebbe nemmeno un solo individuo con una multa per divieto di sosta.
A ciò si è aggiunto il fatto che da quasi due anni, causa un incidente, mia moglie non può affrontare il viaggio per venire a trovarmi e accompagnare a Spoleto i miei figli. Situazione fatta presente a tutti gli operatori, che fuggono di fronte alle fastidiose – per loro, ma non per me – rappresentazioni delle difficoltà che vivo. Per dare la misura di questa mia affermazione, dopo l’incidente, un parente si era offerto di portarmi i bambini e avevo richiesto il permesso per poter entrare a colloquio. Sto ancora aspettando una risposta. Intanto il maggiore dei miei figli, che all’epoca era minorenne, sta per compiere diciannove anni.
E intanto i rapporti affettivi, soprattutto con ragazzi che non hanno mai vissuto insieme a me, si sono ridotti fino al punto di non avere più nemmeno argomenti quando li sento al telefono. Mi chiedo, ma la funzione che la Costituzione assegna alla pena è quella di destinare a morire in carcere noi ergastolani, come sostenuto in un intervista dal presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia, ponendosi il problema della nostra condizione, e se questa, per completare l’opera, preveda anche la funzione di destabilizzare mentalmente il condannato operando per realizzare il distacco definitivo dai propri affetti.
La pena dell’ergastolo, scontata in queste condizioni, corrisponde, semmai, alle aspirazioni dell’onorevole Bonanno della Lega, di indurci tutti al suicidio, senza nemmeno il bisogno di dover ammettere di averci giustiziato, e bisogna concedergli che almeno lui ha avuto la franchezza di affermare ciò che altri cercano di realizzare, confidando nel fatto che le capacità raziocinanti di una persona non sono senza limiti.
Questo limite, per quel che mi riguarda, il sistema ha fatto di tutto per farlo arrivare alla fine della corsa, anche perché la mia esistenza era basata su un’unica aspirazione. Quella di potere essere d’aiuto ai miei figli. Toltami questa possibilità, non mi resta alcuna ragione per continuare a vivere. Si tratta solo di decidere quando liberarli del peso della mia condizione.
Tutta questa premessa, perché in questi giorni mi è stata montata un’ulteriore branda in cella e ciò lascia prevedere che io sono destinato a convivere con un altro detenuto, nonostante l’art. 22 c.p. tassativamente non prevede forme di deroghe da parte dell’amministrazione penitenziaria circa l’isolamento notturno – come recitano diverse ordinanze, una per tutte la legge 12/2005 R.G. S. 28 N. 3936/05 del Magistrato di Sorveglianza di Livorno.
Malgrado abbia sempre sperato in una mia collocazione in un carcere della Toscana per la ricostruzione dei rapporti con la mia famiglia, oggi sono costretto a far presente che vivo di speranza e di futuro, e il quasi definitivo distacco dai miei affetti mi ha posto in una condizione mentale che non mi consente più di poter convivere in cella con altre eventuali presenze.

Sebastiano Milazzo
Settembre 2010

Diamo un pasto al giorno a chi non ce l'ha

giovedì 14 ottobre 2010

Verità sull’uccisione in carcere di Aldo Bianzino


Muore in carcere dopo l'arresto per marijuana. Giallo a Perugia

(Il Manifesto, 23 ottobre 2007)

di Emanuele Giordana e Tiziana Guerrisi

Una domenica come un’altra un uomo di 44 anni viene trovato morto nel carcere di Perugia. C’è stato trasferito due notti prima, venerdì 12 ottobre, dopo che la polizia lo ha arrestato con la sua compagna. Gli avrebbero trovato in casa, la famiglia di Aldo Bianzino abita nella campagna di Città di Castello, una piccola piantagione con diversi fusti di marijuana.I due vengono trasferiti a Perugia e da lì al carcere. Sabato il legale d’ufficio incontra Aldo alle 14 e riferisce a Roberta, la compagna, che Bianzino sta bene e si preoccupa per lei. Ma la mattina seguente Daniela, un’amica di famiglia, viene avvisata di correre la carcere in tutta fretta. "C’è un problema", le dicono. Il problema è che Aldo non respira più e Roberta, in evidente stato di choc, non ha nemmeno potuto vedere il suo corpo.

Le indagini autoptiche (ancora in corso) cominciano a confermare, qualche giorno dopo, quel che tutti già pensano nella piccola comunità di amici di Aldo e Roberta. Le voci raccolte dalla stampa locale parlano di lesioni massive al cervello e all’addome, forse, un paio di costole rotte anche se all’esterno il corpo di Aldo non evidenzierebbe ematomi o contusioni. Ce n’è abbastanza però per far saltare la prima lettura del decesso, liquidato come un problema cardiaco.

La storia di Aldo Bianzino ha contorni dunque che è poco definire oscuri e la procura di Perugia ha deciso di aprire un’indagine sul decesso affidata nelle mani dello stesso pubblico ministero, il magistrato Giuseppe Petrazzini, titolare dell’inchiesta che aveva portato all’arresto di Aldo e di Roberta. Che sta aspettando i risultati definitivi dell’autopsia.

Tutto comincia dieci giorni fa. Aldo è nella sua casa di Capanne, una frazione di Pietralunga, poco distante da Città di Castello, quando uomini della squadra mobile della cittadina umbra perquisiscono giardino e casa e lo portano in carcere a Perugia con l’accusa di detenzione illegale di stupefacenti. Accuse pesanti: nella conferenza stampa delle forze dell’ordine si parla di 110 piantine di hashish, una metà in giardino e una parte già raccolta, insieme a 15 involucri contenenti erba. Rivelazioni che lasciano increduli quanti conoscevano Aldo da tempo e che non ritengono possibile che l’uomo coltivasse hashish per poi rivenderlo.

Bianzino avrebbe dovuto incontrare il gip che segue le indagini il lunedì successivo per la conferma dell’arresto. Ma all’appuntamento col gip non arriva. E non è chiaro se in cella fosse solo o in compagnia di un altro detenuto. "Ufficialmente era solo - dice l’avvocato incaricato dalla famiglia Massimo Zaganelli - perché la procedura richiede l’isolamento prima dell’incontro col gip".

Sulla salute dei due indagati al momento dell’arresto Zaganelli non ha dubbi: "Furono portati in carcere in perfetta salute e durante il viaggio non fu torto loro un capello". I dubbi iniziano dopo: "Per quel che sappiamo il decesso è riconducibile a un trauma ma non a un trauma accidentale" che rimanda quindi "alla responsabilità di terzi". L’avvocato resta prudente: "Non è bene in questi casi fare due più due quattro e abbiamo piena fiducia nella magistratura che, ne siamo certi, sta facendo il suo lavoro".

Lavoro intanto che aspetta i risultati definitivi delle prove autoptiche sulla materia cerebrale di Aldo: l’entità cioè del trauma al cervello. La famiglia non potrà rivedere il corpo di Aldo prima di fine settimana. Il mistero per giorni è rimasto confinato nelle cronache locali dei pochi giornali che, come la Nazione, hanno provato a ricostruire la storia di Bianzino.

E sono molti gli interrogativi al momento senza risposta considerando che, dal giorno della conferenza stampa della polizia, non sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali e ancora resta ancora da chiarire se, al momento della morte, Bianzino fosse solo nella cella dove è stato trovato. Nella frazione di Pietralunga il clima è sempre più teso e il dolore degli amici si mischia allo sgomento della famiglia che resta ancora in attesa di potere vedere la salma.

Nel frattempo amici e parenti si stanno adoperando per assicurare a Aldo una cerimonia funebre che però non ha ancora una data certa. Ma la notizia è circolata rapidamente tra gli amici di Aldo, molti dei quali vicini all’esperienza spirituale maturata da Bianzino attraverso la filosofia indiana e una lunga frequentazione con una comunità allargata di amici incontrata nel suo percorso interiore.

Un aiuto gradito visto che sono molte le persone vicine a Roberta a lamentare una scarsa solidarietà in paese, forse anche per le abitudini diverse di un uomo che da tempi aveva scelto una vita appartata e basata sulla meditazione. I radicali e gli anti proibizionisti locali però si sono già mossi. E così il sindaco di Pietralunga Luca Sborzacchi. E del caso si sta occupando anche l’osservatorio che fa capo a Heidi Giuliani

da informa-azione

La vita di Aldro


“… ma nessuno purtroppo pagherà per ciò che ci hanno fatto, perché questa è l’Italia.” - Patrizia Moretti Aldrovandi

di Marco Rigamo
Per la nostra missione di pace in Afghanistan – quella per cui il ministro il ministro La Russa chiede che i caccia di pace Amx siano armati di intelligenti bombe di pace – lo Stato spende circa 56 milioni al mese, più di 3 miliardi finora per sedere al lucroso tavolo dell’Esportazione Bellica della Democrazia. Facile perciò intuire la soddisfazione della Ragioneria dello Stato relativamente ai poco meno di due milioni investiti per far sì che la famiglia di Federico Aldrovandi rinunci a costituirsi parte civile nei processi ancora aperti. Quattrini spesi bene se si pensa alla sentenza del 6 luglio dello scorso anno: quel ragazzo non era deceduto pochi minuti dopo il suo fermo in ragione di un malore dovuto all’assunzione di stupefacenti, ma perché massacrato di botte da quatto agenti della polizia di Stato, riconosciuti colpevoli di eccesso colposo in omicidio colposo assieme ad altri tre colleghi condannati per il depistaggio delle indagini. Il linguaggio giuridico ci dice che non volevano ammazzarlo, ma "solo" colpirlo con estrema violenza sulla testa, alle braccia, tra le gambe. Per molti minuti. Poi, purtroppo, è morto.
La vita di Aldro vale più o meno il budget di un giorno di presenza militare in terra Afgana. Un giorno di guerra in meno. Il conto, o almeno questo conto, è chiuso.
Questo conto chiude con le responsabilità processuali dello Stato per un contatto che avviene a Ferrara alle 5,47 del 25 settembre 2005 tra un ragazzo appena tornato da un sabato sera a Bologna e l'equipaggio di una volante della polizia di Stato, tre uomini e una donna, che alle 6,10 chiama il 118: otto minuti dopo l'ambulanza lo trova cadavere, a terra, ammanettato. Per il suo cellulare che, dopo aver più volte squillato a vuoto, è impugnato da un uomo che al padre spiega che stanno facendo accertamenti su un portatile trovato per strada. Per lo scarno annuncio dato alla famiglia alle 11 di mattina. Per le menzogne sul suo aver assunto qualcosa che gli ha fatto male, sul comportamento autolesionistico, sulla testa sbattuta contro il muro, sul malore fatale. Per aver dipinto lui e i suoi amici come dei "drogati". Per le intimidazioni da loro subite in questura. Per le pressioni esercitate sulla stampa locale. Per le ferite lacero contuse alla testa, lo schiacciamento dello scroto, i lividi da compressione sul collo, le ecchimosi ovunque, la felpa e il giubbino inzuppati di sangue. Per il manganello spezzato contro il suo corpo. Per le indagini assegnate agli stessi protagonisti del pestaggio. Per il procuratore e il questore che escludono categoricamente le percosse ancora prima del risultato dell'autopsia, a lungo rimandata. Per il fatto che nessuno sia stato rimosso dal proprio incarico.
Questo conto riguarda la vita di un ragazzo come tanti che 18 anni li aveva compiuti due mesi prima, non aveva ancora la patente, studiava da perito elettrotecnico, suonava il clarinetto, faceva sport, salutista, bravo in matematica, impegnato in un progetto con Asl e scuola per la prevenzione delle tossicodipendenze. Che il sabato sera spesso andava a Bologna perché lì ci sono i locali, la musica, i centri sociali. Come aveva fatto anche quella volta. Questo conto riporta con forza l'attenzione su tutti quelli che sono ancora aperti. Riguarda tutto ciò che dalle giornate di Genova 2001 in avanti ancora permane non risolto sul terreno dell'abuso della forza da parte delle nostre polizie e su quello dell'esercizio delle libertà individuali e collettive. Riguarda la politica di criminalizzazione della circolazione delle sostanze stupefacenti e di chi ne fa uso e la sua chiave di controllo sociale. Riguarda la cultura di un "diritto di polizia" in ragione del quale i nomi Aldrovandi, Sandri, Cucchi sono solo gli ultimi di un lunghissimo elenco che ha radici antiche. Riguarda quel comandante della polizia penitenziaria secondo il quale "il negro si massacra di sotto, non in sezione". Riguarda Canterini che fresco di condanna promette ai suoi "ragazzi" di indossare ancora il casco assieme a loro. Riguarda tutti quelli che sono ancora lì. Riguarda quella petizione in basso a destra in home di questo sito e quanti non vi hanno ancora aderito. Riguarda noi.

da GlobalProject

La verità nascosta

È da tanti anni, prima di molti altri, persino degli stessi giudici, avvocati e addetti ai lavori, che ho scoperto che in Italia esiste “La Pena di Morte Viva”.
È da tanti anni che parlo e scrivo che la pena dell’ergastolo ostativo è peggio, più dolorosa è più lunga della pena di morte;
che è una pena di morte al rallentatore;
che ti ammazza, lasciandoti vivo, tutti i giorni sempre un po’ di più;
che in Italia ci sono giovani ergastolani che al momento del loro arresto erano adolescenti, che invecchieranno e moriranno in carcere;
che solo in Italia, in nessun altro Paese in Europa, esiste la pena dell’ergastolo ostativo, una pena che non finirà mai se non collabori con la giustizia o se al tuo posto non ci metti qualche altro;
che la pena dell’ergastolo va contro la legge di Dio e digli uomini, contro l’art. 27 della Costituzione, che dice “Le pene devo tendere alla rieducazione”, e alla Convenzione della Corte europea.
Ora, queste cose non le dico solo più io.
Ora queste cose vengono dette anche dalla Magistratura di Sorveglianza: in Italia esiste una pena che non finisce mai, esiste “La Pena di Morte Viva”, l’ergastolo ostativo.
Nella rivista Ristretti Orizzonti anno 12, numero 3 maggio-giugno 2010 pag. 34 leggo che Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia rilascia questa dichiarazione:

(...) Per finire, e qui mi allaccio ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma anche una riflessione sull'ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l'ergastolo, è vero che ha all'interno dell'Ordinamento dei correttivi possibili, con le misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti oggi in Italia che prendono l'ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono praticamente persone condannate a morire in carcere.
Anche su questo, forse, una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita.
(Roma 28 maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso di umanità).


Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto
Ottobre 2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Italia-Serbia, ennesimo flop del sistema-controllo


Diciassette fermati, trentacinque denunciati, e altre centinaia di persone in via di identificazione: questo il bilancio della serata di scontri che ha tenuto in scacco per ore il servizio di sicurezza predisposto dal ministro Maroni, dimostrando di fatto in Eurovisione l'inutilità del meccanismo preventivo italiano, che da tanti anni ormai viene testato sui tifosi, e che è culminato con l'introduzione della tessera del tifoso.
I tifosi serbi, che dal loro arrivo hanno cercato lo scontro con le forze dell'ordine, sono stati poi incanalati dentro il settorino a loro riservato all'interno dello stadio Marassi, dal quale hanno fatto partire lanci di petardi e fumogeni alla volta del campo. La partita per la qualificazione ad Euro 2012, iniziata con circa 40 minuti di ritardo, è poi stata sospesa pochi minuti dopo, per essere vinta a tavolino 3-0 dalla nazionale italiana.
Ennesima figuraccia, dunque, per il sistema-controllo tanto sbandierato e pubblicizzato da Maroni e dal governo: gli ultras nazionalisti sbarcati a Genova sono gli stessi che solo pochi giorni fa hanno contestato il Gay Pride di Belgrado, scontrandosi per ore con la polizia e mettendo a ferro e fuoco la città, la rivalità tra le squadre slave e quella azzurra hanno in più occasioni prestato il fianco a episodi di carattere nazionalista (vedi Trieste 2002, Sofia 2008, la svastica umana di Livorno etc..), ma soprattutto, i serbi non hanno evidentemente dimenticato la partecipazione italiana nel bombardamento di Belgrado e la posizione assunta nella vicenda Kosovo.

Possibile che ministro e osservatorio, tanto attenti a reprimere qualsiasi iniziativa degli ultras italiani, e tanto preoccupati di far passare messaggi di entusiatica adesione alla tessera del tifoso, si siano semplicemente scordati di tutto questo?

E' difficile dire che tutto va bene, sostenere che le tue regole sono giuste e redditizie, che gli ultras italiani sono tutti delinquenti, quando basta un energumeno incappucciato con un paio di pinze in mano a scardinare la montagna di pressappochismo, menzogne e ipocrisie che voi chiamate ordine. - [Domenico Mungo per Tifonet]

da Infoaut

Il Kosovo a Marassi

I serbi in curva allo stadio Marassi di Genova fanno parte delle milizie parafasciste e nazionaliste. Non sono semplici ultras di Belgrado. I telecronisti non ci hanno capito nulla come al solito: eppure i serbi in curva hanno mostrato uno striscione che diceva “Kossovo cuore di Serbia” e poi hanno bruciato una bandiera albanese. È stata un’azione preordinata: vogliono in qualche modo far pagare all’Italia l’intervento in Kosovo per difendere la minoranza albanese.
I serbi sugli spalti sono fascisti e nazionalisti. Convinti sostenitori della pulizia etnica.
da
http://www.ilpost.it/

da Indymedia

lunedì 4 ottobre 2010

Lega Nord e questione morale. Un argomento da tenere nascosto


Si sa oramai da un po di tempo che la Lega Nord non è certo il partito duro e puro che si pensava che fosse. Anche perchè forse, non lo è mai stato visto che U. Bossi è stato condannato per l'affare tangente - Montedison e secondo un vecchio detto delle nostre parti, effettivamente il "pesce comincia a marcire dalla testa". Se nell' Italia dei Tg targati Minzolini qualche volta seppur a fatica, si parla degli scandali del Pdl è praticamente impossibile che una qualche notizia di uno scandalo leghista venga allo scoperto e portato alla conoscenza dei telespettatori-votanti. Probabilmente per una questione puramente politica, forse neppure propagandistica. L'elettore de Pdl sa cosa vota e chi vota per cui la maggioranza dei militanti, scandalo più o scandalo meno voteranno sempre per sua Emittenza, se non fosse perchè tutti vorrebbero avere il suo potere. Affascinati da ciò difficilmente l'elettore pidiellino si lascerà intimorire da un Denis Verdini, da una cricca o da un Bertolaso qualunque.
Per la Lega Nord la storia è diversa, questo pseudo-partito padronale a gestione familiare (il figlio consigliere regionale in Lombardia, l'altro figlio col fratello per anni impiegati come portaborse al Parlamento Europeo) basa il proprio consenso sulla più grande presa per i fondelli della storia italiana: che la Lega Nord e il suo capo soviet supremo Bossi siano incorruttibili e contro la corruzione e la politica della prima repubblica dedita al ladrocigno.

Questo modo di presentarsi agli elettori che prima usavano l'elmo con le corna, è platealmente falso. Innanzitutto Bossi fu colto con le mani nel sacco con l'affare Montedison proprio in stile prima repubblica. Ma poi a tutti i livelli la Lega Nord non è diversa da qualsiasi altro partito, se c'è da arraffare qualche soldo lo si arraffa in barba alla legalità. Non ci credete? Vi faccio un semplice elenco, rispetto agli ultimi scandali leghisti che son sicuro, in televisione non ne avete sentito parlare nemmeno per errore.

Settembre 2010 - Un assessore della Lega Nord al Comune di San Michele al Tagliamento (Venezia), David Codognotto, è stato arrestato dalla guardia di finanza di Venezia con l’accusa di aver preso una tangente di 15 mila euro. L’arresto sarebbe avvenuto in flagranza di reato.


Anno 2010 - Finanziamenti pubblici per 800 mila euro, in due anni, alla ‘Libera scuola dei popoli padani’, scuola fondata da Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi. Un governo generoso, ha deciso di assegnare alla scuola, in soli due anni, 800 mila euro, come si legge alla voce (non meglio precisata) "ampliamento e ristrutturazione" del "Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio", che il Senato, con la commissione Bilancio, ha formalizzato nei giorni scorsi”.
Settembre 2010 - Frodi e tangenti in Veneto: coinvolti senatore e vicesindaco della Lega. Fatture false, soldi nascosti in doppifondi di Mercedes, via vai con banche di San Marino, cene ed escort di lusso, squadra di calcetto usata per false sponsorizzazione: quello che sta emergendo nel distretto di Arzignano, provincia di Vicenza, non farà forse scandalizzare il ministro Brunetta che parla di cancro solo per i distretti del Sud, ma rappresenta una delle più grandi evasioni fiscali del dopoguerra per entità della cifra evasa (300 milioni di euro) e per numero di aziende coinvolte nello stesso comprensorio.

* Settembre 2010 - Il deputato della Lega Nord Fabio Rainieri (famoso per le Quote Latte) è stato rinviato a giudizio dal gup Paolo Scippa per l’ipotesi di reato di false fatturazioni. Rainieri, che possiede il caseificio Giuseppe Verdi di Niviano di Rivergaro, nel 2009 era già stato condannato dal tribunale per il licenziamento illeggittimo compiuto ai danni di Luigi Bianchetti, che lavorava presso la sua azienda. Il deputato del Carroccio ora risponde invece di una vicenda avvenuta nel 2004, quando Rainieri, titolare anche di altre aziende nella Bassa, aveva subito dei controlli da parte dei militari della guardia di finanza.

Luglio 2010 - VENEZIA, Non aveva timbrato il biglietto e ha pagato la multa, ma solo dopo aver protestato con il controllore: «Guardi, sono un consigliere (leghista nrd) e non è che voglia essere trattato meglio degli altri, però..Lei è comunista?». Il protagonista dell'episodio è Santino Bozza, consigliere regionale della Lega in Veneto, che ha sfogato la sua indignazione per il trattamento “subito” in treno con un intervento-fiume davanti ai colleghi della seconda commissione consiliare che aveva all'ordine del giorno proprio l'esame di una proposta di modifica della legge sulle multe a carico degli utenti privi di biglietto o che non lo hanno obliterato sulle tratte venete di Trenitalia.

** Procurava prostitute via internet Indagato assessore della Lega - Alessandro Costa, responsabile della sicurezza nel Comune di Barbarano e vigile urbano, gestiva due siti on line con annunci di prestazioni sessuali. Ragazze dell'est e trans pagavano 150 euro al mese per inserire le loro offerte. Sospeso dal partito

Questo è accaduto negli ultimi 2 o 3 mesi. Per non parlare di un sottosegretario di Stato Leghista che ammette di avere laurea e diploma. Ma la laurea non si trova, non l'ha mai presentate e probabilmente non si trova nemmeno il diploma.



* http://forum.politicainrete.net/politica-nazionale/81250-deputato-leghista-emiliano-rinviato-giudizio-per-false-fatturazioni.html

** http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=3021127534075800

da GrandeSalento.org

La bufala di Belpietro


A pensar male si fa peccato... ma spesso si indovina!

Così recita un antico adagio e a quanto pare, nella vicenda del presunto attentato a Belpietro, siamo in parecchi ad avere il sospetto che si tratti di una bufala.
Non siamo né detective né giornalisti alla ricerca dello scoop, ma ci è bastata una semplice lettura per capire che questa storia fa acqua da tutte le parti.

Non ci interessa qui fare un elenco dettagliato di tutte le contraddizioni, stranezze, incongruenze presenti nel racconto che sono emerse in questi giorni. Il popolo della rete ha già scandagliato sufficientemente ogni fotogramma di questa sorta di film d'azione, andato in onda un paio di sere fa nelle scale del condomino milanese di Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano Libero.
Più che altro si tratta di condividere qualche riflessione in merito a ciò che sta intorno alla vicenda.
Gli elementi e i personaggi ci sono tutti: il giornalista -che si auto considera- "scomodo", un presunto attentatore totalmente incompetente (dalla scelta suicida di addentrarsi da solo nelle scale di un condominio che lui sa essere controllato all'incepparsi della pistola appena tenta di sparare, fino all'abbigliamento di chi non sembra voler passare inosservato - pettorina della Guardia di fFnanza e pantaloni della tuta stile Adidas a righe bianche e nere) e soprattutto c'è Lui, il presunto eroe, che per un caso puramente fortuito decide di non prendere l'ascensore ma bensì le scale, e che di fronte all'uomo che gli punta addosso la pistola spara tre colpi in aria (?!) che fanno fuggire il "bandito" di cui per ora si è persa ogni traccia - e chissà se ne riapparirà alcuna. Ed è proprio il caposquadra della scorta di Belpietro, su cui vale davvero la pena spendere due parole in più.

Il caposcorta Alessandro M. era già balzato agli onori della cronaca nel 1995 come protagonista di un caso che non abbiamo problemi a definire un po' troppo simile a quello di cui sopra. All'epoca era un agente semplice addetto al servizio di scorta dell'allora procuratore aggiunto Gerardo d'Ambrosio. Anche in quella situazione Alessandro M. fronteggiò da solo un uomo armato che si trovava sotto casa di Ambrosio e riuscì a metterlo in fuga. Dopo questa azione l'agente-eroe verrà promosso da agente semplice ad agente scelto. Come oggi, anche allora, solo Alessandro vide il bandito, il quale scappò e di cui si persero per sempre le tracce.

Insomma, due storie che paiono l'una la replica dell'altra e che per quanto ci riguarda rendono legittimi tutti i sospetti che possono nascere nei confronti dell'eroe-caposcorta e della vicenda nel suo insieme.
Chissà se anche questa storia finirà con una medaglia in più, un avanzamento di carriera e un presunto attentatore di cui non si avrà più notizia... personalmente non ci stupirebbe!
E in tutto questo il martire-Belpietro cosa c'entra (o non c'entra)? E se sì, in che modo? Beh, noi non possiamo altro che avanzare qualche riflessione senza troppe pretese basandoci sullo stato generale delle cose in questo momento e nel nostro paese.

Di questa storia nulla ci ha stupito e nemmeno ci stupirebbe se Belpietro si fosse trovato d'accordo anche lui nel mettere in scena questa sorta di puntata di Distretto di polizia in chiave regia dei fratelli Vanzina.
Più probabile forse che debba sottostare ad un ruolo impostogli dalla politica o che si tratti di un infelice diversivo per tentare una campagna mediatica a favore del suo quotidiano e capace di indebolire gli avversari.

Il dubbio finale resta uno solo, ovvero se si tratti di una montatura costruita ad arte per fini politico-finanziari o se ci troviamo di fronte ad un caposcorta con la personalità del carrierista senza scrupoli e disposto a "qualche eccesso" pur di raggiungere i suoi obiettivi.
Sicuramente sono entrambi dei finali interessanti per il nostro film.
In attesa di eventuali nuovi sviluppi non ci resta che augurarvi una buona -e attenta- visione.
Nel frattempo il titolo più adatto e che vi proponiamo potrebbe essere proprio quello proposto da spinoza.it :

"Fallito agguato a Belpietro.... Libero l'attentatore"!

da Infoaut

PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO: TUTTA L’EUROPA ABOLISCA L’ERGASTOLO come ha abolito la pena di morte

Questa petizione vuol coinvolgere tutti i cittadini dei paesi che fanno parte dell’Unione Europea, essi chiedono che nel Parlamento Europeo venga discusso il tema dell’ergastolo e venga presa una posizione favorevole per l’abrogazione di questa pena disumana e incivile.
Già in alcune nazioni europee l’ergastolo non esiste più, quello che chiediamo è che scompaia questa pena eterna in tutta Europa, come è stata, giustamente, abolita la pena di morte, mostrando a tutto il mondo il nostro grado di civiltà e di umanità.
L’ergastolo per molti aspetti è una pena ancor più dura e incivile della pena di morte. I condannati all’ergastolo sono spesso come schiavi in attesa di essere liberati da un provvedimento legislativo (che può esserci e che può anche non esserci), hanno una pena senza fine, non possono fare progetti, non hanno un futuro. In Italia, nazione da cui parte questo appello, la situazione è ancora più drammatica, circa mille dei condannati all’ergastolo, hanno un ergastolo che impedisce per legge ogni tipo di accesso ad una forma alternativa alla detenzione e quindi sono condannati a morire in carcere, a meno che non inizino a collaborare con la giustizia.
Noi, cittadini europei, che firmiamo questa petizione ci dichiariamo contrari all’ergastolo e chiediamo a coloro che abbiamo eletto al Parlamento Europeo una presa di posizione chiara a favore dell’abrogazione di questa pena così violenta.


Nome .......................................………..Cognome …………………………………………………...
Data di nascita ……………………………….Luogo di nascita ……………………………………...
Nazionalità ………………………………………….........................................................……………
Indirizzo postale ………………………………………………………………………………………
e-mail………………………………………………………………………………………….
Data ………………………………………………


Firma……………………………………………………………………………………………



Invia questo appello firmato a : Associazione Liberarsi, casella postale 30 – 50012 Grassina (Firenze)- Italia o alla mail: assliberarsi@tiscali.it


L’Associazione Liberarsi raccoglierà tutte le firme di questa petizione e le presenterà al Parlamento Europeo.
Puoi chiedere a questi indirizzi ulteriori informazioni e materiale di documentazione. Può essere utile visitare il sito: www.informacarcere.it
Aiutaci a raccogliere firme tra amici, conoscenti, facendoci avere nomi ed indirizzi di persone che pensi potrebbero essere interessate.
Se vuoi essere informato su come procede la raccolta delle firme faccelo sapere.

di Carmelo Musumeci

venerdì 1 ottobre 2010

"Cucù" la poltrona non c'è più!


Nardo': "Cade il sindaco Antonio Vaglio"

16 consiglieri comunali firmano le loro dimissioni facendo cadere la giunta.

...era ora!

Il sindaco non è riuscito a portare avanti un progetto serio per la città di Nardo';

Ora ridiamo un minimo di dignità alla politica!