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venerdì 15 ottobre 2010

L'Inascoltato


Di seguito due articoli tratti dal sito www.linkontro.info e inoltarti alla nostra redazione da ergastolani@apg23.org

Una ritorsione contro gli ergastolani di Spoleto?

di Susanna Marietti
Alla fine dello scorso agosto alla sede dell’associazione Antigone arrivò una lettera – una delle antiche lettere di carta, di quelle che oramai arrivano quasi solo dalle galere – firmata da “gli ergastolani di Spoleto”. Sotto questa dicitura collettiva, diciassette nomi e cognomi scritti di proprio pugno. Il breve testo, indirizzato anche “agli organi di Stato e stampa” e per conoscenza al “Tribunale di Sorveglianza di Perugia e al Sindaco del Comune di Spoleto”, denunciava il fatto che nel carcere umbro si intendeva raggruppare gli ergastolani a due a due allocandoli in celle originariamente singole.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, si diceva, aveva dato istruzioni in questo senso alla direzione del carcere di Spoleto. Una seconda brandina doveva essere aggiunta nelle celle dalle dimensioni adatte a ospitare una sola persona. Gli ergastolani firmatari della lettera, “sicuri di morire in carcere”, riferivano di non avere alcun motivo per sottostare a una simile richiesta. Una protesta, insomma. E le proteste, si sa, in carcere si scontano.
Dopo che il documento aveva girato per associazioni, redazioni di giornali, Tribunali e Comuni, l’operazione del raddoppio pare fosse stata sospesa.Tra le firme in calce vi era quella di Sebastiano Milazzo, antica conoscenza di Antigone perché compagno tra i più attivi delle battaglie di Mai dire mai, la campagna promossa dall’associazione Liberarsi per l’abolizione dell’ergastolo, di cui Linkontro.info ha sempre seguito le evoluzioni.
Sebastiano Milazzo chiedeva da anni di essere trasferito in un carcere della Toscana, per poter scontare la propria pena più vicino alla moglie impossibilitata ad affrontare lunghi viaggi. Qualche giorno fa Milazzo è stato trasferito da Spoleto. Con lui pure Angelo Tandurella e Salvatore Maugeri, anch’essi firmatari della lettera incriminata. Ma la moglie non ha avuto il piacere di vederlo avvicinare a casa. Pare si trovi adesso nel carcere di Carinola, in Campania. Tandurella è a Rossano Calabro, Maugeri è forse con lui. Vecchi, noti, abusati, illeciti trasferimenti punitivi?
Gli ergastolani di Spoleto, con la campagna Mai dire mai, la lettera al presidente della Repubblica del maggio 2007, gli scioperi della fame a staffetta e la presentazione di circa 750 ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, hanno costituito un esempio di lotta democratica. Ci auguriamo che le istituzioni mostrino il medesimo rispetto per le leggi che esse stesse si sono date e che sono chiamate a tutelare.

(11 ottobre 2010)

http://www.linkontro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=3590:una-ritorsione-contro-gli-ergastolani-di-spoleto&catid=44:linascoltato&Itemid=79

http://www.linkontro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=3596:lettera-di-sebastiano-milazzo-dal-carcere-di-spoleto&catid=44:linascoltato&Itemid=79

L'Inascoltato

Lettera di Sebastiano Milazzo dal carcere di Spoleto

Per continuare a dar conto di quanto sta accadendo nel carcere di Spoleto pubblichiamo una lettera che Sebastiano Milazzo scriveva circa un mese fa.

Al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, Dott. ssa Grazia Manganaro
Al Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano
Al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia
Alla Direzione della Casa di Reclusione di Spoleto
Alla Direzione del D.A.P. – Ufficio Trattamento Roma

PREMESSO

Di aver chiesto ininterrottamente da anni un trasferimento nel carcere toscano.
Le motivazioni addotte alle mie richieste ritengo avrebbero meritato una seria verifica in quanto si sono sempre basate sull’ispirazione di creare le premesse per non far crescere i miei figli in Sicilia, ma in Toscana, una terra dove avrebbero una casa, un lavoro e la possibilità di realizzarsi, in quanto lì vivevo io sin dal 1970 e vivono da sempre mia madre e mia sorella, la cui presenza e vicinanza poteva rappresentare, in assenza del padre, il miglior punto di appoggio, per una nuova prospettiva di vita dei miei figli.
Altra motivazione riguardava mia madre che è del 1928. L’età non le consente più di venirmi a trovare, soprattutto da quando ha subito due operazioni al cervello.
Erano queste le ragioni per le quali chiedevo di poter essere trasferito in un carcere della Toscana, così che la maggiore vicinanza potesse offrire maggiori occasioni di frequentazione, che mi è stata sempre impedita, senza reali ragioni, perché io conosco la mia vicenda umana e giudiziaria e so che, se qualcuno si fosse assunto l’onere di analizzarla, si sarebbe accorto che io ho condotto la mia carcerazione all’insegna del più totale distacco dal mondo intero e che persino tra le parentele non si troverebbe nemmeno un solo individuo con una multa per divieto di sosta.
A ciò si è aggiunto il fatto che da quasi due anni, causa un incidente, mia moglie non può affrontare il viaggio per venire a trovarmi e accompagnare a Spoleto i miei figli. Situazione fatta presente a tutti gli operatori, che fuggono di fronte alle fastidiose – per loro, ma non per me – rappresentazioni delle difficoltà che vivo. Per dare la misura di questa mia affermazione, dopo l’incidente, un parente si era offerto di portarmi i bambini e avevo richiesto il permesso per poter entrare a colloquio. Sto ancora aspettando una risposta. Intanto il maggiore dei miei figli, che all’epoca era minorenne, sta per compiere diciannove anni.
E intanto i rapporti affettivi, soprattutto con ragazzi che non hanno mai vissuto insieme a me, si sono ridotti fino al punto di non avere più nemmeno argomenti quando li sento al telefono. Mi chiedo, ma la funzione che la Costituzione assegna alla pena è quella di destinare a morire in carcere noi ergastolani, come sostenuto in un intervista dal presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia, ponendosi il problema della nostra condizione, e se questa, per completare l’opera, preveda anche la funzione di destabilizzare mentalmente il condannato operando per realizzare il distacco definitivo dai propri affetti.
La pena dell’ergastolo, scontata in queste condizioni, corrisponde, semmai, alle aspirazioni dell’onorevole Bonanno della Lega, di indurci tutti al suicidio, senza nemmeno il bisogno di dover ammettere di averci giustiziato, e bisogna concedergli che almeno lui ha avuto la franchezza di affermare ciò che altri cercano di realizzare, confidando nel fatto che le capacità raziocinanti di una persona non sono senza limiti.
Questo limite, per quel che mi riguarda, il sistema ha fatto di tutto per farlo arrivare alla fine della corsa, anche perché la mia esistenza era basata su un’unica aspirazione. Quella di potere essere d’aiuto ai miei figli. Toltami questa possibilità, non mi resta alcuna ragione per continuare a vivere. Si tratta solo di decidere quando liberarli del peso della mia condizione.
Tutta questa premessa, perché in questi giorni mi è stata montata un’ulteriore branda in cella e ciò lascia prevedere che io sono destinato a convivere con un altro detenuto, nonostante l’art. 22 c.p. tassativamente non prevede forme di deroghe da parte dell’amministrazione penitenziaria circa l’isolamento notturno – come recitano diverse ordinanze, una per tutte la legge 12/2005 R.G. S. 28 N. 3936/05 del Magistrato di Sorveglianza di Livorno.
Malgrado abbia sempre sperato in una mia collocazione in un carcere della Toscana per la ricostruzione dei rapporti con la mia famiglia, oggi sono costretto a far presente che vivo di speranza e di futuro, e il quasi definitivo distacco dai miei affetti mi ha posto in una condizione mentale che non mi consente più di poter convivere in cella con altre eventuali presenze.

Sebastiano Milazzo
Settembre 2010

Diamo un pasto al giorno a chi non ce l'ha

1 commento:

  1. la condizione di Sebastiano è comune a quella di molti e molti e tutti o quasi i detenuti..una volta chiusa la cella non rimane nient'altro cui potersi aggrappare, neanche la speranza di un volto amico o le parole di conforto di un figlio o di un genitore ad aspettarli.La condanna inferta ha diversi nomi e troppi volti..quello dell'alienazione, quello della violenza, della solitudine, della paura, quello di una voce inascoltata..come facciamo ad essere così ciechi..a non voler vedere neanche uno di quei volti, a non voler conoscere neanche uno di quei nomi e a non capire che non è in questo modo, senza diritti e senza dignità, che un uomo può cambiare,redimersi e migliorare per se stesso e per gli altri..questo è anche un nostro problema..riguarda tutti noi, la società in cui viviamo e che vorremmo ci proteggesse dai lupi cattivi..la stessa società che di quei lupi cattivi è madre e che non può abbandonare i suoi figli, che così carnalmente le somigliano.

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