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mercoledì 13 gennaio 2010

Rosarno - gli studenti prendono parola

IERI I CONTADINI OGGI I CLANDESTINI. BRACCIANTI DI SEMPRE.

Stiamo seguendo con attenzione quello che sta succedendo in Calabria a Rosarno, dove una fetta del bracciantato più misero (migrante, non è un caso ma neanche è detto che sia sempre così ) sta reagendo ad una situazione inumana di invisibilità che va avanti da anni, nel silenzio complice delle istituzioni.
Impossibile infatti non osservare come l'attuale stato di leggi vigenti (a partire dalla Turco-Napolitano, passando per la Bossi-Fini, fino ad arrivare al recente pacchetto sicurezza-reato di immigrazione clandestina) miri a mantenere lo status quo nella maniera più assoluta, cioè a mantenere i lavoratori migranti in uno stato di totale ricattabilità, a totale appannaggio dell'apparato produttivo del paese. Il problema è ancora più grave nelle campagne del Sud, dove questo processo si è innestato su fenomeni caporal-mafiosi, nella più totale assenza di un sindacato capace e dove il vuoto di memoria storica formatosi ha portato la storia indietro di due secoli, cancellando diritti conquistati grazie alle lotte (e a centinaia di morti) condotte dai braccianti e dai contadini del Sud. Ed eccoci ancora qui, alle lotte contadine. Anche il secolo scorso i contadini in rivolta erano trattati come delinquenti, bestie, ladri e assassini. Briganti.

Oggi a Rosarno la storia si ripete. Al posto dei braccianti del Sud Italia ci sono i braccianti del Sud del mondo. I caporali sono gli stessi, la mafia è la stessa, lo sfruttamento è lo stesso. La repressione è la stessa. La storia si ripete e Maroni dichiara che "troppa tolleranza con i clandestini" (un secolo fa avrebbero detto “troppa tolleranza con i contadini ” ) ha provocato questo stato di cose, di degrado e di rivolte, omettendo il fatto che la gran parte delle aziende agricole del sud Italia rimangono competitive sul mercato nazionale ed europeo grazie allo sfruttamento e al caporalato, anziché grazie a investimenti in ricerca e innovazione.

Ma al contrario dei moti contadini di inizio e metà secolo scorso dove numerosi intellettuali si erano schierati denunciando il latifondo e le condizioni disumane dei braccianti del Sud (pensate a Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Manlio Rossi Doria, e tanti altri) dando risalto alla questione e facendo entrare nella storia italiana quella che sarebbe stata definita come la "Questione Meridionale", oggi questi nuovi braccianti sono soli.

Intellettuali disposti a schierarsi in giro non sappiamo quanti ne siano rimasti. Non possiamo fare a meno però di pensare che noi come Studenti Universitari dobbiamo prendere parola.
Fare rete e schierarci. Nelle università nascono e si rigenerano gran parte delle idee che influenzano la società. Idee "ufficiali", ma anche critiche e innovazioni "dal basso". Riteniamo per questo significativa la presa di parola di quanti - studenti ma non solo - agiscono criticamente e lottano negli atenei.
Aderiamo e sosteniamo le iniziative messe in campo a Milano dalle organizzazioni sociali e antirazziste.
Parallelamente proponiamo a tutti gli studenti/collettivi di esporre nelle facoltà striscioni di solidarietà con la lotta per la dignità del bracciantato migrante, aderendo a questo comunicato o scrivendone uno proprio. E' un gesto piccolo ma può contribuire a rompere l'isolamento creato intorno a uomini che la burocrazia considera persone di serie B.

ADESIONI: Collettivo Cittàstudi, Riscossa Studentesca, Le Cellule Compagne - Facoltà di Agraria, Collettivo Kaos - Bovisa, Veterinaria Con-Testa, Studenti di Festa del Perdono, Collettivo Fuori Controllo - Scienze Politiche, Rete Studenti Milano

da Indymedia

Sosta vietata sulle panchine

Gabriella Kuruvilla è una scrittrice italoindiana. È nata a Milano nel 1969.

Un tempo le panchine erano fatte per sedersi e, volendo, anche per sdraiarsi. Ora ci si può solo sedere. E per un periodo sempre più breve, che non somiglia a una sosta, ma solo a una pausa il più breve possibile.

Alla fine degli anni novanta il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini decise di rimuovere le panchine dalla città per impedire a immigrati e barboni di dormirci sopra. L’idea, che fu realizzata immediatamente, fu copiata anche a Trieste.

Questa politica, riassumibile con lo slogan “via il dente, via il dolore” – o, meglio, “via la panchina, via l’immigrato e il barbone” – è stata ripresa e rielaborata da diversi politici. Pochi mesi fa l’assessore alle politiche ambientali del comune di Roma, Fabio De Lillo, ha annunciato un nuovo prototipo di panchine antibivacco. Il modello, per ora solo reclamizzato, avrebbe un bracciolo al centro della seduta che rende impossibile sdraiarsi.

A dire il vero, la panchina antibivacco non è una novità. Un modello simile è già stato adottato a Verona dal sindaco leghista Flavio Tosi. E basta frequentare i pochi e piccoli spazi verdi di Milano per rendersi conto che queste panchine, installate con meno clamore ma con lo stesso obiettivo, ormai si trovano un po’ ovunque. Anche dove uno meno se lo aspetta.

Un po’ di tempo fa sono scesa alla stazione Garibaldi della metropolitana milanese. Qui le panchine non ci sono mai state: c’erano solo delle semplici panche appoggiate alle pareti. Ora non ci sono più. Grazie a un suggestivo restyling sono state sostituite con divertenti sedili in metallo giallo, rosso, blu, viola e verde di forma quadrata e di piccole dimensioni.
Su queste installazioni artistiche anche appoggiare la schiena risulta difficile.

La frenesia non prevede soste. La pausa, invece, è scomoda. Ma allegra e colorata. Da vedere, più che da vivere. Il risultato ideale per un mondo dove l’importante è l’apparenza. Gabriella Kuruvilla

da Internazionale