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lunedì 1 febbraio 2010

Il sì dell'Udc al legittimo impedimento

Il responsabile per la Giustizia dell'Italia dei Diritti: "No a leggi ad personam, sono altre le priorità del Paese".

"Il legittimo impedimento è di fatto uno strumento per riproporre tematiche già contemplate nel Lodo Alfano". Queste le parole di Giuliano Girlando, responsabile per la Giustizia dell'Italia dei Diritti, in merito al parere favorevole dell'Udc sul legittimo impedimento solo se il Pdl non inserirà nel provvedimento ulteriori "scudi" in favore di ministri e sottosegretari.

"Ci troviamo in presenza - continua Girlando - del tentativo di mettere in atto un Lodo Alfano bis. E' stato lo stesso Avvocato Carlo Taormina, in una recente intervista, a confermare che è questo il vero obiettivo del governo. L'Italia dei Diritti ribadisce il proprio secco no a leggi ad personam che abbiano la finalità di garantire l'impunità del Presidente del Consiglio. La riforma della Giustizia, cavallo di battaglia di questa maggioranza, sembra essere totalmente volta al raggiungimento di tale obiettivo senza tener conto per nulla dell'interesse della collettività. Mi riferisco - conclude l'esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - al fatto che temi come l'adeguamento e la costruzione di nuove carceri, la mancanza di fondi da investire per i tribunali italiani e per le Forze dell'Ordine sono problemi che non sono in alcun modo presi in considerazione, da quella che viene spacciata per una riforma della giustizia".




Ufficio Stampa Italia dei Diritti
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Festa in corso con Massacro Messicano Affari nostri?


di Doriana Goracci

Il messaggio mi arriva sul cellulare, notizie Tim spot, certo che sono legate alla vendita e alla pubblicità.Stavolta si tratta di questo:“Nuova strage in Messico, 10 ragazzi freddati in un bar di Torreon. Ieri 13 persone erano state uccise in un locale a Ciudad Juarez“.

Tante e tanti cercano di mettere il naso in questo massacro che si ripete da anni. Di cosa parleranno oggi i giornali? Qual’è l’Ordine della Velina? Qualcuno ricollega alla violenza globale? Al femminicidio? Al disagio giovanile?O siamo pronti solo all’Alto Richiamo dell’ Urna e del Cupolone? Intanto seguono a Casa Nostra, sgomberi e militarizzazione, per fare Piazza Pulita di ogni spazio occupato che crei emancipazione sociale e autonomia da questi Poteri Forti.O vogliamo parlare dell’accoglienza affettuosa e celebrativa riservata in Israele a Berlusconi? Le prime pagine non sono aggiornate su questa Strage.

Spero che Federico Mastrogiovanni, forse tornato a Città del Messico da Port au Prince, ci possa “raccontare” con il suo sguardo.La storia è vecchia e se volete è raccontata quì, http://www.youtube.com/watch?v=XxP8K-3cSrg, lascio in chiaro, non è solo un film.

Segue la notizia, la prima che ho trovato…di come si è conclusa la Festa…in Messico e il video di poche ore fa, in spagnolo: chiunque, se vuole, lo capisce.



Messico, nuova strage in poche ore

Uccise 10 persone, ieri altro massacro


Dieci persone sono state uccise ed altre 11 ferite da un commando armato che ha fatto irruzione nelle prime ore della notte in un bar di Torreon, nel nord del Messico. Lo rende noto la procura. L’attacco è avvenuto a poche ore dal massacro di domenica a Ciudad Juarez, nel quale almeno 13 giovani sono stati trucidati durante una festa. Anche nell’attacco di Torreon le vittime sarebbero per la maggior parte ragazzi e ragazze.



A sparare contro i giovani – tra i 19 ed i 25 anni - un gruppo di individui armati di fucili d’assalto R15 e Kalashnikov, arrivati a bordo di un 4×4 Hummer.

Poche ore prima, un’altro episodio di violenza a Ciudad Juarez, una delle città più violente del Messico. Almeno 13 persone, la maggior parte adolescenti, sono state uccise e 17 ferite, durante una festa di liceali nella cittadina, vicino al confine con gli Stati Uniti, teatro di una spietata guerra tra narcotrafficanti che solo lo scorso anno ha causato 2.500 vittime. Il massacro si è consumato in una villetta dove era in corso una festa di compleanno. I killer, a bordo di alcune auto, sono arrivati mentre la festa era ancora in corso e hanno cominciato a sparare all’impazzata.

da Indymedia

Che ne sarà di Haiti


di Roberto Di Caro

La gente ricostruisce le case con quello che trova. Senza aspettare gli aiuti e delusa dalle promesse. Il documentario esclusivo del nostro inviato

Arrivano in cinque o dieci su un cumulo di macerie, meglio dove una casa è crollata del tutto, è meno pericoloso, in fondo non c'è che da scegliere. Spostano i detriti, cercano assi di legno lunghi a sufficienza per essere riutilizzati, mattoni o blocchi di cemento abbastanza regolari da sovrapporre uno all'altro, sbarre di ferro, lamiere, persino insegne.Si muovono con lentezza, scelgono con cura, portano via tutto a piedi o su un furgoncino. Con quei materiali di risulta ricostruiscono. Da soli. In quelle stesse piazze, parchi, spartitraffico dove nei giorni immediatamente successivi al terremoto avevano improvvisato tende fissando un lenzuolo a quattro pali e disegnando gli spazi con qualche pietra.

La ricostruzione non è affatto di là da venire: è già cominciata. Fin dai giorni in cui, a una settimana dal sisma, si sono viste le prime grandi ruspe, di privati, trascinare via le macerie delle case insieme ai corpi rimasti là sotto. Ma l'esito che si intravede suona come una beffa ai sogni di sfruttare il disastro quale occasione per rifare Port-au- Prince con i crismi dell'utopia urbanistica, soldi a palate, piani calati dall'alto e passerella di benintenzionate archistar. Tempo tre mesi e la capitale è destinata a diventare un unico enorme slum: baracche dove ora sono le tende, lamiere dove c'erano muri e tetti. Come già sono, da sempre, i suoi sobborghi e le bidonville che si distendono da poco dietro il centro fino al mare, o a sud ovest verso Carrefour e Leogane.

Non hanno la più pallida idea, gli haitiani, del fatto che Un-Habitat, l'agenzia delle Nazioni Unite per una urbanizzazione sostenibile, abbia già speso 250 mila dollari in una prima ricognizione dell'esistente e delineato chissà come strategie d'investimento per 7,6 milioni di dollari proprio per recuperare dalle rovine legno e risorse per la ricostruzione: loro, gli sfollati, i senza casa, lo fanno e basta, per semplice sviluppatissimo istinto di sopravvivenza. Ignorano, le informazioni arrivano a brandelli, che lunedì 25 a Montreal, prima riunione di 15 Paesi donatori più Nazioni Unite, Banca Mondiale, Programma alimentare Pam e un'altra mezza dozzina di organismi sovrannazionali, si è cominciato a immaginare un "piano Marshall" da 2,1 miliardi di dollari subito, 10 in dieci anni (ma forse addirittura 20, a quanto ha detto il presidente della confinante Repubblica Domini cana, Leonel Fernandez); o che per marzo al Palazzo delle Nazioni Unite sia stata convocata la Conferenza che dovrebbe definire tappe, procedure, modalità, reperimento delle risorse e catena di comando: sotto l'egida della Banca Mondiale, stando alle prime ipotesi.


Ma sono decenni che il mondo s'impiccia del loro Paese, l'Onu manda caschi blu brasiliani, nigeriani, pakistani e di altre quaranta nazioni, gli americani insediano e destituiscono presidenti in nome dei diritti civili, Hugo Chávez regala petrolio e Fidel Castro manda medici: mentre loro continuano a vivere sette su dieci in bidonville di lamiera come Cité Soleil e Waf Jeremie che si allagano a ogni pioggia, e a farsi il carbone bruciando legna in buche scavate per strada nella capitale come nei villaggi. Del resto, che credibilità si sono guadagnati i soccorsi giunti da mezzo mondo dopo il devastante sisma del 12 gennaio, se alla popolazione nelle tendopoli arrivavano a stento le taniche dell'acqua potabile, e le prime distribuzioni di riso sono state segnate da incidenti, tafferugli, spari, lancio di gas urticanti? Suona del tutto dunque rituale anche quel dispaccio del "Us Department of State, Diplomacy in action" che, al termine di un vertice tra l'ambasciatore americano e il capo della missione Onu Minustah, il canadese Edmond Mulet, ha annunciato un accordo sui principi fondamentali dell'intervento, riconoscendo ad Haiti la responsabilità di stabilire le priorità degli interventi, e alle Nazioni Unite il coordinamento degli aiuti, sotto il cui comando anche gli americani si adatterebbero a operare.
La verità è un'altra. René Préval, il presidente haitiano, è ben conscio del fatto che il suo governo non è in grado di gestire alcunché, ma conosce quel che resta del suo popolo: quando gli abbiamo chiesto chi dovesse coordinare gli interventi d'emergenza, la tutela della sicurezza e poi la prima ricostruzione, ci ha risposto: «Chiunque è in grado di aiutarci, venga e lo faccia». Quanto all'esercito americano, si muove in modo ambivalente. All'ospedale centrale li vedi ancora un po' spaesati portare barelle tenendo sulle spalle i loro zaini da zona di guerra pesanti 40 chili.

Davanti alla loro ambasciata nella zona di Tabarre, un edificio enorme, smisurato per l'isola, giustificato solo dall'importanza strategica di Haiti nel cuore dei Caraibi e delle rotte di tutti i traffici di droga dalla Colombia alla Florida, ti cacciano già a male parole agitando l'M-16 manco fossimo in Iraq, quando fotografi la fila di haitiani in attesa di un visto perlione di emigrati fonte primaria di reddito con le loro rimesse. Nei sobborghi li vedi passare, ma non scendono dai mezzi. In centro, però, dove fino al giorno prima la gente continuava a rovistare nei magazzini semidistrutti finché qualche poliziotto o vigilante non gli sparava per poi ricominciare subito dopo, da martedì 16 i marines hanno iniziato a muoversi in grande stile. In squadre da una dozzina di uomini. Usando le loro ruspe di piccole dimensioni, color caki come gli humwee. Chiudono strade e passaggi, blindano l'area attorno al Marché au fer. E la gente li acclama.

Ti fanno segno di stare alla larga, ma con buone maniere, anche i caschi blu della Minustah di guardia alla sede, solo danneggiata, della Banca centrale di Haiti, vicino alla Dogana, inagibile, non lontano dalla Posta, crollata. E riaprono gli sportelli bancari, nella avenue del quartiere finanziario e, con lentezza, in qualche altra area di Portau- Prince e della un tempo più ricca Pétionville. Consentire alle persone di ritirare i propri depositi per far fronte all'emergenza, ridare fiato ai microcommerci di cui quasi tutti vivono in un'isola che non produce quasi nulla, è stato uno dei primi obbiettivi diEdmond Mulet capomissione Onu, i cui poliziotti provvedono in forze alla sicurezza degli istituti bancari.

I primi supermercati hanno riaperto solo molto tardi e con guardie armate nelle aree meno devastate; ma i commerci di strada erano ripresi quasi subito, anche senza i contanti chiusi nei caveau: frutta, pasta, sapone così come abiti e cosmetici perché le ragazze hanno gran cura di sé pur dormendo e studiando (sì, le vedi coi libri e i quaderni in mano) per terra, all'addiaccio. Non c'è soluzione di continuità, neanche visiva, tra gli accampati, le loro pentole dove cuociono il riso, i tubi con cui si lavano all'aperto, e quella che prima del 12 gennaio era la brulicante normalità di Haiti.

Nella piazza centrale di Pétionville, quella della cattedrale di Saint-Pierre rimasta in piedi e della più fornita libreria dell'isola, dov'è sorta una delle tendopoli più grandi, i venditori di quadri espongono di nuovo le loro coloratissime tele in mezzo ai bambini che giocano: soggetti tradizionali, palme e mare, mercato, folla di donne che portano sacchi sul capo, il generale da operetta col sigaro in mano, il naufragio del traghetto "Nettuno" nel febbraio '93 in faccia al porto, quando perirono 1500 persone.

Li vedi dipinti, quei disgraziati, mentre cadono in acqua o galleggiano ormai senza vita: senza cattiveria ma senza rimozione, nel modo in cui da noi si riproducevano le disgrazie sugli ex-voto. Qualcuno ha già cominciato a dipingere la terra che si apre, le case che rovinano, i morti abbandonati.

Gli umanitari che si avvicenderanno sull'isola li compreranno per ricordo con animo compassionevole, 5 dollari i piccoli, 10 i grandi, salvo nasconderli in un cassetto perché in salotto metterebbero di malumore. Non siamo attrezzati, noi popoli ricchi, a metabolizzare le sciagure. Questo è rimasto, forse, l'unico privilegio degli haitiani.

da L'Epsresso

Il processo è sospeso

Amara Lakhous è uno scrittore nato ad Algeri nel 1970. Vive a Roma dal 1995.

Il reato d’immigrazione clandestina finirà presto al vaglio della corte costituzionale. Il 15 dicembre 2009 un giudice di pace di Agrigento, Giuseppe Alioto, ha deciso di sospendere il processo a 21 persone sbarcate nell’agosto del 2009 a Lampedusa, accogliendo una richiesta della procura di Agrigento. Secondo la procura, infatti, il reato d’immigrazione clandestina vìola gli articoli 3, 25, 27 e 117 della costituzione.
Il giudice Alioto ha scritto nella motivazione: “Non è consentito che per finalità di mera deterrenza siano introdotte sanzioni che non si ricollegano a fatti colpevoli. In definitiva, l’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non paiono rappresentare, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante”.
Questo è il primo caso del genere in Italia. Con ogni probabilità, la corte costituzionale darà ragione a chi ha espresso dei dubbi sulla trasformazione della condizione di immigrato irregolare in un reato.
Come hanno affermato molti giuristi, il reato d’immigrazione clandestina non solo va contro la costituzione ma anche contro un principio basilare della giustizia: una persona dev’essere giudicata per quello che fa, non per quello che è. Non si può condannare qualcuno a priori.
Molti sociologi hanno spiegato che la maggioranza assoluta degli immigrati regolari in Italia all’inizio erano clandestini. Moltissimi di loro sono arrivati con dei semplici visti turistici e sono rimasti sul territorio italiano dopo che gli era scaduto. Dal 1986 ci sono state sei sanatorie che hanno regolarizzato complessivamente più di un milione e mezzo di persone.
Quindi, se i clandestini di oggi saranno i regolari di domani, perché demonizzarli? Amara Lakhous

da Internazionale

Chi concede gli spazi a Casapound?

da coll. gramigna
il comune di Padova, nella figura del sindaco Flavio Zanonato (Partito Democratico), ha concesso una sala pubblica all’organizzazione neofascista Casapound

Sabato 30 gennaio una decina di compagni ha organizzato un presidio antifascista, con alcuni striscioni e un volantinaggio davanti ai giardini dell’Arena di Padova. Il presidio è stato indetto per denunciare che il comune della città, nella figura del sindaco Flavio Zanonato (Partito Democratico), ha concesso una sala pubblica all’organizzazione neofascista Casapound (che non ha sedi in città) per una iniziativa dal titolo “contro ogni muro-Padova città del dialogo”, a cui hanno partecipato alcuni assessori di AN e del Partito Democratico. Il presidio dei compagni è stato interrotto dall’arrivo degli sgherri della digos, che hanno subito minacciato, intimato e identificato i compagni.
Nella sua lunga carriera da sindaco Zanonato, e la sua giunta, si è numerose volte contraddistinto per la sua politica “securitaria”, arrivando allo sgombero di un intero quartiere abitato da immigrati e la costruzione di un muro per recintare la zona, e per aver garantito ampia agibilità politica ai fascisti. Infatti sono numerosi gli episodi di concessione della piazza per le manifestazioni, dei parchi per le feste e delle sale per le conferenze! Contemporaneamente, lo stesso sindaco ha ordinato almeno 5 sgomberi del Cpo Gramigna ed è complice, insieme alla questura, della totale negazione di ogni spazio pubblico ai compagni!
Questa logica è coerente con la politica portata avanti dal centro “sinistra” e dai revisionisti in Italia, che contribuisce alla riabilitazione del fascismo anche attraverso la volontà di costruire una “memoria condivisa al di la delle differenze politiche” (la stretta di mano tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi ne è un esempio!). La “sinistra” borghese è la principale responsabile della totale riscrittura della storia del nostro paese, questo per dominare il presente e legittimare le guerre, la disoccupazione e le peggiori nefandezze della borghesia imperialista, oggi attanagliata dalla crisi del sistema economico capitalista. Tutto questo al fine di disarmare culturalmente e politicamente i lavoratori e i proletari del loro passato, nato sul sangue versato dai partigiani che hanno combattuto il fascismo e ci hanno insegnato a conquistare i diritti e la libertà con la lotta. Insegnamenti sempre validi e di cui è nostro compito riappropriarci!
Non c’è nulla da condividere con i neo fascisti, ma anzi c’è molto da raccogliere per rilanciare la cultura e la pratica dell’antifascismo, riappropriandosi dei valori della Resistenza e dell’eroico esempio dei partigiani, di ieri e di oggi!
Antifascisti sempre!
La memoria non è con-divisa. La resistenza continua!
In seguito riportiamo il testo del volantino diffuso:
Sabato 30 gennaio presso la sala pubblica in Via Diego Valeri a Padova si svolge un incontro promosso dall’organizzazione neofascista Casapound, con la partecipazione di assessori di Alleanza Nazionale e di Filippo Pacchiega dell’esecutivo provinciale del Partito Democratico. L’iniziativa, dal titolo “Contro ogni muro-Padova città del dialogo”, pretende di affrontare alcune tematiche politiche costruendo una “memoria storica condivisa” tra vecchi e nuovi fascisti insieme a quello che ancora si proclama il centro”sinistra”. Noi pensiamo che non ci sia nulla da condividere con un’organizzazione come Casapound, capitanata da vecchi stragisti neri come Gabriele Adinolfi implicato per la strage di Bologna, responsabile di molteplici aggressioni squadriste contro chi considerato “diverso” ed emarginato dalle logiche del sistema produttivo (extracomunitari, omosessuali, disabili ecc), e soprattutto infiltrata per dividere chi lotta e scagliarsi contro i compagni, come accadde con il movimento studentesco a Piazza Navona a Roma, al corteo contro la Gelmini nell’ottobre 2008! Casapound è un movimento reazionario, finanziato abbondantemente dalla destra istituzionale, che cavalca le “emergenze“ mediatiche, come la questione abitativa (mutuo sociale, occupazioni ecc), presentandosi così come “coloro che oggi danno risposte concrete alle esigenze delle masse”, colmando il vuoto dello stato sociale! La vera natura di questi è di essere servi del sistema, razzisti, xenofobi che si rifanno agli ideologi del nazifascismo. La complicità del PD si dimostra sia concedendo loro agibilità politica, sia soprattutto partecipando e sostenendo le loro iniziative e fornendo loro legittimità.
Del resto questo episodio è solo l’ultimo di molteplici che vedono la giunta Zanonato concedere ampiamente spazi pubblici e agibilità a formazioni dichiaratamente fasciste: cortei annuali a Forza Nuova e Fiamma Tricolore, concessione del parco Prandina di corso Milano per un festival neonazista la scorsa estate ecc. Mentre dall’altra parte si sgomberano i centri sociali e i luoghi di aggregazione giovanile.
La sinistra istituzionale da tempo ha fatto del revisionismo storico, politico e culturale uno strumento per legittimare le attuali politiche sempre più a destra, “necessarie” ai padroni in questi tempi di crisi. Ecco allora che la sinistra borghese di fronte a 30.000 operai Fiat in cassa integrazione non spende una parola, tantomeno per quelli dell’Alcoa di Cagliari manganellati dalla polizia, giustifica la schiavitù moderna come a Rosarno, vota tutte le costosissime missioni militari all’estero, condivide nuove leggi razziali, come il pacchetto sicurezza, funzionale ai padroni per incanalare il malessere sociale verso un nemico fittizio rappresentato, sempre più spesso, dal proletariato immigrato. È proprio in tale maniera che spiana la strada alla destra xenofoba e alla riabilitazione del fascismo!
Tutto questo rinnegando il patrimonio partigiano, i valori antifascisti della Resistenza e della solidarietà. L’unione con i neofascisti serve per riscrivere la storia ed egemonizzare la realtà.
Al contrario noi pensiamo che l’antifascismo e gli ideali della Resistenza partigiana vadano difesi con le unghie e con i denti, perché sono gli ideali che hanno permesso la lotta contro i nazifascisti e hanno determinato importanti conquiste e diritti per la società intera.

da Indymedia