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martedì 9 marzo 2010

Incontro pubblico su 'questione morale e pubblica amministrazione'‏


Il circolo neritino di ‘Sinistra Ecologia Libertà’ organizza per mercoledì 10 marzo 2010 a Nardò, nel Chiostro S.Antonio, alle ore 18.00 un incontro pubblico su 'questione morale e pubblica amministrazione: i costi della corruzione'.
In particolare, a parte ogni valutazione di carattere etico, l’accento verrà posto sui costi economici della corruzione e sul rapporto fra efficienza e legalità.
Nel corso della serata si illustrerà il codice etico del candidato, promosso dal nostro circolo, ispiratore del quale è il prof. Luigi Bosco dell'Università di Siena. Tale codice è stato adottato dalla nostra lista per queste regionali e sottoscritto in particolare dalla candidata locale di sin eco lib, Claudia Raho si lancerà, inoltre, l'istituzione di un fondo sociale di solidarietà da costituirsi a partire da parte degli introiti che nostri eventuali eletti si impegnano a versare proprio con questa finalità.
La data del 10 marzo non è scelta a caso, ma è anzi per Nardò e per la Puglia un giorno significativo, legato alla figura di Renata Fonte, assessore comunale della nostra città, uccisa dal malaffare politico nel 1984.

Claudia Raho
Sinistra Ecologia Libertà - circolo di Nardò

ESTORSIONI A NARDÒ "PER CONTO DEI MESAGNESI": 4 ARRESTI

Le investigazioni hanno consentito di individuare tre esponenti della Sacra corona unita di Nardò, che hanno spalleggiato, con intimidazioni reiterate, il rappresentante di una ditta del brindisino

di Emilio Faivre
NARDO’ – Quando si parla di estorsioni, il metodo, bene o male, è sempre lo stesso, passa dall’intimidazione, magari senza atti concreti di violenza. Il peso del curriculum criminale può bastare a mettere in soggezione la vittima.Semmai, questa volta, cambia il quadro della questione. Ad agire non è la criminalità organizzata salentina per se stessa, ma, se rientra in azione, lo fa per conto di altri, in un’ottica di scambio di favori. E, dunque, sotto il profilo dell’analisi sociale, l’operazione messa a segno questa mattina dai carabinieri della compagnia di Gallipoli e della stazione di Nardò, al termine di un’indagine durata diversi mesi, svela dinamiche in parte inedite.

La novità, che il procuratore capo Cataldo Motta ha tenuto a rilevare, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta questa mattina presso il comando provinciale dell’Arma, a Lecce, è l’intreccio fra due territori storici, per la Sacra corona unita, per quanto segnati da una relativa distanza: Nardò e Mesagne. Erano i mesagnesi ad avanzare un presunto credito. Sono stati i neretini a tentare di incastrare l’imprenditore, avanzando pretese di denaro.

Quattro le ordinanze di custodia cautelare eseguite all’alba, nel cuore di Nardò. Ai domiciliari finisce Salvatore Alligri, 46enne. In carcere, invece, Antonio Duma, 49enne, già sorvegliato speciale e condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso, Roberto Longo, 43enne, in liberà vigilata, già condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso, e Salvatore Maceri, 45enne, a sua volta già condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso. Per quanto riguarda il caso specifico di Alligri, il procuratore capo Motta ha già annunciato “impugnazione, perché con la nuova legge, non sono consentiti, in casi come questi, aggravati dal metodo mafioso, i domiciliari”. La firma sulle ordinanze di cattura è stata posta dal gip Andrea Lisi, su richiesta del pm Guglielmo Cataldi. I provvedimenti sono stati eseguiti da oltre quaranta carabinieri della compagnia jonica, coordinati dal capitano Stefano Tosi, e coadiuvati dal 6° elinucleo di Bari e dal nucleo cinofili di Modugno.

L’estorsione, piaga che s’insinua nella crisi economica

Tutto è nato da una denuncia. Nel dicembre scorso in caserma, a Nardò, si è presentato un noto commerciante del settore agroalimentare. E’ nella querela stessa che emerge il quadro in cui s’insinua la presunta estorsione. La crisi economica, una scure che si abbatte sul settore. Ad inizio del 2009, la decisione, sicuramente medita e mai facile, di cedere le armi. Ovvero, vendere la propria società ad altri imprenditori dello stesso settore. Nel contratto stipulato sarebbe stato previsto il trasferimento, in capo ai nuovi proprietari, sia dei debiti, sia dei crediti maturati nel tempo. Ma nonostante la vendita fosse ormai andata in porto, con la clausola che l’avrebbe sollevato da qualsiasi obbligo, l’imprenditore sarebbe comunque stato avvicinato da Alligri, rappresentante di una società brindisina, creditrice e grossista della precedente azienda agroalimentare, per invitarlo ad estinguere comunque il debito contratto in precedenza.

Motivo? Secondo quanto denunciato, Alligri avrebbe fatto cenno a ragioni d’incolumità personale; ovvero, la società brindisina, secondo lui, sarebbe stata gestita da persone poco raccomandabili e ritenute vicine ad ambienti di criminalità organizzata locale. Meglio pagare, insomma, quei 18mila euro e mettere una pietra su tutto. L’imprenditore si sarebbe però inizialmente rifiutato, portando Alligri a reiterare più volte le richieste, sempre accompagnate da chiari riferimenti alla pericolosità della criminalità brindisina. Fino a quando la presunta vittima non avrebbe ceduto, sottoscrivendo svariati effetti cambiali con scadenza mensili, da 300 euro ciascuno. Pagati, però, solo i primi due e non potendo più versare a causa di nuove difficoltà economiche, l’imprenditore avrebbe posto un definitivo diniego ai versamenti, tanto più che non dovuti.

E, a quel punto, sarebbe entrato in ballo un nuovo personaggio. Non più Alligri, ma Antonio Duma Antonio, ben conosciuto dalla vittima per i sui trascorsi giudiziari. Duma stesso avrebbe informato la vittima di essere stato incaricato dalla ditta brindisina per la riscossione del debito residuo. Ma anche in questo caso, l’imprenditore non si sarebbe piegato. Niente soldi a disposizione, niente versamenti. Poiché le pressioni di Duma non avrebbero avuto gli esiti sperati, si sarebbe a quel punto fatto avanti, in un vero e proprio meccanismo di logoramento psicologico, un nuovo incaricato. Ed ecco comparire un altro pluripregiudicato, Roberto Longo. Ma il tempo sarebbe trascorso senza riscontri, fino a muovere Alligri a ritornare sulla scena, per proporre all’imprenditore un incontro diretto e risolutore della faccenda. Incontro che sarebbe avvenuto, ma alla presenza (di certo inattesa) anche di Duma. Una figura che avrebbe intimorito l’uomo, il quale, per evitare ritorsioni, avrebbe promesso di tornare ad emettere cambiali.

Tant’è. Di denaro sembra davvero che non ne avesse, e di fronte alle inevitabili inadempienze, per convincere il debitore a dare un taglio definitivo, ecco che improvvisamente si sarebbe fatta avanti una nuova figura, quella di Salvatore Maceri, altro personaggio di spicco della malavita di Nardò. E Maceri non si sarebbe limitato agli avvertimenti, arrivando, piuttosto, in uno scatto d’ira, a mollare in faccia all’imprenditore un violento ceffone.

L’uomo, divincolatosi, si sarebbe poi recato presso la caserma dei carabinieri (dov’era già stato in precedenza), presentando una nuova denuncia. L’ultimo atto, prima delle manette. Tutta la vicenda, infatti, è stata tenuta sotto controllo dai miliari, nella sua evoluzione. L’attività d’indagine si è sviluppata con intercettazioni telefoniche, appostamenti e pedinamenti, ma anche registrazioni video e riproduzione fotografiche. Importante pure lo studio di tabulati telefonici acquisiti. Migliaia di pagine, per accertare collegamenti ed arrivare all’emissione degli ordini d’arresto.

I neretini in supporto dei mesagnesi: nuove dinamiche

L’imprenditore sarebbe stato scelto, rispetto alla nuova società, per muovere le richieste di denaro, giacché ritenuto probabilmente l’anello debole della catena. “Ma la peculiarità di questa storia – ha spiegato Cataldo Motta -, è l’intervento di tre esponenti ben conosciuti della criminalità organizzata neretina, condannati con il 416 bis. Si tratta di un territorio storico per le vicende della Sacra corona unita, insieme a quello della vicina Galatone. E c’è un collegamento con la criminalità organizzata, sempre della Scu, di un territorio lontano, della provincia di Brindisi”.

Un collegamento importante – ha rimarcato -, perché nell’intimidazione che viene posta in essere, si fa riferimento alla necessità di pagare in quanto, se fosse stata direttamente interessata la criminalità organizzata di Nardò, si sarebbe potuti addivenire ad una conclusione diversa. Per esempio, si sarebbe potuta versare una quota a favore dei detenuti della Scu, e questo avrebbe costituito il pagamento di quanto era ritenuto dovuto. Ma qui – ha proseguito Motta - l’intervento era fatto per conto dei mesagnesi, altro gruppo storico. Uno scambio di favori di carattere interprovinciale. La conferma che si è tornati ad operare in un settore più sommerso, senza manifestazioni clamorose, come attentati incendiari”.

Un’ultima analisi, doverosa, il procuratore Motta, l’uomo che ha piegato la Scu negli anni di piombo, per alcuni meccanismi legislativi che non ha esitato a definire “perversi”. “Ritengo che uno dei mali della giustizia sia l’incertezza della pena”, ha detto, in riferimento al fatto che i tre esponenti fossero a piede libero. “Un esempio esplicativo su tutti: forse Salvatore Padovano sarebbe ancora vivo se non avesse avuto cinque anni di libertà anticipata, cioè se avesse scontato l’intera pena”.

“E’ motivo di soddisfazione la notizia che arriva da Nardò relativa agli arresti effettuati dai carabinieri di quattro autori di estorsioni ai danni di un imprenditore leccese”. Questo il commento a caldo del sottosegretario al ministero degli Interni, Alfredo Mantovano. “Il felice esito delle indagini, avviate nel dicembre scorso a seguito della denuncia della vittima, dimostra ancora una volta che la fiducia nel lavoro delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria porta a immediati risultati positivi; ciò deve indurre gli onesti ad affidarsi sempre di più alle Istituzioni. Al comandante provinciale dell’Arma, colonnello Maurizio Ferla, e ai militari della compagnia di Gallipoli ribadisco stima e gratitudine”.

da LeccePrima

Perché il decreto è incostituzionale


di Massimo Villone
Alla fine, il misfatto si compie. Il governo con decreto-legge modifica le regole in corsa, e stravolge la competizione elettorale a vantaggio della propria parte.
Questo infatti è accaduto. È del tutto inconsistente lo schermo di una norma che si autodefinisce interpretativa. Anzitutto, a nulla vale argomentare che la decisione è lasciata ai giudici. Il problema non è chi deciderà applicando la norma, ma quale norma si dovrà applicare. Perché la norma sia davvero interpretativa, bisogna supporre che in una medesima disposizione preesistente in realtà convivano più potenzialità normative.
E che il legislatore scelga tra i possibili e molteplici significati uno compiutamente già presente. Non a caso, una norma interpretativa viene a valle di contrasti giurisprudenziali, di dubbi applicativi, di incertezze evidenziate dall'esperienza. Nulla di questo è alla base dei pasticci degli ultimi giorni. Tutti assumono che vi sia stato pressapochismo da parte dei presentatori, o peggio. E allora cosa dobbiamo mai interpretare?
Emerge anche un dubbio sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza ex art. 77 Cost. È in corso il procedimento elettorale. Sono state assunte decisioni, sono in atto impugnative davanti ai giudici competenti. Nessuno può sapere se sarà adottata una interpretazione o un'altra. E allora dov'è la necessità e l'urgenza di definire ex lege l'interpretazione corretta? Non è invece che si anticipa la certezza di una interpretazione sfavorevole? Ma in tal caso abbiamo un indizio evidente che non si tratta di norma interpretativa volta a chiarire, ma di norma nuova e modificativa di quella esistente.
Non si fermano qui le forzature e violazioni della Costituzione. Anzitutto, in materia costituzionale ed elettorale il decreto-legge è precluso. Lo stabilisce l'art. 72, comma 4, della Costituzione. È già dubbio che con decreto-legge si possa metter mano a marginali tecnicalità della competizione elettorale. Ma di sicuro non si può ricorrere al decreto per fissare l'interpretazione delle regole sulla presentazione delle liste. In nessun modo questa può considerarsi una marginale tecnicalità. Inevitabilmente, si incide sul voto, e questo senza dubbio preclude il ricorso al decreto. Dunque, la stessa definizione che il governo dà del proprio intervento in chiave di norma interpretativa evidenzia di per sé il contrasto con l'art. 72, quarto comma, della Costituzione.
Decisivo è poi che in materia elettorale la forma è sostanza. Il principio di fondo della competizione elettorale è la par condicio delle forze in campo. E il primo indispensabile presupposto perché tale par condicio vi sia è il rispetto assoluto delle regole. Cambiarle in corsa comporta inevitabilmente un vantaggio indebito per l'uno, un danno ingiusto per l'altro. E di sicuro incide - poco o molto non importa - sull'esito. Questo viola molteplici norme della Costituzione. Non solo, com'è ovvio, gli artt. 2 e 3, ma soprattutto l'art. 48 Cost., perché il voto dell'elettore è davvero eguale solo se l'offerta politica in ordine alla quale il diritto si esercita è stata avanzata nel pieno rispetto della par condicio. Ed anche l'art. 51 Cost., perché viene distorta la condizione di parità nell'accesso alla carica elettiva da parte dei candidati. Ancor più l'art. 49, perché si nega il diritto dei cittadini a partecipare «con metodo democratico» alla politica nazionale. Proprio in quel metodo troviamo un connotato indispensabile della partecipazione. Ed è per realizzare anzitutto il fine ultimo dell'art. 49 Cost. che si presentano liste e si compete per il consenso. Ma dov'è il metodo democratico se si usa la clava del decreto-legge per ribattere la palla nell'altra metà del campo? Cosa c'è di democratico se si ricorre alla forza della legge per cambiare le regole a proprio vantaggio, per cancellare gli effetti negativi dei propri errori politici, della propria incapacità di sedare la rissa di tutti contro tutti e formare per tempo le liste secondo quanto prescritto?
Un segnale drammaticamente negativo. Che intanto getta nella precarietà il risultato elettorale, perché rimarrà probabilmente possibile far valere i vizi davanti alla Corte costituzionale. Ma forse per un costituzionalista conta ancor più la prova - e non è certo la prima - che cede uno dei pilastri della Costituzione come armatura dei diritti e delle libertà. Non a caso nella Parte I della Costituzione è centrale la riserva di legge. Non a caso troviamo diritti e libertà presidiati da quella riserva. La ragione la vediamo nella legge come massima espressione di partecipazione democratica. Ma nella confusione politica e istituzionale del nostro tempo e nel bipolarismo coatto con la gruccia del maggioritario in cui viviamo la legge esprime i numeri, ma non la sostanza di una partecipazione democratica. Nella legge non ci siamo tutti, ma solo quelli che hanno i numeri utili nell'assemblea elettiva, magari per consenso gonfiato da un premio di maggioranza. Ancor più quando si tratta di decreti-legge.
Pensavamo di aver toccato il fondo con escort, cacicchi, amici, mogli o segretari particolari in corsa per un seggio. Non sapevamo ancora degli spuntini. Come anche avevamo già sentito di leggi-truffa in materia elettorale. Da oggi abbiamo anche il decreto-truffa.

da Il Manifesto

MANNARINO - SVEGLIATEVI ITALIANI !!!



MANNARINO - SVEGLIATEVI ITALIANI

Svegliatevi italiani brava gente
qua la truffa è grossa e congegnata
lavoro intermittente
solo un'emittente
pure l'aria pura va pagata

In giro giran tutti allegramente
con la camicia nuova strafirmata
nessuno che ti sente
parli inutilmente
pensan tutti alla prossima rata

Soldi pesanti d'oro colato
questo paese s'è indebitato
soldi di piombo soldi d'argento
sono rimasti sul pavimento
e la poesia cosa leggera
persa nel vento s'è fatta preghiera
SI SPRECA LA LUCE SI PASSA LA CERA
SOPRA IL SILENZIO DI QUESTA GALERA

In giro giran tutti a pecorone
sotto i precetti della madre chiesa
in fila in processione
in fila in comunione
in fila con le buste della spesa

Giovanni grida solo per la via:
"fermatevi parliamo di poesia"
ma tutti vanno avanti
contano i contanti
minaccian di chiamar la polizia

Soldi pesanti d'oro colato
questo paese s'è indebitato
soldi di piombo soldi d'argento
sono rimasti sul pavimento
e la poesia cosa leggera
persa nel vento s'è fatta preghiera
SI SPRECA LA LUCE SI PASSA LA CERA
SOPRA IL SILENZIO DI QUESTA GALERA

Soldi pesanti d'oro colato
questo paese s'è indebitato
soldi di piombo soldi d'argento
sono rimasti sul pavimento
e la poesia cosa leggera
persa nel vento s'è fatta preghiera
SI SPRECA LA LUCE SI PASSA LA CERA
SOPRA IL SILENZIO DI QUESTA GALERA

e la poesia cosa leggera
persa nel vento s'è fatta galera
SI SPRECA LA LUCE SI PASSA LA CERA
SOPRA IL SILENZIO DI QUESTA PREGHIERA

Quando Napolitano prendeva i soldi da Berlusconi


1987, Berlusconi finanziava la corrente PCI di Napolitano. Una storia che arriva fino a noi

di Senza Soste
Nei giorni scorsi sono arrivate due significative dichiarazioni di Massimo D'Alema e Piero Fassino che difendevano il diritto del PDL ad essere ammesso alle elezioni regionali in Lombardia. Eppure la possibilità di far fuori il PDL, in una regione chiave del paese, era concreta e persino perfettamente legale.
Come mai tutto questo fair play da parte degli esponenti PD provenienti dall'esperienza del PCI? E come mai questo fair play si esercita in Lombardia, nel cuore del potere berlusconiano?
Certo al PD il decreto "interpretativo" non piace, preferiva altre soluzioni per salvare il PDL e l'ha fatto capire D'Alema all'Ansa. Si trattava come sempre, per il partito di Bersani, di conciliare il conflitto contingente con il PDL con alcune intese di fondo con il centrodestra.
Intese che furono ricordate un giorno in aula da Luciano Violante che, indispettito dal comportamento del centrodestra, disse che se le cose continuavano in quel modo il centrosinistra avrebbe toccato le televisioni di Berlusconi. "Non l'abbiamo mai fatto per gli accordi che sapete" disse l'ex presidente del senato, facendo capire la portata della minaccia ma anche l'importanza degli accordi. Quegli accordi che formano la costituzione materiale della seconda repubblica. Quelli che portano a dire agli esponenti del PD che l'antiberlusconismo non è un valore. Capire quali in fondo non è difficile. Basta aprire il giornale la mattina.

Ma in quali radici affondano le intese tra reduci del PCI e Berlusconi? Temporalmente parlando si risale a prima della caduta del muro di Berlino. A quando, secondo la storia alla Orwell di oggi, il PCI prendeva montagne di rubli da Mosca e Berlusconi sosteneva il mondo libero. Ma rubli e "mondo libero" sono questioni degli anni '50 mentre negli anni '80 l'integerrimo anticomunista Berlusconi il PCI lo finanziava eccome. E finanziava proprio la corrente del PCI di Giorgio Napolitano, per capire come i protagonisti del decreto di oggi non solo si conoscano da tempo ma abbiano storiche intese suggellate da finanziamenti e da convergenze di interessi di potere.

Del resto, proprio nel 1987 a Roma il PCI organizzò un convegno sul futuro della televisione italiana. I tre principali relatori furono Massimo D'Alema, Walter Veltroni e..Silvio Berlusconi. Il quale, lungi dallo scatenarsi contro i comunisti, fece una relazione densa di elogi verso il PCI per il ruolo che questo aveva assunto per lo sviluppo della comunicazione e del pluralismo in Italia.
Per capire il clima dell'epoca è utile la lettura di un libro "Il Baratto" (Il PCI e le televisioni: le intese e gli scambi fra il comunista Veltroni e l’affarista Berlusconi negli anni Ottanta. Kaos edizioni, 2008) di Michele De Lucia.

http://www.scuolanticoli.com/libri/pagelibri_016.htm

E soprattutto sono utili gli estratti del libro per comprendere subito i rapporti materiali ed ideologici che intercorrevano tra Napolitano e Berlusconi nel 1987.
Materiali, perchè la Fininvest finanziava con la pubblicità la strategica corrente milanese di Napolitano, ideologici perchè la corrente di Napolitano magnificava il tipo di capitalismo rappresentato dal cavaliere di Arcore.
Questo per far capire la storia reale d'Italia, le radici antiche delle intese tra Berlusconi ed i reduci del PCI e per comprendere che se l'Italia si vuol liberare dal ducetto di Arcore deve anche tagliare le antiche radici di certi accordi. Che rappresentano una assicurazione sulla vita per Berlusconi e sulla carriera per i personaggi appena citati.

Napolitano viene da lontano. Era migliorista e berlusconiano. Gli articoli del suo settimanale "Il Moderno" (con pubblicità Finivest anni '80) superano persino le poesie di Bondi al "caro leader".

"Ad aprile del 1985 esce a Milano il primo numero de Il Moderno, mensile (poi settimanale) della corrente “migliorista” del Pci (la destra tecnocratica e filo-craxiana del partito, guidata da Giorgio Napolitano). Animato da Gianni Cervetti… all’insegna dello slogan “l’innovazione nella società, nell’economia, nella cultura” (p. 104)."
"Intanto a Milano il numero di febbraio 1986 de Il Moderno… scrive che “la rivoluzione Berlusconi [è] di gran lunga la più importante, cui ancora qualcuno si ostina a non portare il rispetto che merita per essere stato il principale agente di modernizzazione, nelle aziende, nelle agenzie, nei media concorrenti. Una rivoluzione che ha trasformato Milano in capitale televisiva e che ha fatto nascere, oltre a una cultura pubblicitaria nuova, mille strutture e capacità pro­duttive” (p. 115)".
«Il numero di aprile 1987 ... esce con un’intera pagina pubblicitaria della Fininvest. È la prima di una lunga serie di inserzioni pubblicitarie dalla misteriosa utilità per l’inserzionista, dato che il giornale è semi-clandestino e vende meno di 500 copie… Intanto uno dei fondatori del Moderno, l’onorevole Gianni Cervetti, alla metà di aprile è di nuovo a Mosca… E il 18 aprile l’a­genzia Ansa da Mosca informa che in Urss, insieme al compagno Cervetti, c’è anche Canale 5… (pp 126 -- 127)".
"A giugno 1989 ... pubblica un megaservizio su Giocare al calcio a Milano. Con un panegirico sul Berlusconi miracoloso presidente milanista che “ha cambiato tutto: adesso la sua squadra è una vera e propria azienda,” e così via. Il giornale della corrente di destra del Pci è ormai un bollettino della Fininvest, e le pagine di pubblicità comprate dal gruppo berlusconiano ormai non si contano (p. 148)".(*)

(*) Testi tratti dal libro: "Il Baratto" dal blog www.dirittodicritica.com.

da Indymedia

Quei bravi ragazzi

Lo scorso anno l’ex presidente argentino Eduardo Duhalde ha fatto un viaggio in Italia, dove ha presenziato a una serie di eventi e cerimonie insieme ad alcuni suoi vecchi amici berlusconiani, conosciuti tramite Esteban “Cacho” Caselli.

Caselli è stato ambasciatore presso il Vaticano durante il governo di Menem, ex funzionario sotto Duhalde e oggi è senatore per gli italiani all’estero, circoscrizione Sudamerica.
Ma tra i buoni amici di Duhalde c’è anche Nicola Di Girolamo, che la settimana scorsa ha dovuto rinunciare al suo seggio al senato a causa delle rivelazioni sui suoi rapporti con la ‘ndrangheta.

Il quotidiano argentino Página 12 si occupa dei legami poco chiari tra politici e funzionari italiani e argentini: “Il 24 febbraio 2009 Duhalde, che anche se non lo ammette vorrebbe tornare a guidare l’Argentina, ha partecipato al convegno dell’Associazione italiani nel mondo, che ha l’obiettivo di ‘occuparsi della formazione sociale degli italiani emigrati seguendo la dottrina cristiana e i valori divini’. Dio, si sa, è dappertutto, e sembra aver trasferito il dono dell’ubiquità anche ai suoi fedeli: Di Girolamo, per esempio, è stato eletto come rappresentante degli italiani in Belgio. Paese che, a quanto pare, ha visto solo di sfuggita. Ora si sospetta che siano stati i suoi amici della mafia calabrese a farlo eleggere”.

Un mese dopo la visita di Duhalde in Italia l’Associazione Italiani nel mondo ha dato vita alla campagna per portare “Cacho” Caselli alla presidenza dell’Argentina nel 2011, mentre suo figlio Antonio cercava di arrivare alla presidenza del River Plate. Padre e figlio sono anche rappresentanti del Sovrano ordine di Malta, un ordine religioso cattolico. Infine, un altro politico italiano legato ai Caselli è Sergio De Gregorio, anche lui sospettato di avere legami con la mafia.

da Internazionale