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lunedì 5 aprile 2010

Decine di miglia di bambini nativi americani torturati,violentati,uccisi da preti in scuole cattoliche canadesi! Il documentario



Il documentario “Unrepentant: Kevin Annett and Canada’s Genocide” descrive la storia personale di Kevin Annett quando, nelle veste di reverendo, si è scontrato con la Chiesa Unita per il suo interessamento ai fatti accaduti
nelle scuole residenziali canadesi e il genocidio commesso dai responsabili religiosi di queste scuole, dove centinaia di migliaia di bambini Nativi sono stati rinchiusi, dopo essere stati rapiti alle famiglie, e costretti a parlare solo inglese, a dimenticare la propria cultura e a professare la religione cristiana.
Qui hanno subito violenze fisiche e sessuali, elettroshock, sterilizzazioni e, in molti casi, la morte.
Il film ha ricevuto numerosi premi, al New York Independent Film and Video Festival nel 2006 e come miglior documentario al Los Angeles Independent Film Festival nel marzo 2007.
Questa versione sottotitolata in italiano è frutto di un lavoro di numerose persone, in primo luogo Kevin Annett, Nativi Americani.it e Stefania Pontone, Cristina Merlo, Vittorio Delle Fratte, White Tara Production.

Se la comicità inciampa nel sessismo


di Paolo Bonazzi, Ida Dominijanni

Care compagne/i, rivolgo questa lettera in particolare alle donne del manifesto per avere un conforto.Durante la diretta di Raiperunanotte io e la mia compagna ci siamo sbellicati dalle risate per il monologo di Daniele Luttazzi, che personalmente ritengo il più grande comico satirico in Italia. Scopro poi che tale monologo ha sollevato parecchie ire e critiche da parte di molte donne per il noto riferimento alla pratica di sesso anale quale analogia con l'Italia di ieri e di oggi: 1. Berlusconi forza l'opinione pubblica usando tutta la sua potenza mediatica; 2. Berlusconi penetra il consenso trovando una mediocre e condiscendente opposizione; 3. il popolo penetrato gode. La pratica di sesso anale, insomma, è puro sessismo e parlarne, anche come metafora comica, è da machisti. Non mi sto a concentrare sul fatto che sia anche un atto omosessuale maschile, e che d'altronde gli esempi riportati da Luttazzi all'acme del monologo riguardavano solo uomini (Saccà), i più servili e sottomessi in questa metafora.
Io l'ho trovata esilarante, ben conoscendo il linguaggio forte ed i ritmi incalzanti dell'attore che ha cercato sempre di farci ridere sui nostri disagi e tabù sessuali. Ritengo che la sottomissione della donna nella società moderna ed in questo nostro paese non vada cercata nelle camere da letto, dove agiscono altre dinamiche e desideri. Credo sia sessista la comicità di certi innocui monologhi di Zelig, in cui la donna è dipinta come una scassapalle che pensa solo a far shopping e a torturare il marito rientrato da una faticosa - solo per lui - giornata lavorativa. E che dire dei balletti chemettono in scena un lesbismo che è ovviamente quello che abita i nostri desideri onanistici maschili? E le pubblicità e i video musicali? Gli esempi sono infiniti. Fate caso a quante volte non viene rappresentato il sesso, ma una pura violenza. Uno stupro che la donna agogna dal suo padrone. Luttazzi non ha parlato di questo.
Personalmente porto avanti, insieme alla mia compagna, un rapporto basato sulla totale uguaglianza, frutto non già di concessioni, ma di reciproche responsabilità, riconosciute e condivise, rivendicate, quando serve. Mi piace che questo aspetto della mia vita sia coerente con lemie idee politiche di uguaglianza e libertà, e mi piace che questa dinamica mi dia piacere. Non sono un forzato dell'uguaglianza. Ora, ho profondo rispetto per chiunque si sia sentita offesa e mi sto ponendo delle domande. Vorrei però chiedere a chi c'era, Norma Rangeri, o anche a chi ha sempre parlato di questi argomenti, Ida Dominijanni, o a voi del manifesto se di tali risate mi devo vergognare. Tengo in enorme conto le vostre opinioni e saprò farne tesoro. Ma mi chiedo: davvero la sottomissione, l'ineguaglianza di genere ed il sessismo derivano dalle pratiche sessuali - anche estreme - e queste pratiche ne sono una perversa estensione in camera da letto? Non sono invece indice di un potere e di uno sfruttamento che ha mercificato l'oggetto del desiderio come conseguenza del suo essere socialmente inferiore?
Davvero è colpa del sesso e del piacere che può derivare da pratiche di sottomissione che sono tante, intersessiste e di infinita fantasia?
Paolo Bonazzi, Bologna

Risponde Ida Dominijanni
Caro Paolo,
il confine fra pratiche sessuali, immaginario sessuale e ruoli sessuali è molto poroso: è vero che bisogna sforzarsi di tenerli distinti, ma è falso che possiamo separarli con un taglio netto. Sono del tutto d'accordo con te che le pratiche sessuali vanno tenute distinte dal sessismo sociale, e che se il secondo va combattuto alle prime va lasciata la massima libertà; ma è pur vero, d'altra parte, che da un anno combattiamo contro un certo uso sessista, o certe ricadute sociali sessiste, di un certo immaginario sessuale, berlusconiano ed evidentemente non solo berlusconiano. A questo si aggiunge, nel caso che tu poni, il modo in cui tutto questo viene messo in scena, e la necessità di garantire da una parte la libertà d'espressione di un artista, dall'altra la libertà di critica del pubblico (due libertà ugualmente sacrosante).
Personalmente non ho niente contro l'idea di mettere in scena il rapporto sociale sadomasochista con un monologo sul sesso anale; mi domando però come mai in quel monologo il sesso anale venisse rappresentato naturalmente come atto sessuale di un uomo violento sul corpo di una donna sottomessa.
Come tu stesso dici, c'erano altre rappresentazioni possibili, e non credo che questa sia stata scelta a caso. Ma se la rappresentazione del rapporto sociale sadomasochista prende naturalmente la forma di un rapporto violento di un uomo su una donna, io non mi diverto affatto e ci trovo, sì, la doppia traccia della normatività eterosessuale e del sessismo.
Ma si tratta, ovviamente, di valutazioni personali.

da Il Manifesto

Turbolenze Sudafrica: ucciso leader dell'estrema destra razzista


Eugene Terreblanche, 69 anni, leader del Movimento di Resistenza Afrikaner (Awb), retaggio razzista dell'estrema destra sudafricana sopravvissuto alla fine del regime d'apartheid, è stato ucciso nella sua proprietà agricola nel nordovest del paese. Incarnazione dell'opposizione bianca ad ogni ipotesi di superamento del razzismo di Stato e condensatore dei pruriti e delle rivendicazioni segregazioniste di parte della minoranza white. Terreblanche è stato assalito da due suoi giovani dipendenti neri di 15 e 21 anni, in seguito ad una diatriba nata per il mancato pagamento del lavoro effettuato nella sua tenuta agricola. Avvenimento di sangue che, al di la della natura razzista del personaggio Terreblanche (...), non ha in se particolarità rilevanti; ne avvengono sporadicamente dappertutto, rabbia e frustrazione contro il comando prepotente del padrone di turno, bianco o nero che sia. La differenza, in questo caso, la demarca il contesto: un Sudafrica che arranca nel superamento reale delle discriminazioni razziste, immersa nei macro e micro conflitti sociali che l'imperversano, avviato verso la vetrina internazionale dei mondiali di calcio 2010 nell'emersione e, per certi versi, esplosione, delle contraddizioni e delle conflittualità sopite.

Terreblanche, ex poliziotto e proprietario agricolo, fondò il suo movimento d'estrema destra negli anni '70: molti esponenti razzisti anche sotto l'apartheid furono condannati per detenzioni di armi ed esplosivi, all'inizio degli anni '90 le sfilate paramilitari dell'Awb assunsero lo spazio pubblico anche di "rivendicazione" delle azioni violente e degli attentati dinamitardi compiuti dal gruppo contro i neri. Il leader segregazionista nel 2001 fu condotto in carcere per tentato omicidio, per aver picchiato con una spranga di ferro un vigile nero, al quale provocò lesioni celebrali irreversibili. Nel timore di una nuova escalation di conflitto interrazziale il presidente sudafricano Jacob Zuma ha invitato alla calma, lo stesso ha fatto, da altra angolatura, il partito razzista di Terreblanche, preannunciando però che l'Awb vendicherà l'assassinio contro il suo leader...

da Infoaut

Non mi uccise la morte - Un fumetto su Stefano Cucchi


Intervista a Toni Bruno, disegnatore del libro.

Intervista al disegnatore Toni Bruno, co-autore assieme allo sceneggiatore Luca Moretti del libro Non mi uccise la morte, appena pubblicato da Castelvecchi Editore dedicato al caso di Stefano Cucchi, il ragazzo morto pochi mesi fa in circostanze quantomeno poco chiare dopo essere stato arrestato per la detenzione di pochi grammi di hashish.

Quando vi è venuta l’idea del libro a fumetti sul caso Cucchi?

Collaboriamo da diverso tempo, Luca sostiene io sia “le mani che non ha mai avuto” e probabilmente lui rappresenta quell’immaginazione che stento spesso a ritrovare. Questo caso ci avevaparecchio sconcertato, abbiamo pensato di poter sfruttare uno strumento tanto diretto come il fumetto, per far conoscere al maggior numero di persone questa storia.

Come avete lavorato?

Ogni giorno ci sentivamo scambiandoci informazioni. Luca si è occupato della ricerca documentaria e della sceneggiatura, io disegnavo e gli mostravo le tavole per essere sicuro di aver interpretato al meglio le sue parole.Si era creata una sorta di simbiosi mitopoietica, abbiamo vestito uno i panni dell’altro. E’ stato molto faticoso, ma ce l’abbiamo fatta.

Quali fonti avete utilizzato per documentarvi?

Fonti su internet come foto e video, tutta la documentazione clinica messa a disposizione dalla famiglia Cucchi e oggi reperibile sul blog del libro “nonmiucciselamorte.blogspot.com”. Abito giusto dietro Tor Pignattara quindi conoscevo bene la zona e ripercorrere quelle strade dopo l'accaduto è stato molto strano, cercavo nello sguardo di ognuno un senso d'appartenenza a quella rabbia e mi chiedevo: come si può disegnare la sete di giustizia?

Avete avuto rapporti, per realizzare il libro, con la famiglia? Cosa ne pensano di un fumetto sul caso?

Luca è in contatto continuo con Ilaria Cucchi, gli ha mostrato il suo saggio e le tavole prima che il libro andasse alle stampe. Ilaria sarà con noi per la prima presentazione del libro che faremo nel corso di una serata in memoria di Stefano all’Angelo Mai di Roma il 14 aprile.

A mia memoria è il primo “istant book” su un caso di cronaca, cioè un fumetto realizzato quasi in “diretta” rispetto al caso trattato. Pensate che il vostro lavoro possa contribuire a far luce sull’omicidio di Stefano Cucchi?

Sono certo di una reazione da parte del lettore. Il fumetto nasce come arte popolare, tante cose ricostruite nel libro, sono state omesse dai media e con questo libro vogliamo farle riemergere, fare chiarezza su “una storia che riguarda tutti.”

da Global Project

Lega, razzismo e mafia

di Claudio Metallo e Antonello Mangano
Mentre vietano il kebab, la ‘ndrangheta si mangia la «Padania». Dopo il trionfo elettorale della Lega, proseguirà al Nord il delirio securitario, già avviato con ordinanze anticostituzionali e provvedimenti da tempo di guerra. Nel frattempo, le organizzazioni criminali di tipo mafioso si sono installate stabilmente: non si limitano al riciclaggio ma puntano a controllare il territorio, gli appalti, gli enti locali. Letizia Moratti ha chiesto al ministro Maroni un decreto legge per permettere di perquisire le case dei migranti. Anche senza mandato, per individuare i «clandestini». Siamo ritornati a un clima da nazifascismo e alle leggi razziali che creano ghetti e schiavi. L’ordinanza «antidegrado» per via Padova prevede la chiusura alle 22 per le rivendite di kebab e i phone center, cioè luoghi in cui si comunica con i paesi d’origine, di diverso fuso orario, e che spesso stanno aperti a qualunque ora. Per i «centri massaggi» il coprifuoco scatta alle 20, alle 2 per le discoteche, alle 24 per i ristoranti. Norme da tempo di guerra, ma anche gli ultimi di una lunga serie di provvedimenti e proposte di stampo nazista. Autisti Atm italiani. Vagoni del metro riservati agli stranieri. Autobus con le grate ai finestrini usati per rinchiudere migranti senza documenti.
Curiosamente, il sindaco di Milano, come il ministro Maroni e il presidente della Regione Formigoni, non si preoccupa minimamente delle mafie che in «Padania» ormai sono entrate negli appalti e nelle forniture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno a Milano, Varese, Brescia. Che spesso impongono il pizzo ai negozianti, senza che siano nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che la mafia non esiste al Nord. Il problema mafioso non è entrato nella campagna elettorale delle elezioni regionali. E’ chiaro che al Sud il problema è gigantesco, ma non bisogna sottovalutare le candidature e la pulizia delle liste in nessuna parte d’Italia.
A Legnano, roccaforte della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e abbandonato nelle campagne Cataldo Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007 viene ucciso a Tagliuno [Bergamo] Leone Signorelli, raffinatore di cocaina colombiana che rivendeva alla ‘ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer aspettano davanti casa Giuseppe Realini, artigiano del legno bergamasco. «Si ammazzano tra loro?». Non è così semplice. Secondo la Procura Realini sarebbe stato ucciso perché unico testimone del delitto Signorelli, a cui erano legati altri due morti ammazzati: Cataldo Murano e Giuseppe Russo, a loro volta connessi al clan Filippelli, alleati ai Rispoli che controllano proprio Legnano. Il cerchio si chiude proprio dove fu ucciso Aloisio: il suo cadavere fu fatto ritrovare di fronte al cimitero dove è sepolto Carmelo Novella, esponente dell’omonimo clan catanzarese di Guardavalle, ucciso al bar in un pomeriggio d’estate a San Vittore Olona, a metà strada tra Milano e Varese. Tutto ciò è avvenuto, non alle falde dell’Aspromonte o sulle coste calabresi, ma nel cuore della «Padania». Il settimanale l’Espresso ha recentemente ricostruito ben 25 omicidi di mafia compiuti nel Nord negli ultimi 10 anni. Questi fatti non hanno richiesto nessuna ordinanza comunale, riunioni straordinarie in Prefettura e nemmeno decreti d’urgenza. Nessuna emergenza sicurezza.
Se sei nero cambia tutto. La commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione, quella della legislatura del secondo governo Prodi [2006-2008], è riuscita a mappare le famiglie mafiose operanti in Italia e ha prodotto una dettagliata relazione in meno di due anni di lavoro. L’attuale commissione deve ancora battere un colpo per capire se è in vita. Secondo l’ente presieduto da Forgione, dunque, in Lombardia operano, con tutta probabilità, le famiglie De Stefano, Morabito-Bruzzaniti-Palamara, Farao-Marincola, Sergi, Mancuso, Iamonte, Falzea, Arena, Mazzafferro, Facchineri, Bellocco, Mammoliti, Imerti-Condello-Fontana, Paviglianiti, Piromalli, Ursini-Macrì, Papalia-Barbaro, Trovato, Latella, Versace, Morabito-Mollica.
Il paese dove si sono insediati i Papalia-Barbaro – Buccinasco – viene chiamato la Platì del nord. Al sindaco di centrosinistra, Maurizio Carbonera, è stata incendiata la macchina tre volte, tra il marzo del 2003 e il novembre 2005, mentre era impegnato nell’approvazione del nuovo piano regolatore, non gradito alla cosca. Per tutta risposta, la regione Lombardia ha promulgato una legge che impedisce di cucinare kebab nei centri storici.
Ad Adro [Brescia], c’è una taglia di 500 euro che verrà versata a ogni vigile che catturerà un clandestino. A Voghera, si è deciso che non si ci può sedere sulle panchine in più di tre persone, per evitare assembramenti di stranieri. In altre regioni del Nord, afflitte comunque dal problema mafia, tutta l’attenzione è sulle panchine: a Vicenza devi avere almeno 70 anni se vuoi sederti, se no stai in piedi. A Sanremo, devi avere tra 0 e 12 anni oppure più di sessanta. Si potrebbe continuare con l’elenco di queste soluzioni per la sicurezza: ad esempio il «White Christmas» di Boccaglio, comune a sindacatura leghista, dove entro Natale 2008 si volevano stanare i migranti per cacciarli dal paese. Per sfuggire a questo clima razzista, spesso gli stranieri scappano verso sud. Dove trovano, ancora una volta, la ferocia italiana, fatta di mafia e sfruttamento.
La mafia non esiste. Secondo Libera, che ha tenuto a Milano la propria giornata nazionale antimafia 2010, sono 665 gli immobili e 165 le aziende confiscate in Lombardia, che la collocano al quinto posto tra le regioni italiane, preceduta solo da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Nel rapporto «Ombre nella nebbia», Libera sottolinea che occorre superare il vecchio luogo comune delle aree non tradizionali come zone di riciclaggio. Ormai anche lì si punta al controllo del territorio: ci sono clan insediati stabilmente da decenni e la reattività antimafiosa dei cittadini locali è spesso pari a zero. Nel giugno 2008, trecento poliziotti appoggiati da un elicottero hanno circondato i palazzi di Quarto Oggiaro, periferia milanese, all’alba. L’operazione ha messo in evidenza una situazione gravissima. Piazze-roccaforti e squadre di giovanissimi spacciatori con turni di lavoro precisi. Un «mercato a cielo aperto» con un giro d’affari di 800 mila euro al mese. Ma non a Scampia, bensì nella capitale della «Padania», la terra che ha scatenato una guerra ideologica contro il pericolo islamico ma che non sa nulla dei potentissimi clan crotonesi [quelli che investivano i proventi del crimine in Fastweb, per intendersi]. Le «profezie» sulla presenza mafiosa nei prossimi cantieri milanesi nell’Expo non hanno generato alcun provvedimento, anzi la tendenza è la riduzione nei controlli sugli appalti legati ai «grandi eventi». Le cosiddette «infiltrazioni» mafiose nei cantieri Tav del settentrione non hanno prodotto neppure un editoriale sdegnato.
Leggi criminogene. E’ facile diventare «clandestino» al tempo della crisi. Basta un licenziamento. Le settimane passano inesorabili verso lo scivolamento nell’irregolarità, ovvero uno status che è diventato reato col pacchetto sicurezza. Anche se rimani onesto, comunque rischi di finire dentro. Alla fine, una regola nata col pretesto della sicurezza potrebbe trascinare tante persone nell’illegalità e creare maggiore insicurezza.
La Bossi-Fini impedisce, nei fatti, l’arrivo in forme regolari. Nessun imprenditore assume un lavoratore dall’altra parte del mondo, senza averlo mai visto. E chi lo fa non può adattarsi ai tempi lunghi della burocrazia. Dunque si parte sempre più spesso con falsi contratti di lavoro, su cui ha già messo le mani la mafia. Nel salernitano, dove tanti marocchini sono stati fatti arrivare così e poi resi irregolari da imprenditori che si sono volatilizzati. A Reggio Calabria, dove le cosche Iamonte e Cordì hanno fatto entrare centinaia di indiani per poi condannarli alla condizione di invisibili.
La mafia ingrassa, la Lega costruisce immeritate carriere politiche. Il reato non è etnico, e non avrebbe senso sostituire alle campagna contro i migranti quella contro i meridionali, che segnarono gli esordi dei leghisti. L’unica lotta è quella contro il crimine organizzato e lo sfruttamento, come dimostrano le rivolte di Castel Volturno e Rosarno fatte dagli africani. Al contrario, la mancata reazione contro il crimine organizzato è la cartina di tornasole di società malsane, che non vogliono sicurezza ma semplicemente scaricare – con viltà – paure e incertezze sui più deboli. Oltre che clan italiani, nelle città del Nord ci sono gruppi stranieri sempre più forti: albanesi e soprattutto nigeriani. Ma a questi si sono opposti eroicamente solo le centinaia di donne – quasi sempre ex prostitute – che hanno denunciato i loro aguzzini nell’ambito dei programmi dell’articolo 18, rischiando la pelle. E che non hanno mai ottenuto un ringraziamento, una medaglia, un titolo in cronaca, una stretta di mano.
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da Carta