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sabato 17 aprile 2010

ASSEMBLEA APERTA DEL CIRCOLO DI SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA'


Aprirsi alla piazza, alla gente ed ascoltare le voci di tutti, anche di chi in genere non ha voce: ecco lo scopo dell'iniziativa del circolo cittadino di Sinistra Ecologià e LIbertà.

Per fare la democrazia partecipata non bastano gli slogan: ecco che Sel di Nardò organizza una assemblea aperta per sabato 17 aprile 2010 alle ore 18.30 in Piazza Salandra. Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare!

Sabato 17 aprile a Roma Scapicollatevi a San Giovanni


di Doriana Goracci
SABATO 17 aprile – ore 14.30 Appuntamento in Piazza San Giovanni ROMA
IO STO CON EMERGENCY


Non potevano certo sapere, quando è stata organizzata la Graffiti Convention a Roma, tantomeno l’amico Lapisanplus che mi aveva scritto SCAPICOLLATEVI ( lui ci viene dalla Francia per la Murata Collettiva a San Lorenzo, la 2 giorni dedicata all’arte urbana a cielo aperto) che gli avrei rubato le parole per Emergency, sabato 17 aprile, ne scrivo perchè Roma è anche questo
Non avrebbe mai pensato l’ISM Italia e Alfredo Tradardi di comunicare a tutti gli interessati che la riunione nazionale si fa per strada dove è possibile alle 15,30 angolo via Merulana Piazza San Giovanni, sabato 17 aprile a Roma.


Allora 3 in uno, così non stanco e anche se stanco lo stesso, ci provo a dirvelo e scrivervi quanto si “agita” tra chi non ci sta, a fare muro contro l’ingiustizia e di seguito inoltro il comunicato di Peacereporter ,Rete Disarmiamoli e la due giorni collettiva di quei graffitari sulle Mura di San Lorenzo, le stesse dove qualcuno incollò un manifesto con su scritto che la Liberazione è un esercizio quotidiano.A fine febbraio, Capi di governo e leader mondiali trovarono ad accoglierli, oltre al premier Berlusconi, un gruppo marmoreo originale del 175 d.C. raffigurante Marc’Aurelio e la moglie Faustina, Venere e Marte a Palazzo Chigi, simbolo di pace e governo illuminato.Dissero che “i soggetti non sono acefali“. Insomma, non hanno perso la testa, a differenza di altri particolari che mancano, come la mano destra della dea dell’Amore e il sesso del dio della Guerra. Dissero che rischiavano l’imballaggio a tempo indeterminato.La pace non è stata scaricata. Sembra che siamo tanti da casa, contro la guerra, contro il rifinanziamento, contro la menzogna.Sabato è un altro giorno contro la guerra.

Emergenza Emergency.

Scapicollatevi a Roma , fuori.Vi aspettiamo.

Doriana Goracci


Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell’Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.La manifestazione non è di carattere politico. Emergency chiede la liberazione degli arrestati in Afganistan, tuttora detenuti illegalmente e in violazione dei diritti umani fondamentali.
Emergency invita tutti i cittadini a partecipare con uno straccio bianco di pace e non con bandiere e simboli di partito.

Disarmiamoli: L’attacco pianificato contro Emergency è un palese tentativo delle potenze occidentali occupanti di screditare, rendere inoffensivo, impedire di operare ad un testimone diretto dei massacri e delle stragi generati dalla guerra condotta dalla coalizione bellica a guida USA contro gli afgani.Il blitz , l’arresto dei medici e degli operatori con accuse assurde, e l’occupazione della struttura ospedaliera a Lashkar Gah avviene a due mesi dall’inizio dell’operazione “Moshtarak” – la più grande dall’invasione del 2001. Un’offensiva militare condotta da 15.000 militari Isaf insieme a forze dell’esercito del governo afgano, a Marjah nel sud dell’Afghanistan. Fin dai primi giorni dell’azione di guerra trapelano notizie di profughi fuggiti dai bombardamenti e di morti tra i civili. Emergency denuncia il ruolo delle truppestatunitensi che impediscono alla Croce Rossa l’evacuazione e il soccorso dei civili feriti a Marjah attraverso il corridoio umanitario, e parlano di crimini di guerra riferendosi al recente premio Nobel per la pace Obama. All’improvviso e a sorpresa alla fine di marzo il presidente degli Stati Uniti arriva a Kabul per ascoltare dal generale McChrystal un “rapporto sul campo” sull’andamento del conflitto e per ringraziare le truppe per il lavoro svolto, sicuro- afferma Obama – di chiudere con successo la missione militare. Quindici giorni dopo c’è l’attacco ad Emergency. Sicuramente una coincidenza.Il ministro degli Esteri Frattini e quello alla Difesa – o meglio allaguerra – la Russa, tacciono come sempre, e Gino Strada rincara la dose – giustamente – chiamando delinquenti politici i parlamentari italiani che votano il rifinanziamento della missione militare e che non vedono la strage di civili in corso.GLI STESSI POLITICI CHE DA TRE ANNI LASCIANO 90 PROFUGHI AFGANI NELLE “BUCHE” DELLA PERIFERIA ROMANA, SENZA QUELLA ASSISTENZA MINIMA DOVUTA LORO IN BASE AL DIRITTOUMANITARIO INTERNAZIONALE. Nessuna pietà nè soldi per chi è fortunosamente scampato dalle bombe e dagli eserciti della NATO. Quello che è certo è che gli orrori della guerra – che la Nato e gli Usa non potranno mai vincere militarmente – non vanno nè visti nè raccontati. Invece è proprio questo che bisogna continuare a fare per inceppare la macchina bellica, le sue bugie, le mistificazioni e i suoi silenzi omertosi.VIA DALL’AFGHANISTAN,RITIRO DELLE TRUPPE, SOLIDARIETA’ ED ASSISTENZA AI PROFUGHI DI GUERRA. Rete nazionale Disarmiamoli info@disarmiamoli.org www.disarmiamioli.org

SCAPICOLLATEVI

Collective: Murata collettiva a San Lorenzo Roma 17-18 aprile, 2010 – Graffiti Convention

sabato 17 e domenica 18 Aprile 2010 a partire dalle h12 via degli Ausoni , Roma Due giornate dedicate all’arte urbana in via degli Ausoni, nel cuore di San Lorenzo.Da mezzogiorno al tramonto, 18 artisti coinvolti, oltre 120 metri di cemento trasformati in un’opera d’arte a cielo aperto. Performance, mercatino d’arte e artigianato, musica e djset

Senza cura


Dal nostro inviato a Kabul, le testimonianze dello staff di Emergency trasferito a Lashkargah dopo la chiusura dell'ospedale

L'inviato di PeaceReporter Enrico Piovesana
"Quando giovedì sera ho visto alla televisione, ad Annozero, la vignetta di Vauro sulla chiusura del nostro ospedale a Lashkargah, quella con il bambino abbandonato e la Morte con la falce in mano che gli dice, 'Non ti preoccupare piccolo, ci sono qua io', mi veniva da piangere. Se penso a loro, a tutti quei piccoli che stavamo curando e che ora chissà dove sono, mi si stringe il cuore".

Le parole di una delle quattro operatrici sanitarie 'reduci' da Lashkargah spiegano bene lo stato d'animo dello staff di Emergency dopo il forzato abbandono dell'ospedale in Helmand.

Sì, perché al di là dell'angoscia per la sorte di Marco, Matteo e Matteo e dei loro colleghi afgani a rattristare il personale della ong di Gino Strada c'è anche il destino, ormai segnato, della popolazione di Helmand. Di quei bambini, di quelle donne, di quegli anziani doppiamente vittime di questa guerra, che toglie loro non solo la pace, la salute e spesso la vita, ma anche il diritto umano di ricevere cure adeguate e gratuite.

Chiunque abbia messo piede nell'ospedale governativo di Bost, l'unico ora in funzione nell'intera provincia, sa cosa aspetta i feriti di guerra di quella regione. "Eravamo andati in visita al Bost Hospital solo pochi giorni prima di questa storia", racconta a PeaceReporter una delle infermiere evacuate da Lashkargah. "Abbiamo visto i corridoi sporchi di feci dei pazienti, c'era un odore nauseante. Le condizioni di quella struttura sono indescrivibili".

La gente di Lashkargah, che porta sul proprio corpo i segni delle cure ricevute da Emergency, ha comprensibilmente paura di protestare contro la chiusura dell'ospedale o di esprimere il suo sostegno all'ong italiana. Con l'aria che tira laggiù, chiunque lo facesse finirebbe immediatamente in galera con l'accusa di essere un talebano. Il sentimento della popolazione locale non può certo essere letto attraverso la ridicola manifestazione anti-Emergency inscenata da ventiquattro persone radunate dal governo nello stadio cittadino - non davanti all'ospedale. Nessuna telecamera racconterà lo sconforto dei genitori di Bibi, Ali, Fazel, Gulalay, Khudainazar, Akter, Roqia e di tutti gli altri bambini afgani quotidianamente sfigurati da bombe e mine che ora non potranno più contare sulle cure, gratuite, dello 'shafahan imergensì'.

La popolazione afgana di Kabul e delle province vicine, fino alla valle del Panjshir, dove la situazione politica è ben diversa da quella del profondo sud afgano, ha invece deciso di testimoniare la sua solidarietà a Emergency con una raccolta firme fatta a mano. In tre giorni sono arrivate alla sede dell'ong a Kabul 8.245 firme (fino alle 16, ora locale, di venerdì), molte delle quali date sotto forma di impronte digitali.
L'iniziativa è stata dello staff locale di Emergency. "Quando abbiamo detto loro che in Italia si stavano raccogliendo firme di sostegno - spiega a PeaceReporter la responsabile dell'ospedale di Emergency in Panshir - si sono proposti di fare altrettanto con un entusiasmo che ci ha lasciati incantati. Ci hanno detto che non vogliono che finisca come nel 2007, quando Emergency fu costretta a chiudere tutti i suoi ospedali nel paese. Anzi, loro hanno detto 'i nostri' ospedali".

da PeaceReporter

Le notti Hip-hop che sconvolsero il mondo


di Militant A Assalti Frontali
“La libertà è una strada percorsa poche volte dalla moltitudine”. Questa frase stampata sulla copertina del disco bomba dei Public Enemy, “It take a nation of million to hold us back” (ci vuole una nazione di milioni di persone per riportarci indietro), chiuse la prima era dell’hip-hop. Era la fine degli anni ’80. Il rap veniva da un periodo d’oro di creatività enorme. Nei ghetti malfamati e in rovina si era prodotta un’atmosfera di libertà artistica e di sperimentazione assoluta che aveva permesso la nascita di un linguaggio così esaltante che il mondo intero si voltò a guardare in quella direzione. Tutto si svolgeva nei parchi, all’aperto, o nei cortili dei project. Feste gratuite, ogni settimana, con allacci abusivi dei gruppi elettronici alla rete elettrica, in una eccitazione costante. Dopo alcuni omicidi c’era una tregua tra le gang di New York, decisa nel corso di un’assemblea ripresa anche nel film “I guerrieri della notte”, e ora i colori delle gang non avevano più importanza. L’elemento di distinzione divenne quello dello stile. Le feste erano celebrazioni dove esibire il proprio stile e lì si decideva chi fosse il più abile a mettere i dischi o a ballare o a parlare al microfono e a diventare quindi la “celebrità del ghetto”. I valori erano quelli che Afrika Bambaataa cantava nei suoi pezzi: Peace, Unity, Love and Fun. Lui aveva partecipato alla famosa assemblea della tregua e sapeva cosa significavano quelle parole. Non giravano soldi. Nessuno ancora concepiva che ci potesse essere qualcuno disposto a pagare per vedere un Dj o un rapper all’opera, quando ogni settimana questi si esibiva gratuitamente nel suo quartiere. Il primo rap in Italia nacque sotto l’influenza di quel periodo e di quello spirito. Io personalmente mi innamorai di quelle originarie radici dell’hip-hop e iniziai così a fare rap. Oggi molti mi domandano di rievocare quei tempi e nell’ultima settimana sono stato invitato a due conferenze sulla cultura hip-hop, una a Rimini e l’altra a Pisa, all’università, dove era presente anche Pippo “U.Net” Pipitone, senza dubbio uno dei più accreditati studiosi e conoscitori del genere nel mondo. Sono incontri organizzati dai centri sociali e dai movimenti universitari nati dall’onda che si interrogano sui linguaggi delle nuove generazioni precarie. I ventenni di oggi, venuti al mondo nell’89, crescono nel rap a modo loro, ma vogliono sapere. E c’è un grande attivismo locale. A Milano, a Reggio Emilia, a Empoli, a Roma, dentro i centri sociali nascono laboratori hip-hop che rievocano quello spirito comunitario e democratico. Non è ancora roba che riesce a entrare nelle radio (e chissà se mai ci entrerà), ma i ragazzi mi dicono che la più grande emozione per loro è sentire i pezzi che hanno appena registrato nei sound system durante le iniziative in piazza, come il primo marzo in occasione dello sciopero dei migranti. E questo mi ricorda certe cose dei giorni pionieri. Negli incontri si discute del ruolo della droga, del ruolo delle donne nei testi, del significato che ha fare politica oggi. Ognuno è figlio del proprio tempo, ma se il movimento nutrirà nuove rime, anche il rap spingerà ancora il movimento.

da GlobalProject

Io Fini non lo capisco


L’ex fascista Gianfranco Fini è probabilmente l’unico esponente di punta del vecchio Msi che prese sul serio la cosiddetta “Svolta di Fiuggi”, che pensò cioè che l’abbandono dell’eredità del ventennio fosse qualcosa di più di un’operazione di immagine che aprisse la corsa alle cadreghe ministeriali resa possibile dalla “discesa in campo” di Berlusconi.

Se escludiamo la destra storica post-cavouriana che tenne in mano — e bene — le redini della nazione negli anni successivi all’unificazione, l’Italia non ha mai avuto un decente pensiero politico conservatore (e la stessa destra storica era espressione di una piccola elite resa egemone dai meccanismi censitari della legge elettorale). Dopo di allora il gioco di ogni destra italiana è stato quello di compiacere una retrivo mondo rurale di piccoli proprietari terrieri baciapile, e più tardi una piccola borghesia gretta e livorosa che non perdonava alla sinistra il costante complesso di inferiorità in cui la costringeva a vivere. Il conservatorismo Tory degli inglesi in Italia vive solo sotto forma di macchietta in tizi come Francesco Cossiga.

L’ex fascista Gianfranco Fini è probabilmente l’unico esponente di punta del vecchio Msi che prese sul serio la cosiddetta “Svolta di Fiuggi”, che pensò cioè che l’abbandono dell’eredità del ventennio fosse qualcosa di più di un’operazione di immagine che aprisse la corsa alle cadreghe ministeriali resa possibile dalla “discesa in campo” di Berlusconi.

Ed è per questo che oggi giudica inaccettabile l’involuzione di una destra stretta tra l’eversione istituzionale di Berlusconi, che vuole definitivamente tutelarsi dall’evenienza di essere associato alle patrie galere, e la guida ideologica di un partito xenofobo che vede le sue migliori chance di affermazione nel logoramento di ogni tessuto di civiltà del nostro paese.

Tutto bello. Tutto giusto. Ma Fini che carte ha in mano? Vorrebbe essere lui l’alternativa al duo Bossi-Berlusconi? Pensa che per le sue virtù politiche la destra italiana che lui aspira a dirigere possa recuperare il filo di decenza, onestà e serietà definitivamente spezzatosi con la crisi della destra storica post-cavourriana?

Gli elettori di destra sono oggi persone che, al di fuori della ristretta cerchia dei legami familiari e di lavoro, hanno come unica finestra sul mondo la televisione, e la televisione, pubblica e privata, dai tempi del “decreto bulgaro” ce l’ha in mano Berlusconi. Come pensa Fini di mettersi in sintonia con questa gente, che in fondo è assai di bocca buona e ha mostrato finora di trovarsi bene con Bossi e Berlusconi?

da Indymedia

La sindrome delle badanti

Laila Wadia è una scrittrice nata a Mumbai. Vive a Trieste, dove lavora all’università.

Il documentario Sidelki/Badanti (2007), scritto e diretto da Katia Bernardi, parla della vita delle badanti ucraine in Trentino. È stato girato tra l’Italia, l’Ucraina e Mosca e negli ultimi mesi è stato presentato in diverse città del nord Italia. Tra le protagoniste ci sono donne che prima di emigrare erano maestre di canto lirico o ingegneri, e non sapevano nulla di piaghe da decubito.

“Sono stata licenziata perché il mio datore di lavoro diceva che ero troppo triste”, racconta una delle venti badanti intervistate da Bernardi. “Ma, segregata in casa tutto il giorno con un malato terminale, come faccio a sprizzare gioia?”. Le sidelki provano un profondo senso di colpa per aver abbandonato i figli in Ucraina, sono angosciate dalla precarietà delle loro condizioni di lavoro e dalle difficoltà burocratiche e linguistiche.

Per questo a volte soffrono di quella che i medici ucraini chiamano “la sindrome italiana”, una grave forma di depressione sempre più diffusa. Psicologicamente impreparate alla dequalificazione professionale, si considerano come dei bancomat per le loro famiglie. Sognano di andare in pensione per fare le nonne a tempo pieno e recuperare gli affetti perduti. Nel frattempo lavorano sodo e cercano d’integrarsi. “Ma finché non trovano un’amica italiana, non si sentiranno mai integrate”, dice Nadia Kouliatina, presidente dell’associazione Agorà di Trento.

A una delle proiezioni del documentario, prodotto dall’assessorato alla cultura della provincia autonoma di Trento, hanno assistito anche Ivana e Tatiana, che erano state invitate a dare la loro testimonianza. “Obama ha chiesto scusa ai nativi americani per i torti che hanno subìto”, ha detto Ivana. “Verrà il giorno in cui qualcuno si scuserà con gli ucraini per aver sfasciato tante famiglie?”. Tatiana non pretende così tanto. Le basterebbe uno spasibo (grazie) e un’amica italiana. Laila Wadia

da Internazionale

BOB MARLEY AND THE WAILERS - ZIMBABWE



Questo è l'inizio del post. “Ladies and gentlemen, Bob Marley and the Wailers!”: sono state le prime parole dello Zimbabwe indipendente, il 17 aprile 1980, dopo che il principe Carlo aveva ammainato la bandiera britannica.

Oggi, scrive il Mail & Guardian, il padre della patria Robert Mugabe – odiato da alcuni e divinizzato da altri – potrebbe rimanere presidente a vita.

BOB MARLEY AND THE WAILERS - ZIMBABWE

Every man gotta right
To decide his own destiny
And in this judgment
There is no partiallty
So arm in arms, with arms
'Cause that's the only way
We can overcome our little trouble
Brother you're right, you're right
You're right, you're right. you're so right
We gonna fight, we'll have to fight
We gonna fight, fight for our rights
Natty dread it ina Zimbabwe
Set it up ina Zimbabwe
Mash it up ina Zimbabwe
Africans a liberate Zimbabwe
No more internal power struggle
We come together, to overcome
The little trouble
Soon we will find out
Who is the real revolutionary
'Cause I'dont want my people
To be contrary
Brothers you're right, you're right
You're right, you're right, you're so right
We'll have to fight, we gonna fight
We'II have to fight, fighting for our rights
Mash it up ina Zimbabwe
Natty trash it ina Zimbabwe
Africans a liberate Zimbabwe
I and I a liberate Zimbabwe
Brother you're right, you're right
You're right, you're right, you're so right
We gonna fight, we'll have to fight
We gonna fight, fighting for our rights
To divide and rule
Could only tear us apart
In everyman chest
There beats a heart
So soon we'll find out
Who is the real rivolutionaries
And I don't want my people
To be tricked by mercenaries
Brother you're right, you're right
You're right, you're right, you're so right
We gonna fight, we'll have to fight
We gonna fight, fighting for our rights
Natty trash it ina Zimbabwe
Mash it up ina Zimbabwe
Set it up ina Zimbabwe
Africans a liberate Zimbabwe
Africans a liberate Zimbabwe
Natty dub it ina Zimbabwe
Set it up ina Zimbabwe
Africans a liberate Zimbabwe
Every man got a right
To decide his own destiny


TRADUZIONE IN ITALIANO

Ogni uomo ha il diritto
Di decidere del suo destino
E in questo giudizio
Non c'è parzialità
Così stretti uno all'altro
Poiché questo è l'unico modo
Che abbiamo per superare il nostro piccolo problema
Fratelli siete nel giusto, siete nel giusto
Siete nel giusto, siete nel giusto, siete proprio nel giusto
Combatteremo, dovremo combattere
Combatteremo per i nostri diritti
Natty dread nello Zimbabwe
Sollevati nello Zimbabwe
Ribellati nello Zimbabwe
Africani, liberiamo lo Zimbabwe
Basta con le lotte intestine per il potere
Uniamoci, per superare
Il piccolo problema
Presto scopriremo
Chi è il vero rivoluzionario
Poiché non voglio che il mio popolo
Si trovi contrapposto
Fratelli siete nel giusto, siete nel giusto
Siete nel giusto, siete nel giusto, siete proprio nel giusto
Dovremo combattere, combatteremo
Dovremo combattere per i nostri diritti
Ribellati nello Zimbabwe
Natty ripuliamo lo Zimbabwe
Africani, liberiamo lo Zimbabwe
Rasta, liberiamo lo Zimbabwe
Fratello sei nel giusto, sei nel giusto
Sei nel giusto, sei nel giusto, sei proprio nel giusto
Combatteremo, dovremo combattere
Combatteremo per i nostri diritti
Il "divide et impera"
Può soltanto spaccarci
Nel petto di ogni uomo
Batte un cuore
Così presto scopriremo
Chi sono i veri rivoluzionari
E io non voglio che il mio popolo
Venga ingannato da mercenari
Fratello sei nel giusto, sei nel giusto
Sei nel giusto, sei nel giusto, sei proprio nel giusto
Combatteremo, dovremo combattere
Combatteremo per i nostri diritti
Natty ripuliamo lo Zimbabwe
Ribelliamoci nello Zimbabwe
Solleviamoci nello Zimbabwe
Africani, liberiamo lo Zimbabwe
Africani, liberiamo lo Zimbabwe
Natty leviamoci nello Zimbabwe
Solleviamoci nello Zimbabwe
Africani, liberiamo lo Zimbabwe
Ogni uomo ha il diritto
di decidere del suo destino