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lunedì 19 aprile 2010

LIBERI !!! - Emergency: liberi perche' nessuna accusa nei loro confronti


La presidente Cecilia Strada: abbiamo sempre saputo che erano innocenti

Gli operatori di Emergency Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani Guazzugli Bonaiuti, fino a oggi detenuti in una struttura dei servizi di sicurezza afghani, sono stati liberati, non essendo stato possibile formulare alcuna accusa nei loro confronti". È quanto si legge in un comunicato diffuso a Milano da Emergency, nel quale si ringrazia «tutti coloro che hanno lavorato insieme a Emergency per il rilascio, in Italia, in Afghanistan e nel mondo".
"Siamo molto, molto felici che i nostri tre operatori siano stati finalmente liberati e che abbiano potuto contattare le loro famiglie dopo otto giorni di angoscia": è il commento di Cecilia Strada, presidente di Emergency, pochi minuti dopo l'annuncio della liberazione a Kabul di Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell'Aira. "Non avevamo dubbi sul fatto che tutto si sarebbe risolto bene - ha detto Cecilia Strada - perchè abbiamo sempre saputo che sono innocenti, così come lo sapevano le centinaia di migliaia di cittadini italiani che ci hanno sostenuto in questi giorni". I tre operatori, ha detto, stanno bene e sono felici di essere liberi. In questo momento si trovano nell'Ambasciata italiana a Kabul. Una liberazione, quella dei tre operatori arrestati nove giorni fa, che secondo Emergency è stata possibile «grazie al lavoro di tutti coloro che si sono adoperati in questi giorni". Non sa ancora, Cecilia Strada, se e quando i tre operatori potranno tornare in Italia: "Ora è il momento della gioia, poi si ragionerà su cosa fare". Il responsabile della comunicazione di Emergency, Maso Notarianni

Nei secoli a chi fedeli ?


Tra corruzione e trame oscure l’ambiente malsano dei Carabinieri nel nostro paese

di Antonio Musella
La vicenda Ganzer, il capo del Ros per cui la magistratura ha chiesto una pena di 27 anni di reclusione per spaccio internazionale di stupefacenti, riporta nuovamente alla luce uno dei lati oscuri della nostra mediocre Italia : chi controlla i controllori ?

Marco Rigamo si chiede quando ci libereremo mai di Ganzer. Una domanda legittima che va inserita in un contesto molto più articolato che riguarda il tema della corruzione nelle forze dell’ordine ed in particolar modo nell’Arma dei Carabinieri.
Un corpo santificato da qualcuno come i paladini della lotta alla criminalità organizzata, ma che la vicenda Ganzer e tante altre che meritano lo spazio di un flash nei telegiornali, ci aiutano a comprendere come sia uno dei corpi più oscuri e maggiormente legato ai peggiori traffici nel nostro paese.
I Carabinieri nel nostro paese sono tutt’altro che una “vicenda da barzelletta”, come si lamentava qualche anno fa l’ex deputato di Alleanza Nazionale Filippo Ascierto. Proprio lui, presente nella centrale operativa di Genova durante il G8, proclamava la necessità di un riscatto morale della figura del carabiniere nell’immaginario collettivo del nostro paese. Non più soggetti da barzelletta ma sentinelle dell’ordine morale, giuridico e…evidentemente politico.

La vicenda Marrazzo, con due integerrimi della benemerita Luciano Simeone e Carlo Tagliente, che facevano irruzione in un appartamento di Via Gradoli a Roma in cui Marrazzo si intratteneva con la trans Brenda, giravano un filmato con il telefonino, introducevano cocaina nella stanza riprendendo i due nudi e la striscia di coca accanto al tesserino del ex governatore del Lazio, salvo poi sparire subito dopo e farsi vivi per ricattare Marrazzo, ci raccontano solo uno degli innumerevoli episodi in cui i Carabinieri sono stati coinvolti di recente nelle trame di potere del nostro paese.
Da Placanica a Via Gradoli, dal maresciallo Truglio a Ganzer, sono fin troppi gli elementi che dovrebbero portarci a comprendere come “l’ambiente” dei carabinieri sia denso di oscuri misteri e di trame fin troppo chiare per non essere lette come quelle di un braccio armato degli affari sporchi nel nostro paese. Un mondo che risulta complessivamente corrotto e fin troppo contiguo con quelli che sono gli ambiti criminali che dovrebbe “debellare”.
Alcuni esempi ci aiutano a capire come non esista un esclusivo utilizzo del corpo dell’arma per quelle che sono trame oscure e complotti che si potrebbero inserire nell’ambito di uno scontro tra poteri forti, assolutamente vivo nel nostro paese.
Ganzer è accusato sostanzialmente di aver fatto carriera favorendo il traffico internazionale di stupefacenti per poi arrivare al sequestro della merce senza mai individuare i pesci grossi, e garantendosi in questo modo, grazie alla platealità delle sue operazioni una folgorante carriera.
Carabinieri e criminali in affari, per agevolare gli uni nella carriere e sull’aspetto economico e non disturbare gli altri nei loro traffici.
E’ quello che in questi ultimi anni è venuto fuori costantemente…
Il 15 marzo scorso la DDA di Napoli ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 4 Carabinieri in forza al comando provinciale di Napoli. I 4 sarebbero stati stipendiati dal clan degli scissionisti per favorire gli stessi informandoli delle attività investigative nei loro confronti. Nelle intercettazioni telefoniche emerge come i carabinieri avvisavano i fratelli Ciro e Giuseppe Bastone, capipiazza degli scissionisti, sulla presenza di telecamere in prossimità delle piazze di spaccio e dei movimenti investigativi nei loro confronti. In cambio uno stipendio da 500 euro al mese e regali. Anche cocaina “per un amico avvocato”, oppure una collaborazione in un omicidio. Due dei quattro carabinieri infatti avrebbero prelevato due esponenti del clan rivale che sono stati poi uccisi dagli scissionisti. 250 mila euro a testa il guadagno dell’affare insieme agli scissionisti.
La stampa ufficiale dedica poco più di poche righe di commento a questi episodi, e quasi mai vengono rivelati i nomi dei carabinieri coinvolti.
Qualche volta i nomi trapelano come nel caso del Maresciallo Alfredo Bolognesi comandante della stazione di Pinetamare, arrestato pochi mesi fa, stipendiato dal clan dei casalesi fino a 1.000 euro di retribuzione mensile piu’ gli extra ed i regali. Bolognesi favoriva il clan più sanguinario della camorra agevolando le attività di spaccio e di gioco d’azzardo di Maurizio Brancaccio, cugino di Antonio Iovine detto “O’Ninno”, che insieme a Michele Zagaria è senza dubbio il capo dei casalesi.
Il Maresciallo Bolognesi rivela ai casalesi i nomi degli esponenti del clan prossimi all’arresto consentendogli la fuga, favorisce truffe assicurative e chiede ai suoi “amici” che qualcuno dei loro si consegni nelle sue mani per poter fare carriera. La storia di Bolognesi raggiunge l’apice quando lo stesso denuncia alla procura militare un collega, Vincenzo Davide della caserma di Castelvolturno. Bolognesi segnala alla procura militare una serie di atti illeciti e di complicità con i casalesi che in realtà sono stati commessi da lui stesso addebitandoli a Davide. Subito dopo la denuncia di Bolognesi arriva una lettera anonima che accusa proprio Davide di essere stipendiato dai casalesi. Il maresciallo Davide non ha idea ci cosa si celi dietro quella lettera anonima. La sola colpa del maresciallo Vincenzo Davide è quella di aver negato a Bolognesi alcune informazioni che avrebbe dovuto poi girare agli esponenti dei casalesi.
I Casalesi a dispetto dei proclami del Ministro Maroni, sembrano avere una certa dimestichezza nel riuscire facilmente a corrompere i Carabinieri. Il 27 aprile del 2009 tre militari dell’arma vengono arrestati per essersi introdotti abusivamente nel server del Ros di Napoli ed aver preso informazioni che riguardavano una importante indagine proprio sul conto dei casalesi, favorendo il figlio di Francesco Schiavone detto Sandokan già in carcere.
Un sistema di corruzione che possiamo dire senza dubbio di non recente comparsa. Era il 2000 quando una analoga operazione – come tutte quelle citate fino ad ora avvenute solo in seguito a dichiarazioni di pentiti – portò all’arresto di altri due Carabinieri insieme a due ispettori di Polizia.
Angelo Stellato e Pietro Campagna, carabinieri in lotta teoricamente contro la camorra, erano stati al soldo dei casalesi durante gli anni novanta quando prestavano servizio presso gli uffici di Polizia Giudiziaria ad Aversa. Riferivano la disposizione dei controlli delle forze dell’ordine nella zona di Casal di Principe, avvertivano il cartello criminale prima delle operazioni di arresto, omettevano i controlli per gli affiliati agli arresti domiciliari.
Un vero e proprio sistema di corruzione che vedeva i carabinieri – così come innumerevoli poliziotti tra l’altro – al soldo della camorra. Forse quando pensiamo che anche le pietre sanno dove sono le piazze di spaccio a Napoli e che le stesse funzionano a pieno regime 24 ore su 24, cominciando a vedere il fenomeno da questa prospettiva, riusciamo a darci una risposta forse meno politically correct ma senza dubbio più vera.
Un’altra indicazione ce la dovrebbe dare la composizione delle forze dell’ordine che invece i camorristi li arrestano davvero. E’ il caso della caserma dei Carabinieri di Castello di Cisterna in provincia di Caserta. In ogni operazione contro la camorra a compiere indagini e arresti sono i Carabinieri di Castello di Cisterna. Se c’e’ da arrestare a Napoli o a Caserta, a Casal di Principe o a Secondigliano ad intervenire sono sempre loro.
Chissà se sono i più bravi di tutti o forse è una delle poche caserme in cui la corruzione non è ancora dilagata…
I principali alleati dei clan sono proprio le forze dell’ordine ed i fatti sopra citati sono solo alcuni degli innumerevoli esempi che confermano questa chiave di lettura. Il ministro Maroni potrà parlarci all’infinito di “criminalità debellata”, potranno dirci che ogni tizio residente a Casal di Principe che arrestano e’…”il vero capo dei casalesi”…ma i fatti ci raccontano che le collusioni tra controllati e controllori ci forniscono un elemento difficilmente demolibile per capire che i “proclami” del Ministero altro non sono che mera propaganda.
Carabinieri nei complotti e nelle trame degli scontri tra poteri forti, carabinieri al soldo dei criminali, ma questi bravi ragazzi tra una tangente da un camorrista ed un ricatto commissionato da un potente dovranno pur svagarsi ?
Lo fanno nelle caserme con il primo povero cristo che finisce nelle loro mani.
Di Aldrovandi, Bronzino, Cucchi (anche lui fermato prima dai Carabinieri) e tanti altri in molti hanno già raccontato.
In pochi – tranne L’Unità - hanno raccontato la vicenda di Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero. Nel giugno del 2008 Uva e Biggiogero vengono fermati da una volante dei Carabinieri a Varese. I due sono in stato d’ebrezza ed al momento del fermo nasce una colluttazione con i carabinieri perché Uva riconosciuto da uno dei militari proverà a scappare. Portati in caserma vengono separati. Biggiogero sente per due ore le urla di Uva che viene massacrato da 6 carabinieri in servizio. Riesce addirittura a chiamare con il suo cellulare il 118 del pronto soccorso dell’ospedale Circolo, ed anche suo padre che giunge in caserma quella notte si offre ai militari per accompagnare Uva in ospedale. I Carbinieri rispondono agli operatori del 118 che avevano chiamato in caserma dopo la telefonata di Biggiogero che non c’è nessun bisogno di un’ambulanza alla caserma di Via Saffi. All’alba giunge in caserma un signore che viene chiamato “il dottore”. Alle 8:30 del mattino i carabinieri portano Uva in ospedale per un TSO - trattamento sanitario obbligatorio - e viene ricoverato nel reparto psichiatrico del nosocomio. Alle 10:30 viene constatata la morte per arresto cardiaco. A Giuseppe Uva in quella caserma sono stati somministrati farmaci controindicati in caso di eccesso di alcol. Nessuno si preoccupa in ospedale di fare un’autopsia come si deve, nessuno si preoccupa di verificare quelle echimosi sul naso e sulla schiena di Giuseppe Uva. Nessuno si preoccupa di verificare quelle chiazze di sangue presenti nella zona anale, così come nessuno sa spiegare dove siano finiti gli slip di Giuseppe Uva. Sotto inchiesta ci finiranno i medici, mentre per i carabinieri nessun provvedimento è stato emesso.
Al servizio dei potenti per gli affari sporchi, al soldo dei criminali e dei narcotrafficanti per soldi e carriera e con la licenza di uccidere nelle caserme per sfogare la frustrazione da tanto lavoro….
E guai se qualcuno di loro provasse davvero a fare il suo mestiere…
Il caso ancora una volta ci porta dalle parti di Guido Bertolaso.
Il capitano Sergio De Caprio è da tutti conosciuto con il nome di Capitano Ultimo, famoso a seguito dell’arresto di Totò Riina. E’ proprio il capitano Ultimo che avvia le indagini e le attività investigative con la procura di Tempio Pausania in merito all' inchiesta sugli appalti del G8 alla Maddalena. Chiede a più riprese di poter intercettare i telefoni di Diego Anemone, Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro della Giovanpaola. Ma ad autorizzare Ultimo doveva essere l’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, anche lui finito nell’inchiesta di appaltopoli solo mesi dopo, con l’inchiesta che veniva condotta in gran segreto dalla Procura di Firenze.

Ultimo fu esautorato dall’inchiesta. Ed ora è a dirigere il Nucleo Operativo Ecologico del Lazio. Le intercettazioni saranno poi seguite dalla “ammaestrata” Guardia di Finanza di Roma dove c’era il maresciallo Marco Piuniti, anche lui finito nell’inchiesta, e al soldo di Diego Anemone.

Insomma non è concesso di andare sopra le righe rispetto a quelli che appaiono ormai come dei comportamenti collaudati da tenere nel corpo dell’arma.

Ci si chiede quando ci libereremo di Ganzer ma forse è più opportuno chiedersi quando ci libereremo dai Carabinieri. Quando nei media main stream finalmente si cominceranno a dare notizie sulla corruzione, sulla complicità nelle trame oscure, sugli abusi e gli omicidi commessi dai Carabinieri. Quando finalmente qualcuno proverà a mettere insieme - come si prova a fare qui e nell’editoriale di Marco Rigamo su Ganzer - una serie impressionante di episodi che riguardano i Carabinieri.
Si presupporrebbe di essere in un paese dove la stampa è libera.
Scusate…dimenticavo che siamo in Italia…
In Italia dove i carabinieri sono “nei secoli fedeli”.
A chi non è molto chiaro…

“…ognuno ha la sua parte… dall’altra di guardia… i carabinieri nei secoli a chi fedeli ? ”
Assalti Frontali

da GlobalProject

RISPOSTA A PAOLO FERRERO

P. Ferrero, a nome della federazione della sinistra, ha inviato una lettera " ai segretari dei partiti della sinistra e del centrosinistra" per proporre la continuità dell'esperienza unitaria della manifestazione del 13 marzo contro il governo. La lettera è stata pubblicata su Liberazione del 3 Marzo. Questa è la risposta del PCL
RISPOSTA A PAOLO FERRERO

Caro Paolo,
La lettera che hai inviato “ ai partiti di sinistra e di centrosinistra” ci pare rimuovere, nella sua stessa impostazione, il nodo di fondo: la necessità di una piena indipendenza politica delle sinistre DAL centrosinistra, come condizione decisiva per una svolta radicale di lotta capace di sconfiggere e cacciare il governo Berlusconi, nella prospettiva di una vera alternativa.
Noi abbiamo partecipato come sai alla manifestazione democratica contro il governo del 13 Marzo, e ad analoghe manifestazioni precedenti, come segno di unità col popolo della sinistra nella comune lotta contro un governo particolarmente reazionario. Tuttavia non solo non abbiamo aderito alla piattaforma politica della manifestazione, ma vi siamo intervenuti con una proposta nettamente distinta ( “Contro Berlusconi ma non con Bersani”), fondata sulla centralità dell’autonomia politica del movimento operaio e di tutte le sinistre politiche e sindacali dal PD liberale e dall’IDV giustizialista. A maggior ragione ci siamo contrapposti alla cornice propagandistica- elettorale che i partiti promotori hanno finito col dare alla manifestazione: al suo pubblico sostegno alle coalizioni regionali di centrosinistra ( estese talvolta persino all’UDC); e al pubblico impegno – che tu stesso hai rivendicato dal palco- di un fronte comune di centrosinistra per le prossime elezioni politiche. Lo abbiamo fatto con un argomento preciso: “ ogni blocco politico delle sinistre con i liberali e con i populisti, ogni subordinazione della classe operaia alla cosiddetta borghesia democratica, finisce non solo col tradire le ragioni sociali della classe, ma col compromettere la stessa battaglia democratica”.
Come puoi immaginare, dopo l’esito delle elezioni regionali, non abbiamo certo ragione di cambiare opinione. L’esito delle elezioni, con l’indubbia vittoria politica di Berlusconi, ha misurato il fallimento politico, sullo stesso terreno democratico, di quel fronte dell’opposizione che la manifestazione del 13 marzo aveva celebrato. Ha dimostrato una volta di più che un fronte politico con liberali e populisti può riempire una piazza progressista, ma non può coinvolgere le ragioni sociali degli operai. E che senza l’irruzione sul campo degli strati più profondi della classe operaia e delle masse popolari non si può rovesciare il rapporto di forza con Berlusconi e con la Lega. Al contrario si finisce con l’abbandonare tra le loro braccia settori proletari smarriti, delusi, traditi.
Per questa ragione la rivendicazione della “continuità del 13 Marzo” , che tu avanzi, ripropone esattamente l’equivoco politico di cui liberarsi.
Va da sé che confermiamo la volontà di partecipare come in passato, con le nostre posizioni indipendenti, a manifestazioni di massa “democratiche” contro il governo. Così come la piena disponibilità ad impegnarci nelle iniziative referendarie su acqua, nucleare, precarietà. Ma lo facciamo in una logica e in una prospettiva profondamente diverse da quelle che tu riproponi: la prospettiva di una svolta di unità e radicalità del movimento operaio e delle sinistre, in piena autonomia dal centrosinistra. Una prospettiva che punti a ricomporre l’unità tra ragioni sociali e democratiche sotto l’egemonia della classe operaia e delle sue rivendicazioni, in alternativa al liberalismo borghese e al giustizialismo. Come sai, il PCL ha avanzato da tempo all’insieme delle sinistre politiche e sindacali una proposta di svolta: sul terreno della piattaforma rivendicativa e programmatica, come sul terreno delle forme di lotta e di organizzazione del movimento operaio e dei movimenti di massa. Abbiamo avanzato precise proposte unitarie di azione su terreni delicatissimi dello scontro con la reazione ( dalla questione migranti all’anticlericalismo). Abbiamo avanzato una proposta di sede democratica di confronto pubblico tra le sinistre politiche e sociali ( “Parlamento dei lavoratori e delle sinistre”), nel rispetto dell’autonomia di ogni soggetto. Ma su ognuno di questi temi, abbiamo registrato il silenzio dei gruppi dirigenti della sinistra.
Ostinatamente, tanto più dopo l’esito elettorale, riproponiamo questa esigenza di svolta, unitaria e radicale. Di fronte al permanere di una gravissima crisi sociale, di un governo reazionario stabilizzato e rafforzato dal voto, di un’ “opposizione” liberale e populista che apre al governo sullo stesso terreno della “riforma” costituzionale, le sinistre italiane debbono assumersi la responsabilità di una propria proposta e iniziativa di lotta, e di un proprio programma anticapitalista. Perché riconoscere platonicamente la centralità della “questione sociale”, ma chiedere di farsene carico ai “segretari” di un centrosinistra confindustriale- come la tua lettera di fatto propone- è molto peggio di una perdita di tempo: è la riproposizione della logica politica della subordinazione. Tanto più sconcertante dopo la sua ennesima sconfitta.

MARCO FERRANDO, PER L’ESECUTIVO NAZIONALE DEL PCL

dal Sito ufficiale del pcl

Abbandonati a loro stessi


La situazione dei tossicodipendenti in carcere in Italia è sempre più grave. La denuncia dell'associazione Saman

scritto da Giulia Cerino per PeaceReporter
Erano 24.371 i tossicodipendenti in carcere nel 2007 a fronte di 16.433 nelle comunità. Il 30 giugno del 2009 le cose non erano cambiate. Anzi: i detenuti tossicodipendenti erano 26mila di cui il 40 percento condannati per possesso di droga.

Tirando le somme, alla fine del 2009 nel Belpaese, sono 67mila i detenuti ma quelli dentro per reati di droga sono il 25 percento: 4 su 10. E nonostante l'accesso in comunità sia possibile, a usufruirne è solo un condannato su sei. Perché? Colpa della burocrazia. E della politica. I centri di recupero sono al verde perché le Regioni esitano a pagare le rette.
E' questo il grido d'allarme lanciato dalla Fondazione Villa Maraini, storico centro antidroga romano e dalla Saman, l'associazione laica che opera a livello nazionale. L'ammontare delle rette giornaliere è di 27,90 euro per tossicodipendente escluse le notti e i festivi. Una cifra stabilita dal ministero della Giustizia prima della riforma regionale ma che con il passaggio di competenze dalle Regioni alle Asl non è cambiata.

E non basta. Di questi soldi non c'è traccia. "Per il 2009 - spiega Achille Saletti, presidente dell'associazione Saman - non è arrivata una lira, mentre per il 2007/2008, aspettiamo ancora 100mila euro dal ministero di Giustizia". Mediamente le rette vengono pagate a uno-due anni di distanza. Il meccanismo è lo stesso per tutte le Regioni. "Il processo - spiega Saletti - è ‘triangolare': per i nostri servizi, le banche sanano il credito che maturiamo con le Asl. Poi sono le banche a recuperare gli importi dalle Asl stesse. Sulle cifre di denaro a noi destinate, però, gli istituti di credito trattengono gli interessi. Su 100 a noi arriva 97". Di più. In Italia "ci sono più drogati in carcere che nelle comunità" anche a causa delle procedure amministrative da seguire per ottenere il trasferimento. Come funziona? "Il centro dà la disponibilità e il detenuto - spiega il presidente della Saman - fa richiesta di trasferimento. Dopo di che, viene messo sotto osservazione dal servizio alle dipendenze pubbliche che certifica lo status di tossicodipendente. Infine la valutazione di idoneità. A quel punto il servizio dovrebbe fornire un nulla osta in tempi rapidi". Ma così non avviene. E infatti, "dopo aver dato la disponibilità - conclude Saletti - le camere restano riservate ma i posti letti rimangono vuoti anche fino a 40 giorni".

Burocrazia, ma non solo. "Da Roma in giù la situazione non cambia. Il Lazio con la Puglia e la Sardegna, è la Regione che forniscono meno sussidi. Tutto dipende dalla giunte che equiparano i nostri centri a dei fornitori normali: alle grandi case farmaceutiche o ai gruppi come quello degli Angelucci". Quanto servirebbe? "In media avremmo bisogno di 60-70 euro al giorno per tossicodipendente - dice Saletti - Si tratta di uomini che hanno bisogno di mangiare, di dormire e di ogni genere di conforto per attenuare l'astinenza". Anche la politica ci mette lo zampino. A gravare sui numeri è il percorso inaugurato dal decreto 309/1990 e proseguito con la legge 49/2006, che ha portato a un netto aumento delle condotte di rilevanza penale: per violazione dell'art 73, ogni tre che entrano in carcere, uno è tossicodipendente. Come se mandarli in comunità, volesse dire giustificare i loro reati.