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lunedì 26 aprile 2010

"Sulla Resistenza romana e sulle vicende di via Rasella si sono dette troppe sciocchezze. Anche a sinistra"

di Rosario Bentivegna
Un "revisionismo" mistificatore e falso ha colpito soprattutto la Resistenza romana e la sua guerra di liberazione, e in particolare uno dei suoi episodi più drammatici, la strage delle Fosse Ardeatine, che i nazisti perpetrarono nella massima segretezza e con la massima fretta per paura delle reazioni preventive della cittadinanza, dei parenti dei prigionieri in mano nazista e della Resistenza . Qui la fantasia dei falsari e dei mistificatori ha raggiunto cime eccelse, e ne abbiamo colto significative manifestazioni perfino su "L’Unità" di Furio Colombo, dove il 24 marzo scorso, in memoria di quella strage, si riproponeva una tesi cara a tutti gli attendisti, e cioè che l’attacco partigiano di via Rasella, in cui fu annientata la 11° compagnia del terzo battaglione dell’SS Polizei Regiment Bozen "fu un atto di guerra, dettato da emotività più che da un preciso ragionamento, discutibile sul piano dell’opportunità e sbagliato se messo in relazione con le finalità che si volevano raggiungere" (a parte lo spazio dato nei mesi precedenti ad alcuni scritti del Vivarelli ove si ricordavano le benemerenze patriottiche della X Mas e del suo eroico comandante, il principe golpista Valerio Borghese, o le amene considerazioni sullo stato di "città aperta" di Roma, con un titolo, il 15 agosto 2001, addirittura esilarante)
La nostra gente, pur affamata e terrorizzata, e ben sapendo di correre rischi mortali, ci aiutava, checché ne dicano il De Felice, o il Montanelli, o il Lepre, ecc. ecc., che sopravvennero dopo i primi exploit dei giornalisti repubblichini Spampanato e Guglielmotti, o dello "storico" Giorgio Pisanò, cantore dell’epopea repubblichina, o, nel 1948, in piena "guerra fredda", dei Comitati Civici dell’Azione Cattolica di Pacelli e di Gedda.

Quella nostra gente ci nascondeva, ci sfamava quando poteva e ci curava se ammalati o feriti, rifiutava di denunciarci, così come del resto aiutava e non denunciava i giovani renitenti di leva, gli uomini che si sottraevano al lavoro forzato imposto dai nazisti, i soldati e gli ufficiali sbandati, gli ebrei, i carabinieri, i prigionieri alleati evasi, i ricercati politici antifascisti e i politici fascisti che non avevano aderito al P.F.R. (bisogna pur ricordarlo: dei quadri del fascismo, solo il 10% di quelli periferici e il 15% di quelli nazionali aderirono al governo collaborazionista della Repubblica Sociale; degli oltre quattro milioni di italiani iscritti al P.N.F., costretti ad avere quella "tessera del pane", solo 200.000 - il 5% - si iscrissero al P.F.R.).

I romani e la rete di solidarietà

I romani poi, dietro il loro menefreghismo ironico e apparentemente opportunista, seppero costruire spontaneamente una rete straordinaria di solidarietà attiva nei confronti delle centinaia di migliaia di ricercati e perseguitati che affollavano la loro città. Essi, pur temendo per la loro vita e imprecando a parole contro chi poteva turbare la loro sacrosanta voglia di quiete, non esitarono a schierarsi nei fatti dalla parte della libertà e contro la crudele presenza dei tedeschi e dei fascisti, isolati e "schizzati".

Da questa Resistenza, fatta di fame e di sofferenze, ha preso le mosse la Guerra di liberazione nazionale, che è iniziata proprio a Roma, subito dopo l'8 settembre, oltre che con una intensa attività diplomatica, politica, di agitazione, di "intelligence", anche con iniziative militari che hanno fatto della nostra città la capitale dell’Europa occupata che ha dato più filo da torcere agli eserciti tedeschi (Dollman), che ha fatto dire a Kappler che dei romani non ci si poteva fidare, che ha fatto raccontare a Mhulhausen la paura che lo stesso Kappler aveva dei partigiani e della gente di Roma.

Dice Renzo De Felice: ("Il Rosso e il Nero", pag. 60): "Roma fu la città col maggior numero di renitenti: un po’ per la sua configurazione sociologica, un po’ perché era stata l’unica città in cui si era tentata la resistenza armata contro i tedeschi dopo l’armistizio, un po’ per la presenza del Vaticano e del gran numero di luoghi ed edifici dove i renitenti potevano nascondersi. Al primo posto ci fù la "difesa di se stessi", sia da parte di chi rispose al bando, sia per chi riuscì a nascondersi, come per chi fu costretto a salire in montagna. Molti di questi divennero valorosi partigiani. Per molti altri pesò sempre il vizio di origine di una scelta opportunistica", che, aggiungo, ha aperto lo spazio a tutte le fantasie e le menzogne della vulgata antipartigiana.

In quei terribili nove mesi Roma - anche per ragioni geografiche (eravamo a poche diecine di chilometri dal fronte) - è stata all'avanguardia (politica e militare) di tutte le città italiane occupate: la sua gente, i partigiani che da essa provenivano, hanno reso impossibile il disegno strategico del nemico, che voleva fare di Roma, dei suoi nodi stradali e ferroviari, dei suoi servizi, un comodo transito e un rifugio per i mezzi e le truppe da e per il fronte di Cassino e di Anzio, una tranquilla base per i suoi alti comandi, il luogo dove permettere un piacevole ristoro ai suoi soldati impegnati sul fronte.

I romani, con i loro figli partigiani che colpivano e sabotavano il nemico ogni giorno e ogni notte in città, nelle campagne intorno Roma e nel Lazio, con la loro capacità di aiutarli, nasconderli, proteggerli, fecero di Roma "una città esplosiva", come dovette ammettere Kappler, il boia delle Ardeatine, nel processo che subì alla fine della guerra.

Questa era la strategia della Resistenza romana, che perfino il collaboratore de L’Unità mostra di non aver compreso.

Il Maresciallo Clark, comandante della V Armata americana, ebbe a dire personalmente a Boldrini che soltanto quando le truppe anglo-americane entrarono in Roma i Comandi Alleati capirono senza più alcun dubbio che l’Italia era con loro.

Il costo della lotta partigiana

Abbiamo pagato cara questa nostra Resistenza: 650 Caduti, tra il il 9 e il 10 settembee 1943, nella battaglia per Roma. Di essi 400 erano ufficiali o soldati, e dei civili ben 17 furono le donne.

Oltre 50 furono i bombardamenti Alleati, dovuti alla presenza in città di comandi, mezzi e truppe tedesche (altro che "città aperta"!); fame e miseria; deportazioni; rastrellamenti in tutti i quartieri, centrali e periferici; il coprifuoco alle 4 del pomeriggio; unica città in Italia, fu proibito a Roma l'uso delle biciclette (altri mezzi, oltre quelli pubblici, non erano consentiti ai civili); feroci esecuzioni e rappresaglie, le Ardeatine, Bravetta, La Storta, il Ghetto, il Quadraro, le razzie, gli arresti, le torture (via Tasso, Palazzo Braschi, la pensione Oltremare, la pensione Jaccarino, Regina Coeli, ecc.: operavano in Roma ben 18 "polizie", tedesche e italiane, pubbliche e "private"!), gli assassinii compiuti a freddo nel centro della città e nelle borgate.(10 fucilati a Pietralata, 6 renitenti fucilati a Ladispoli, 10 donne fucilate a Portuense, dieci donne fucilate a Tiburtino 3°, circa 80 fucilati a Bravetta, 14 fucilati alla Storta.....più la strage del Quadraro: su 700 cittadini deportati ne sono tornati solo 300!... più la strage degli ebrei , circa duemilacinquecento deportati, ne sono tornati circa 120....

I partigiani romani uccisi in combattimento, morti sotto la tortura o fucilati, nei nove mesi che vanno dal 9 settembre 1943 al 5 giugno del 1944 sono 1.735, oltre ad alcune migliaia di cittadini romani, ebrei e non, deportati nei campi di sterminio in Germania e che non sono tornati; ma in questi stessi nove mesi in Roma furono condotte azioni militari e di sabotaggio che in numero e in qualità non hanno pari, nei limiti di quel periodo, in nessun’altra città d'Italia.

Fu così che il nemico pagò cara la sua permanenza in città, e si vendicò manifestando la sua brutale ferocia.

Ma quando gli eserciti alleati incalzarono, i tedeschi e i fascisti abbandonarono Roma precipitosamente, contro gli ordini di Hittler e Mussolini, che volevano impegnare battaglia in città casa per casa e deportare tutti gli uomini validi per il lavoro coatto, secondo i piani già approntati dal generale delle SS Wolff.

Roma era una "città esplosiva", e la non lontana esperienza di Napoli convinse anche i più feroci tra i nostri nemici a non correre rischi già sperimentati.

La Resistenza romana ebbe caratteristiche di spontaneità e di diffusione capillare che è difficile trovare altrove. Sono diecine le formazioni impegnate, grandi come come quelle dei partiti del CLN, in particolare i tre partiti di sinistra, PCI, Pd’A e PSIUP, come Bandiera Rossa, o i Cattolici Comunisti, o come il Centro Militare Clandestino dei "badogliani", ma anche piccole o piccolissime, che, per non aver potuto o voluto trovare il collegamento con i partiti del CLN, operavano autonomamente contro i tedeschi e i collaborazionisti fascisti.

Sono noti episodi di iniziative solidaristiche, ma anche di sabotaggio e di guerriglia, condotti addirittura da famiglie o da singoli, fino all’ultimo giorno dell’occupazione tedesca.

Tutto ciò, e per molte ragioni, che ha esaminato di recente anche Alessandro Portelli nel suo splendido libro "L’Ordine è stato eseguito" ed. Donzelli, che ha ottenuto nel 1999, con il Premio Viareggio per la saggistica il più ambito riconoscimento letterario italiano, si è attenuato nella memoria storica della città perché ha prevalso la disinformazione attraverso l’uso ripetuto di falsi e mistificazioni, malgrado le smentite documentate e l’uniformità delle delibere di tutti i livelli della magistratura, fino alle Cassazioni civili, penali e militari.

Guerra di liberazione nazionale

La nostra è stata una "guerra di liberazione nazionale", la guerra di tutti gli italiani per la libertà e per la democrazia: furono i collaborazionisti dell'invasore che cercarono di trasformarla in guerra civile, ma ci riuscirono solo in parte perché la grande maggioranza degli italiani li respinse insieme ai loro protettori e padroni nazisti.

Del resto anche i dirigenti politici e militari di Salò, ma anche i tedeschi, sapevano molto bene come stavano le cose, altrimenti le feroci rappresaglie messe in atto nelle città, e quelle ancor più feroci e indiscriminate compiute sui monti e nelle campagne non avrebbero avuto motivo contro una popolazione schierata in qualche consistente misura dalla loro parte.

Due canzoni, una delle brigate nere e una delle brigate partigiane, ricordano in modo emblematico il clima in cui vivevamo: "Le donne non ci vogliono più bene / perché portiamo la camicia nera" cantavano i fascisti; e dall'altra parte: "Ogni contrada è patria di un ribelle / ogni donna a lui dona un sospiro" cantavano i partigiani.

Basti ricordare, per chi c'era, l'atmosfera di cupo infinito silenzio della nostra città, delle nostre contrade, deserte nei mesi dell'occupazione, e l'esplosione improvvisa di gioia, affollata, urlata, felice, che accolse le forze militari anglo-americane.

Eppure è sempre più frequente che la nostra guerra di liberazione venga ricordata come guerra civile.
Fa parte di una delle brecce che il revanscismo fascista è riuscito ad aprire nella memoria corrente...

- di Rosario Bentivegna da Indymedia

Lui ormai la chiama "festa della libertà"

E Liberazione fu


Nonostante le polemiche che da anni fanno da corollario al 25 aprile, moltissime persone hanno partecipato al corteo milanese per ricordare il passato e dire no al fascismo

Anche quest’anno è arrivato il 25 aprile, la festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, e come sempre le celebrazioni si sono svolte tra le polemiche. Da un lato quanti cercano di sminuire il valore di questa giornata e il ruolo dei partigiani, dall’altro quelli che tentano di impadronirsi di questa ricorrenza, trasformandola in appannaggio di una sola parte politica.
A porre fine a queste sterili polemiche di partito, ulteriore segnale dell’allontanamento della politica dalla vita della gente, ci hanno pensato le migliaia di persone che sono scese in piazza questo pomeriggio per partecipare al corteo, organizzato nella città di Milano, una delle ultime città a essere liberata dal nazi-fascismo. Il serpentone umano che ha animato la manifestazione è molto vario. Ci sono i partigiani dell’Anpi (associazione nazionale partigiani d'Italia) , i reduci, Emergency, i centri sociali, le bandiere di diversi schieramenti politici e infine anziani, ragazzi, bambini. Obiettivo comune ricordare il passato e rendere omaggio a quanti hanno lottato contro il fascismo.

Sul palco, allestito in piazza Duomo, si alternano i reduci, i partigiani, i lavoratori dell’Eutelia e le istituzioni di Milano rappresentate dal sindaco della città, Letizia Moratti, e dal presidente della Provincia, Giulio Podestà. Ed è proprio l’intervento di quest’ultimo al centro delle tensioni. Mentre il presidente della Provincia tiene il suo discorso, alcuni dei presenti iniziano a fischiare, fino all’arrivo in piazza Duomo del carro de Il Cantiere, centro sociale milanese. La musica e i megafoni coprono l’intervento di Podestà. “Abbiamo deciso di fare questo gesto – spiega Rossella de Il Cantiere – perché volevamo sottolineare la contraddizione della presenza di Podestà a questa manifestazione. L’uno e il due maggio si svolgerà a Milano un raduno di nazifascisti, patrocinato dalla Provincia. Anche il Comune di Milano, in un primo momento, appariva tra i patrocinatori, ma poi si è tirato indietro. Noi vogliamo sottolineare le similitudini tra il passato fascista e questo governo. Esprimiamo, invece, il rispetto più totale per chi è stato deportato o ha fatto il partigiano e ci appelliamo a queste persone perché ci aiutino a mantenere vivo il diritto di manifestare apertamente la propria opinione e a riconoscere il fascismo istituzionale”.

Il gesto del centro sociale ha diviso la folla. A molti è sembrato eccessivo, forte, poco democratico, mentre per altri si è trattato di una semplice protesta. Al di là della polemica, le testimonianze più belle restano quelle dei protagonisti, di coloro che hanno vissuto il 25 aprile del 1945 e che hanno contribuito a liberare l’Italia dalla dittatura.

PeaceRepoter ha intervistato Annunziata Cesani, partigiana in Emilia Romagna, membro della 36’ Brigata Garibaldi. “Chi ha vissuto il 25 aprile del ’45 – dice la donna – vive un momento particolare in questa giornata, perché ben conosce che questa data segnò la fine di vent’anni di dittatura, di stenti, di enormi privazioni per la maggior parte degli italiani e l’apertura di un momento nuovo. All’epoca si era consapevoli del grande contributo dato dai partigiani alla Liberazione e questo ci dava fiducia e speranza di conoscere un mondo migliore. Noi partigiani abbiamo vissuto grandi conquiste, ne comprendiamo la portata, ma sappiamo che ciò che è stato ottenuto, va difeso, perché si rischia di tornare indietro. Ci preoccupa l’intenzione espressa dal capo del governo italiano di voler modificare la Costituzione, perché questa Carta non può essere modificata in meglio. In questo 25 aprile va rinnovato l’impegno a difendere la Costituzione”. La ex partigiana è affaticata nel fisico dalla giornata, complice il caldo, ma lo spirito e la sincerità sono ancora quelli della combattente. “Non mi sono piaciuti i fischi e le contestazioni alla Moratti e a Podestà – conclude la donna -. La Resistenza non l’hanno fatta solo i comunisti, c’erano tante anime”.

di Benedetta Guerriero da PeaceReporter

È morto Paul Schaefer, nazista, torturatore, pedofilo.


Quando muore una persona, qualunque persona, di solito la cosa che si dice è «poverino», anche se non lo conoscevamo. Insomma viene fuori sempre qualche buon sentimento. Ma stavolta? La persona che è morta e di cui parlo aveva 88 anni e si chiamava Paul Schaefer. Da giovane era stato un nazista convinto, in Germania. Di quelli che credevano davvero alla razza superiore, allo sterminio degli abrei e a tutte quelle nefandezze lì. Finita la guerra, era rimasto in patria: in fondo era solo un caporale, chi poteva avercela con lui? Solo che Paul Schaefer non era uno come tanti: scappò dalla Germania inseguito da un mandato di cattura pr imprecisati reati sessuali. Quali reati lo si intuì qualche anno dopo: nel 1961 Schafer fondò in Cile, dove era scappato, una sorta di comune che si chiamava Comunidad Dignitad e dove radunò 300 famiglie di origine tedesca. Lì, l’ex caporale nazista violentò negli anni una ventina di bambini.

In Cile qualche anno ci fu il colpo di stato. Augusto Pinochet non ci pensò due volte ad arruolare tra i suoi un eminente nazista assassino. E così gli diede incarichi i speciali nella lotta contro l’opposizione. Sappiamo cosa intendeva Pinochet per lotta all’opposizione. Così Paul Schaefer, nazita e pedofilo, si potè dedicare al suo passatempo preferito: torturare la gente. Finita la dittatura in Cile, morto il suo protettore, Schaefer si diede alla clandestinità Lo arrestò l’Interpol, in Argentina, nel 2005. Nel 2006, estradato in Cile, venne condannato a 20 anni di carcere per 25 reati.

Paul Schaefer era ra nazista, torturatore, pedofilo. È morto. A qualcuno dispaice?

http://www.kronaka.it

da Indymedia