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venerdì 21 maggio 2010

CONTRO IL NUCLEARE


Venerdì 21 maggio dalle 17 alle 21.30, via trinchese Lecce
presidio, mostra, proiezioni, banchetto informativo contro il nucleare.
DaL 20 AL 23 maggio si terrà a Lecce il festival dell'energia che quest'anno cercherà di incentivare il ritorno al nucleare con dibattiti, presentazioni di libri.
un'ulteriore occasione per ribadire la nostra contrarietà al nucleare e a tutte le nocività, qui come altrove
Anarchici


Il ritorno all’energia atomica in Italia sembra ormai una tragica realtà in via di realizzazione, voluta dal governo e dalle lobby industriali. Fra pochi mesi le autorità renderanno note le aree dove impiantare i nuovi mostri e stoccarne le scorie.Nel Salento, si ipotizza una centrale nella zona tra Nardò e Avetrana, sito già previsto nel 1981. Per il momento i politici locali e nazionali si sono dichiarati contrari, per fini elettorali, a tale possibilità. Resta il fatto che dovunque verranno realizzerate, queste centrali rappresenteranno degli impianti di morte. Eppure nonostante le evidenze di un inquinamento radiottivo irreversibile, in molti propagandano la loro necessità e non pericolosità, come si cercherà di fare anche durante il Festival dell’Energia che si terrà a Lecce dal 20 al 23 maggio. Cosa farne e dove mettere le scorie? Come proteggersi in caso di incidenti? Domande volutamente eluse dai nuclearisti che puntano a fare in modo che la popolazione possa solo subire le conseguenze di questa politica energetica. Senza dimenticare che la produzione civile è indissolubilmente legata al nucleare militare e che la tecnologia usata è alla portata esclusiva di una restrittissima cerchia di specialisti da cui dipenderemo tutti. Fondamentale allora chiedersi a Chi serve tutta questa energia. fip 17/5/2010 via massaglia 62/b Lecce

IL “BERSAGLIO”


di Gaspare Serra
ECCO PERCHE’, NEL PAESE DELLE “MEZZE VERITA’”, CHI LE DICE “PER INTERO” RISCHIA D’ESSERE “EVERSIVO”…

ANTIMAFIA: NON SOLO “REPRESSIONE” MA ANCHE PRESA DI COSCIENZA E “INFORMAZIONE”…

Lo slogan ribadito, in ogni occasione utile, dal “ministro di ferro” Roberto Maroni è sempre lo stesso: “Il Governo ha ottenuto successi inimmaginabili nella lotta alle Mafie!”.
“Sconfiggeremo il cancro mafioso entro fine legislatura!”: questo, in buona sostanza, l’ambizioso -e conclamato- obiettivo del ministro dell’Interno (anche se ben poca cosa rispetto al più temerario impegno assunto dal Premier Berlusconi in persona, nel corso delle ultime elezioni regionali, di sconfiggere il “Cancro” vero -in senso clinico- entro lo stesso termine…).

Che Forze dell’Ordine e Magistratura (più che il Governo, in realtà, cui va il “merito”, semmai, dei discutibili tagli indiscriminati al reparto Sicurezza e del clima di aperto conflitto generatosi con la Magistratura…) abbiano inferto “durissimi colpi” (sul piano della repressione) a Cosa nostra e alla Camorra in particolare è un “dato di fatto”, come tale inconfutabile.
Che questo dato sia sufficiente a parlare di “sconfitta delle mafie”, invece, è un giudizio tutt’altro che assodato… per non dire del tutto avventato!

Le mafie non sono soltanto un “fenomeno criminale” (se così fosse, del resto, non sarebbero facilmente distinguibili dalla semplice criminalità comune…).
Cosa nostra, la Camorra e la N’drangheta, piuttosto, rappresentano anche un fenomeno di diffuso “malcostume sociale”:
I-si annidano tra i “silenzi omertosi” della gente (il pentitismo o il collaborazionismo, ad esempio, sono fenomeni quasi del tutto sconosciuti in Calabria!);
II-trovano “protezioni eccellenti” nel mondo politico-istituzionale (l’arresto, lo scorso febbraio, di Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estero Europa coi voti della Camorra, è emblematico…);
III-e sanno ritagliarsi con facilità (ed evidenti complicità degli amministratori locali) sempre nuovi spazi nel mercato per il riciclaggio del denaro sporco frutto di attività illecite, di fatto “drogando” l’economia (molti hanno denunciato, ad esempio, forti pericoli d’infiltrazione mafiosa negli appalti relativi al Ponte sullo Stretto, all’Expo di Milano e alla Tac della Val di Susa).
Ciò spiega perché la repressione è un’arma “indispensabile” ma “insufficiente” per puntare al “grande malloppo”: l’obiettivo ambizioso di sconfiggere una volta per tutte le potenti organizzazioni criminali che controllano il territorio, corrompono la politica e condizionano la nostra economia!

“La lotta alla mafia (…) non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e che spinga, specialmente le giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità…”.
Così -ricorda Roberto Saviano- si esprimeva Paolo Borsellino, convinto (da magistrato) che il solo lavoro dei magistrati, pur necessario, non sarebbe stato sufficiente per combattere le mafie fino in fondo.
Per questo occorre affiancare a esso un diffuso impegno “civico, educativo e culturale” volto a smuovere fino in fondo le coscienze di tutti… proprio quelle che il “silenzio” non potrà mai aiutare a risvegliare!


BERLUSCONI - SAVIANO: LO “SCONTRO”

Da mesi il nostro Primo Ministro, Silvio Berlusconi, ha avviato una polemica “senza fine” contro tutti coloro (scrittori, registi, intellettuali, giornalisti…) che, denunciando pubblicamente le mafie (e le sue collusioni con la politica), offuscano i risultati -a suo dire- “straordinari” raggiunti dal Governo nella lotta alle mafie.
Nel mirino del Premier, così, è finito in particolare uno dei simboli oggi più ammirati dai giovani: lo scrittore di “Gomorra”, Roberto Saviano.

Le dichiarazioni del Cavaliere, allora, risultano più eloquenti di ogni altro giudizio.
Eccone alcune:
-28 novembre 2009: “Dobbiamo finire di parlare di mafia (…). Io se trovo chi ha girato nove serie de la Piovra e scritto libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo!”;
-16 aprile 2010: “La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo ma è quella più conosciuta anche per i film e le fiction che ne hanno parlato, come le serie della Piovra e, in generale, la letteratura, Gomorra e tutto il resto!”.

Premessa:
Qual è lo scopo di tale “strategia comunicativa” (visto che uno scopo non può non esserci, specie per un esperto di comunicazione quale Silvio Berlusconi)?
Qual è, in poche parole, il messaggio (tutt’altro che occulto…) che si tenta di veicolare alla pubblica opinione?
Semplice:
I-La mafia? Più famosa che potente…;
II-Parlare di mafia? Tipico atteggiamento “anti-italiano”! Perché, piuttosto, non pubblicizzare le terme di Caracalla o elogiare l’invidiabile bellezza delle nostre veraci donne?(!)

Conclusione:
Quale immagine del proprio Paese può farsi, di conseguenza, un ragazzo che (magari nemmeno nato ai tempi delle stragi del ’92) sente ripetere da una delle più alte cariche dello Stato che:
-Saviano rappresenta una sorta di “approfittatore”, alla ricerca di facile pubblicità a danno dell’immagine dell’Italia (poco importa, poi, se su Gomorra ha lucrato abbondantemente anche la Mondadori che lo distribuisce, di proprietà dello stesso Berlusconi…);
-mentre uno pseudo-stalliere, quale Vittorio Mangano (criminale pluriomicida al soldo di Cosa nostra, come appurato da sentenze passate in giudicato), rappresenta un “eroe”?(!)


FEDE - SAVIANO: L’“AFFRONTO”

A “stringere la corda” attorno all’immagine di Saviano, scendendo in campo in difesa del Premier, ci ha pensato il fido “giullare di corte”, il direttore del Tg4 Emilio Fede, che ha offerto il meglio delle sue “rappresentazioni pseudo-giornalistiche” nel corso dell’edizione dello scorso 9 maggio del Tg4 (in pratica, la nostra “Tele Kabul”!).
Parlando del “gran rifiuto” del ministro Bondi a presenziare al Festival di Cannes (cui, tra l’altro, si è scoperto non essere nemmeno stato invitato…) a causa della presenza del film “Draquila” di Sabina Guzzanti, il fido Fede ha colto l’occasione per attaccare nuovamente Roberto Saviano (?), facendo sfoggio dinanzi ai telespettatori, con un tono tra l’infastidito e lo sprezzante, di “nobilissime” considerazioni personali, tra le quali citiamo:
-“Ci sono state delle polemiche riguardanti Roberto Saviano (…) ma non è lui che ha scoperto la lotta alla Camorra, ma non è lui il solo che l’ha denunciata (…)”;
-“Ci sono stati magistrati che sono morti. Lui è superprotetto -giustamente (…)- però, come dire, non se ne può più! (…)”;
-“Qualcuno, addirittura, gli ha offerto la cittadinanza onoraria. Di che cosa, poi, non si capisce… (…)”;
-“Lui ha scritto dei libri contro la camorra? L’ha fatto anche tanta altra gente (…) senza rompere, senza disturbare la riflessione della gente! (…)”;
-“In un Paese come il nostro (…) non c’è bisogno che ci sia Roberto Saviano!”.

Disturbare la riflessione della gente???
Quest’ennesimo “show mediatico” di Fede (andato in onda -non casualmente- in una delle rete televisive di proprietà di Silvio Berlusconi) non può che definirsi una boutade “fuoriluogo, sconclusionata e superficiale”, che ha ottenuto comunque un risultato dinanzi agli occhi dei telespettatori: quello di delegittimare sommariamente l’“antimafia civile”, di cui Saviano è solo una delle tante espressioni e di cui il nostro Paese -contrariamente a quanto affermato da Fede- ha un estremo bisogno!


DEL PERCHE’ E’ LEGITTIMO “CRITICARE” MA INACCETTABILE “DELEGITTIMARE” SAVIANO

Sgombrando il campo da ogni equivoco, nessuno (nemmeno Saviano, dunque) può considerarsi “intoccabile”, esente da critiche…
Ma il problema sta proprio qui: quali critiche sostanziali (argomentate) rivolgere a Saviano?
Come si giustifica questo “accanimento” nei suoi confronti?
Quale sarebbe la sua più grave “colpa”???
A questo interrogativo posso rispondere soltanto avanzando alcune ipotesi… (meno provocatorie -attenzione!- di quanto possano apparire ad una superficiale lettura…).

PRIMO:
Forse quella di raccontare “falsità” (di non essere attendibile)?
Improbabile, dato che Gomorra, in pratica, consiste in una ben esposta trascrizione degli atti ufficiali del processo “Spartacus” contro le cosche camorristiche di Casal di Principe, frutto di un lavoro d’indagine giornalistica serio ed approfondito!

SECONDO:
Forse quella di “infangare” nel mondo l’immagine del nostro Paese (facendo “cattiva pubblicità” all’Italia e regalando, al contempo, notorietà a boss e camorristi)?
La mia impressione, piuttosto, è che la più grossa pubblicità la mafia se l’è fatta da sola!
Come? Ad esempio:
I-con “omicidi eccellenti” (come quelli dei giudici Falcone e Borsellino);
II-con “assassinii eclatanti”, che hanno indignato l’opinione pubblica non solo italiana (come quello del piccolo Di Matteo, disciolto nell’acido!);
III-o con stragi “in trasferta” (quale quella di Duisburg, in Germania, dell’agosto 2007).

TERZO:
Forse quella di “raccontare” a un pubblico più vasto dei semplici “addetti ai lavori” i meccanismi reali con cui la Camorra controlla quasi “metro per metro” il territorio campano?
Per intendersi, si tratta della stessa terra d’origine dell’onorevole e sottosegretario di Governo Nicola Cosentino:
-nei cui confronti la magistratura ha chiesto (invano) l’autorizzazione all’arresto alla Camera dei Deputati nel novembre 2009 per il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”;
-e di cui il Premier ha rifiutato le dimissioni da sottosegretario lo scorso 19 febbraio.
Se fosse questa la sua unica colpa, si capisce bene perché nessuno ha il coraggio di ammetterlo a viso aperto…(!)

QUARTO:
Forse quella di essere un “opportunista”, guadagnando grazie al successo di Gomorra (di cui sono state vendute “6 milioni” di copie in oltre “42 paesi” nel mondo) più di quanto guadagni qualsiasi altro scrittore medio in un Paese scarsamente dedito alla lettura come il nostro?
Ma da quando il successo personale, conseguito con pieno merito e sacrificio (niente, forse, è più difficile che convincere un italiano a “investire” qualche soldo nell’acquisto di un libro…) è divenuto un “demerito”?!

QUINTO:
Forse quella di essere divenuto, suo malgrado, un “divo”, un “simbolo” per molti giovani (e non giovani)?
Ma da quando, in un Paese civile, ci si scandalizza:
-piuttosto che per gli innumerevoli modelli “negativi” che le cronache quotidiane veicolano ai giovani;
-per un modello, comunque la si pensi, “positivo” come quello di Saviano, portatore di “ideali sani” (su tutti, il rispetto assoluto per la legalità)?!
Dovrebbe far riflettere tutti, del resto, “il prezzo” pagato da Saviano per questa sua “notorietà”: pendendo su di lui una sentenza di “condanna a morte” emessa dalla Camorra, lo scrittore napoletano si ritrova costretto a vivere una vita da “recluso sotto protezione”, privato di moltissime comuni libertà… salvo, ancora, quella di parola!
A chi taccia spregiativamente Saviano di essere un “professionista dell’antimafia” (citando, impropriamente, il grande Leonardo Sciascia), inoltre, vorrei ricordare che anche Sciascia in un caso si è sbagliato, tacciando di essere tale persino il giudice Falcone!

SESTO:
Forse quella di essere “solo” uno scrittore?
Può sembrare assurdo ma c’è anche chi, come lo scrittore Massimiliano Parente (autore del libro “La casta dei radical chic”), intervistato dal giornalista Paragone nel corso del programma “L’Ultima parola” lo scorso 14 maggio, è arrivato al punto di dire sarcasticamente: “se Saviano avesse davvero voluto combattere la mafia perché ha deciso di fare lo scrittore anziché il magistrato?”…
Un pensiero tutt’altro che isolato ma che rivela una “profonda ignoranza” (molto grave, poi, se manifestata da parte di un intellettuale, ossia di una persona che dovrebbe saper interpretare al meglio la realtà con i propri occhi): l’idea per cui la criminalità organizzata si combatta solo nei Palazzi delle Procure piuttosto che, ancor prima, in famiglia e nelle scuole!

SETTIMO:
Forse quella di “non essere il solo” a denunciare il malaffare mafioso?
Certamente (e per fortuna!) Saviano non è il solo a denunciare le mafie, a scrivere libri sul tema, a vivere la propria professione anche come un “impegno civico”.
Questa, però, non può essere una ragione valida e sufficiente per sminuire i meriti di Saviano, specie considerando che, al contrario di Cosa nostra, la Camorra (come la ‘Ndrangheta) non è mai stata un fenomeno criminale diffusamente studiato e approfondito.

OTTAVO:
Oppure, al limite del parossismo, l’unica colpa che si rimprovera a Saviano è quella di essere ancora “vivo”?!
Già, perché secondo la vetusta logica di un Paese “senza memoria né coscienza” quale il nostro, gli eroi (o cd. tali) si rispettano solo “da morti” (magari poi litigando per accaparrarsi la loro eredità morale!).
Non scopriamo oggi, del resto, che anche Falcone è stato oggetto di dure critiche e pesanti attacchi personali…
Una delle più palesi maldicenze dette a suo conto all’epoca del fallito attentato dell’Addaura dell’estate 1989, ad esempio, è stato il sospetto che sia stato proprio lui l’autore della “messa in scena” dell’Addaura, ben orchestrata per conquistare facili consensi rivestendo il comodo ruolo della “vittima”!
Un’inchiesta apertasi proprio in questi mesi a Palermo, invece, sta facendo venire alla luce scenari “inquietanti” (per non dire “sconvolgenti”!) in merito agli stessi fatti, ipotizzando:
-non solo che l’attentato sia fallito solo grazie alla prontezza d’intervento di due poliziotti, Nino Agostino ed Emanuele Piazza (non casualmente pochi mesi dopo misteriosamente uccisi e vergognosamente sospettati di esserne stati complici, depistando le indagini sulla loro morte!);
-ma anche che -come già sostenuto all’epoca da Falcone- dietro la mano esecutrice della Mafia si nascondessero “menti raffinatissime” (in pratica, apparati deviati dello Stato!).

IN CONCLUSIONE:
Gli “improperi” di Emilio Fede contro Roberto Saviano sono “inqualificabili”:
-non tanto per una questione di “stile” (sarebbe fin troppo pretendere da chi rappresenta la parte più “becera” dell’informazione italiana di dar sfoggio di buon giornalismo…);
-bensì per la loro incomprensibile “ambiguità” di fondo!
Saviano non è criticato, infatti, per un’opinione politica espressa o per una falsa verità detta.
L’attacco a Saviano si fonda solo e soltanto sul suo “parlare” di Camorra (e di mafie, più in generale) con un linguaggio comprensibile a un pubblico vasto, in grado così di far maturare in molti la consapevolezza di come:
I-la criminalità organizzata sia un problema (un’“emergenza”) nazionale;
II-e il suo contrasto debba rappresentare una “priorità assoluta” per qualsiasi governo ci rappresenti!


DEL PERCHE’ SAVIANO E’ UN PERSONAGGIO “SCOMODO” (…SE NON “EVERSIVO”!)

L’unica domanda da porsi, a tal punto, resta la seguente: cosa c’è dietro questo “assalto” a Saviano (più che alla persona in sé, a ciò che rappresenta)?

Volendo “volar basso”, probabilmente Saviano “rompe” -per usare lo stesso eufemismo di Fede- perché con il suo Gomorra (e, ancor di più, con l’attività di divulgazione e denuncia che ne è seguita) rischia di far crollare il “castello di carta” costruito negli anni dalla politica, di smontare la narrazione perfetta di un “Paese dei balocchi”:
-rinato dalle ceneri della Prima Repubblica;
-governato da una nuova classe dirigete “del fare” (cosa, esattamente, non è dato sapersi…);
-e in cui le mafie sono oramai “messe all’angolo” e ridotte, in seguito alla cattura di boss e camorristi, a fenomeni di mera “criminalità disorganizzata”.
L’attacco a Saviano, nella migliore delle ipotesi possibili, si potrebbe dunque spiegare nel quadro di una più generale opera di “propaganda filo-governativa”.

Questa la spiegazione più “augurabile”.
La più augurabile perché l’unica alternativa possibile sarebbe letteralmente di carattere “eversivo”: la cosciente e pianificata volontà di delegittimare simboli preziosi nella lotta alla mafia!
Attaccare Saviano, allora, rappresenterebbe un modo come un altro per legittimare chi:
-appena ieri sosteneva che “la mafia non esiste” e “il giornalismo mafioso fa più male di dieci anni di delitti” (parole di un giovanissimo e spavaldo Totò Cuffaro, nel 1992 inaspettato protagonista di una puntata congiunta di Samarcanda e del Maurizio Costanzo Show);
-ed oggi sostiene -ancor peggio!- che “la mafia non esiste più” perché già sconfitta (tra i tanti, il sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi).


“CHI TACE E’ COMPLICE!”

Se, secondo Fede, di Saviano l’Italia “non ha bisogno”, a mio avviso il problema è, semmai, l’opposto: di Saviano uno “non basta”, bensì ce ne vorrebbero mille!

Saviano “onora” (non infanga) l’immagine del nostro Paese!
Ad “infangare” l’Italia, casomai, sono:
1-le mafie stesse (di cui ne vantiamo non una ma ben tre, e tutte di un certo spessore…);
2-e l’altissima (e notoria) corruzione pubblica presente nel Paese (testimoniata dal rapporto 2009 sia di “Transparency International”, che ci colloca al 63° posto nel mondo, sia della Corte dei Conti, che calcola in 60 miliardi di euro il costo della corruzione e del malaffare pagato dagli Italiani!).

Saviano non è un “eroe”, almeno per chi come me non è avvezzo alla retorica…
Saviano è, più semplicemente, una persona coraggiosa, intellettualmente onesta e capace di assumersi le responsabilità delle proprie scelte: il che, se in un Paese “normale” dovrebbe essere una virtù abbastanza comune, in un Paese come il nostro (in cui il livello di “finto perbenismo” e di “malaffare” è elevatissimo!) diviene un merito sufficiente per aver accesso all’“Olimpo degli eroi”!
Il problema, dunque, non è Saviano: semmai è l’Italia (e gli Italiani)!

Lo scrittore napoletano è divenuto -sicuramente suo malgrado- una “icona”, un “simbolo”, un “modello positivo”: una “speranza” per molti giovani, specie meridionali (“in massa” disillusi dai pomposi proclami di una politica sempre più vecchia e autoreferenziale e disgustati dalle regole clientelari d’accesso al mercato del lavoro!).
“Eroe” o “non eroe”, pertanto, Saviano è un personaggio d’indiscutibile “statura morale” che, anche solo per questo, merita “rispetto”, come autorevolmente riconosciuto dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso dell’incontro tenutosi con lo stesso appena due giorni dopo lo sconcertante editoriale di Fede.

Uno slogan caro a Peppino Impastato (oltre al celebre “La mafia è una montagna di merda”) recitava: “La Mafia uccide. Il silenzio pure!”.
A oltre trent’anni da quel 9 maggio 1978 (in cui, nelle stesse ore, morivano Peppino Impastato e Aldo Moro), questo stesso slogan rimane ancora il più urlato dai giovani che scendono in piazza, sempre più numerosi, per dire “no alla mafia” in Sicilia oppure “ammazzateci tutti” in Calabria!
E’ questo, probabilmente, il segnale più “sconfortante” di come:
-tanti progressi sono stati compiuti nella lotta alla mafia (specie dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino, in questo senso niente affatto invano…);
-ma il gattopardesco rischio che “tutto cambi perché nulla cambi” resta un pericolo ancora incombente in un’Italia -ripeto- troppo spesso “senza memoria né coscienza”…

“Chi tace è complice”, ripeteva con insistenza un altro grande personaggio della storia civile italiana (purtroppo sostanzialmente dimenticato, nonostante, tra gli innumerevoli riconoscimenti internazionali ricevuti, ben nove candidature al Premio Nobel per la Pace!), ossia Danilo Dolci.
L’Italia non ha bisogno di “silenzi”, bensì di “parole”, di presa di coscienza, di risveglio etico e civile!
Anche se -occorre ammetterlo- di fronte a “certe parole” (sentendo importanti cariche dello Stato evocare il “silenzio” contro le mafie, non comprendendo come ciò è proprio quello che più di ogni altra cosa auspicherebbero le stesse associazioni malavitose), verrebbe quasi voglia di augurarsi silenzi…

Gaspare Serra
(Giurisprudenza Palermo)

Blog “Panta Rei”

Gruppi facebook “Insieme contro la Mafia… (fuori Cosa nostra da casa nostra!)