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mercoledì 15 settembre 2010

Lega del Cittadino: Regione Salento impossibile per legge

Sul tema della Regione Salento interviene Vantaggiato della Lega del Cittadino che definisce il dibattito in corso “una futilità sconcertante”.“Una futilità sconcertante”. E’ questo il giudizio di Ruggero Vantaggiato, presidente della Lega del Cittadino e dell’Ambiente di Lecce su tutte le iniziative riguardanti la “Regione Salento” per la quale in molti si stanno appassionando in queste settimane. Il giudizio di Vantaggiato, dunque, è a dir poco pessimo e le sue invettive partono da presupposti legislativi: “Meraviglia non poco - sostiene il presidente della Lega del Cittadino - che docenti indigeni di diritto costituzionale non dicano, a quanti si impegnano e si spendono per la “Regione Salento”, che sulla base dei principi contenuti nell’ordinamento costituzionale italiano, non esiste l’ipotesi di nuove autonomie regionali a statuto speciale, nè tanto meno è percorribile la strada della regione a statuto ordinario per le difficoltà oggettive che ne rendono quasi impossibile il percorso, impervio, se non del tutto inaccessibile.I propagandisti – prosegue Vantaggiato - ignorano volutamente quanto la competente Commissione parlamentare, in sede di esame della riforma dell’ordinamento costituzionale dello stato ha inteso fare cambiando radicalmente l’articolo 132 della Costituzione. Da quella modifica risulta che a nuove regioni si potrà arrivare solo con la fusione di entità già esistenti con popolazione non inferiore a due milioni di abitanti”.
Da qui si deduce dunque che lo “scorporo” è una via assolutamente impraticabile. “Il nostro spirito federalista - conclude Vantaggiato - ci porta a condividere lo spirito di tale riforma ma al tempo stesso ci costringe a non unirci al coro di coloro invocano il “grande Salento” come panacea di tutti i mali della vecchia “Terra d’Otranto”.

(C) ilpaesenuovo.it

PIU' DIRITTI PER I DETENUTI DEL CARCERE DI BORGO SAN NICOLA (LE)

Più diritti per i detenuti
Il vescovo: se no svilisce la dignità dell’uomo

di STEFANO LOPETRONE
Solidarietà ai detenuti di Borgo San Nicola, che chiedono il risarcimento del danno per trattamento inumano e degradante. Sostegno all'iniziativa degli agenti penitenziari, che intendono ricostruire due celle del carcere in Piazza Sant'Oronzo per risvegliare le coscienze dei leccesi. L'arcivescovo di Lecce, monsignor Domenico D'Ambrosio, ha da sempre mostrato una vicinanza particolare al mondo del carcere. Nel giorno in cui si è insediato, il 4 luglio 2009, prima ancora di entrare in città si è fermato davanti ai cancelli di Borgo San Nicola
per incontrare lavoratori e prigionieri. L'ultima visita il 25 agosto, quando ha trascorso «dietro le sbarre» l'intera mattinata. Ha ritrovato un carcere ancor più sovraffollato, che sbuffa ed è ai limiti della resistenza: ci vivono 1.488 persone invece di 659.
«Chi è attento alla dignità dell'uomo non può non gridare il suo disagio, il suo dissenso forte», ci dice. Borgo San Nicola è una polveriera che rischia di esplodere. Un tunnel in cui però non è impossibile, ad un uomo di fede, intravedere la luce della speranza nonostante si viva in condizioni ai limiti della tortura. Eccellenza, il Comitato permanente sulla tortura indica in 7 metri quadrati lo spazio vitale minimo da destinare ai detenuti per non configurare condizioni da tortura. A Borgo San Nicola ci sono detenuti che in
quello spazio vivono in 3.

È possibile che in un Paese civile i detenuti debbano fare ricorso ad un Tribunale per far rispettare un proprio diritto? «Non so se i parametri internazionali considerano uno spazio inferiore ai 7 metri quadrati un
trattamento da tortura. Certo quella specie di spazio, anzi di sottospazio, è disumano. Certamente è degradante».

Possibili soluzioni? «Non so che cosa si può fare. Fanno bene i detenuti a far sentire la loro voce. Facciamo bene anche noi, che ci rendiamo conto delle condizioni in cui vivono, a fare da megafono soprattutto per la società civile. Mi chiede se è possibile che si verifichi una situazione del genere: purtroppo è la realtà. Chi è attento alla dignità dell'uomo non può non gridare il suo disagio, il suo dissenso forte. Io l'ho fatto: parlando alla città ho ricordato che esiste anche questo luogo di pena e di sofferenza che costringe gli uomini in condizioni disumane e degradanti».

Nel suo messaggio alla comunità del 24 agosto ha richiamato i fedeli ad una delle sette opere di misericordia corporale: visitare i carcerati. Borgo San Nicola però sembra essere il tappeto sotto il quale la società nasconde la polvere. Che cosa fare per non pensare ai detenuti come le scorie della società? «Parlo da cristiano, non posso smettere panni che mi appartengono. Ho richiamato una delle sette opere di misericordia, ma nel Vangelo Gesù dice qualcosa di più forte: “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. Di fronte a un Cristo liberatore dell'uomo che addirittura sceglie di identificarsi con queste persone, è chiaro che noi cristiani non possiamo pensare che il carcere o quelli che si trovano nel carcere siano i reietti della società. Sono persone che hanno sbagliato, certo. Bisognerà trovare un modo per aiutarli a comprendere i loro errori. Ma non può essere un sistema riabilitante ciò che invece abbrutisce. Così come è messo, Borgo San Nicola svilisce la dignità dell'uomo. Il cristiano, che crede ad un Amore che non conosce distinzioni di
sorta, non può non far sentire il proprio dissenso. Io l'ho fatto perché credo in quella Parola, ma la Parola non si annunzia soltanto, si vive».

Nel mondo sindacale della polizia penitenziaria, c’è chi pensa ad una manifestazione clamorosa, come ricostruire in dimensioni naturali due celle del carcere in Piazza Sant'Oronzo, per far capire alla cittadinanza in quali condizioni vivono i detenuti e lavorano gli agenti. Può essere un'iniziativa che scuote le coscienze? «Credo che una parola per questi lavoratori vada spesa. Forse li vediamo come quelli che devono punire. Invece credo che siano reclusi anche loro. Sono uomini come noi e vivono spesso nel disagio di dover
far fronte a situazioni estreme che essi stessi rifiutano. Sono penalizzati per troppe cose: per i turni di lavoro, perché sono impari nel numero rispetto alle reali necessità, perché molte volte devono dichiarare la propria impotenza a fare qualcosa che umanamente vorrebbero fare. Bisogna dare atto a questa gente del lavoro che fanno: quanti suicidi sono stati sventati nel nostro carcere,per il soccorso, la prontezza e l'attenzione degli agenti penitenziari! Questa protesta clamorosa può servire a far prendere coscienza ai tanti di una realtà che è preclusa a molti. È vero che Gesù dice di visitare i carcerati, ma chi può andarci in realtà? Io sono fortunato perché sono vescovo e le porte mi si aprono. Perciò vado per far capire loro che all'esterno di quelle mura c'è chi non li ha gettati nel pozzo del dimenticatoio».

Eccellenza, la prima visita da arcivescovo di Lecce l’ha dedicata ai detenuti ed ai lavoratori di Borgo San Nicola, che periodicamente va a trovare. Lei che cosa ha notato stando insieme a loro? «Hanno un tasso di umanità che per certi versi è superiore al nostro. Vivendo la privazione della libertà sono portati a spazi di riflessione che la fretta e le preoccupazioni ci impediscono di avere. Sono persone sensibilissime. Ho una buona corrispondenza con loro. Come minimo mi arriva una lettera ogni 15 giorni. A volte chiedono oggetti indispensabili, ma per lo più esprimono disagio e desiderio di sentirsi accolti anche all'esterno. Potrei raccontare un'infinita di episodi: spesso mi scrivono “io non sono degno, ma una benedizione per i miei figli me la può dare?”. Hanno bisogno di amore».

Il carcere è pieno di “ultimi”, persone che si ritrovano dentro perché tossicodipendenti, extracomunitari clandestini, barboni, matti. Si può essere d ‘accordo con chi pensa al carcere come uno strumento di “pulizia etnica”? Può il carcere essere considerato come un fallimento della società? «L'istituto penitenziario ha una sua funzione, ma oggi in carcere ci sono tutti. Sbaglia chi pensa che l'unico mezzo per curare le piaghe sociali sia il carcere. Questo è un errore madornale compiuto dalla società contemporanea. Si fa di ogni erba
un fascio, proprio per la varietà delle tipologie di persone che vi si trovano, ci sarebbe bisogno di mezzi diversi. Non si può curare un tossicodipendente, un depresso mettendolo tra quattro mura. Piuttosto bisognerebbe utilizzare le tecniche che il mondo moderno mette a disposizione. Il carcere è diventata una
soluzione facile, pilatesca: ci laviamo le mani e non affrontiamo realmente i problemi. Forse perché abbiamo paura. O Forse perché la società non è capace di modulare gli interventi utili a rimettere nella giusta dimensione chi vive in una realtà che lo emargina».

Si sente solo in questa battaglia per risvegliare le coscienze della comunità cattolica sulla condizione dei diritti dei carcerati? «Io non faccio battaglie, io faccio il vescovo. Come vescovo devo essere fedele a quel che mi insegna Gesù Cristo. Se c'è un precetto che è primo nella logica dei credenti è quello dell'Amore. E l'Amore va dato a tutti, in modo particolare a quelli che non ne hanno. E chi è in carcere è più bisognoso d'amore: per questo ci vado con frequenza».

I CANI VALGONO PIU' DEI FIGLI

Al presidente della Repubblica
ON. GIORGIO NAPOLITANO
Al ministro della Giustizia
ON. ANGELINO ALFANO

In questi giorni sono rimasto sorpreso della sensibilità del nostro Ministro della Giustizia, tanto che ora quando qualcuno dei miei compagni di pena brontola che viviamo in un paese senza giustizia, vado su tutte le furie.
Come si fa a dire sciocchezze del genere, se il nostro Ministro, nel momento in cui è venuto a conoscenza che un cagnolino soffriva d’ansia, perché gli avevano arrestato il proprio padrone, si è impegnato in prima persona perché il padrone ottenesse gli arresti domiciliari e potesse consolare il suo cagnolino.
Onore al cane, onore al suo padrone che ha capito di vivere in un paese in cui i cani hanno più diritti dei figli dei detenuti, onore al Magistrato che gli ha concesso gli arresti domiciliari, onore al Ministro Alfano e alla sua sensibilità, che ha permesso di non mortificare la dignità di un cane che soffriva d’ansia.

Vede signor Ministro, sono un condannato per reati di poco conto, a pochi anni di carcere, ma siccome sono nato a Palermo, tra quei reati è stata aggiunta anche la ciliegina del 416 bis, che in Sicilia non si nega a nessuno e per questo devo scontare sino all’ultimo giorno di pena segnato in sentenza.
Signor Ministro, durante tutta la durata della pena ho visto una sola volta a colloquio i miei figli, perché nonostante il 416 bis, non ho mai avuto la possibilità economica per farli venire a trovarmi, a Spoleto.
Ora che mi restano pochi mesi di carcere da scontare, avevo chiesto un permesso e mi è stato negato, perché i miei figli non soffrono d’ansia per un padre che non vedono da anni e non sono stati ritenuti altrettanto meritevoli d’attenzione di quel cane che lei ha preso così tanto a cuore.
I miei figli non soffrono e non hanno bisogno della presenza del padre, per essere confortati come quel cane che lei ha preteso venisse rasserenato dalla presenza del suo padrone.
Signor Ministro mi consenta di dirle che è davvero un grande Paese quello dove il Ministro della Giustizia si preoccupa per l’ansia di un cagnolino e non dei figli dei detenuti che non possono vedere i genitori per anni.

Di Gregorio Girolamo
Casa di reclusione di Spoleto lì, 1 settembre 2010