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lunedì 14 febbraio 2011

GIOVANNI PASSANNANTE



Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, Potenza, 18 febbraio 1849 - Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910), è stato un anarchico individualista italiano conosciuto per aver attentato alla vita del re Umberto I nel 1878.

Giovanni Passannante, nasce a Salvia di Lucania (ora rinominata Savoia di Lucania) il 18 febbraio 1849 da una poverissima famiglia costretta, come tantissime altre in quell’epoca, a vivere in condizioni d’estrema povertà.
È un autodidatta e le sue letture, oltre alla Bibbia, sono i testi di Mazzini, Garibaldi e i giornali che raccontano dell’ Internazionale e della Comune di Parigi. In difficoltà economiche, ha girovagato in varie parti d'Italia in cerca di un lavoro, svolgendo soprattutto la professione di cuoco, prima di approdare a Napoli. Nel suo girovagare s'interessa all'anarchismo ed entra a far parte del Gruppo Libertario Repubblica Universale.
E’ in questi ambienti che cova un odio profondo per i reali che sguazzano nella ricchezza mentre la maggior parte delle persone vive in condizioni miserevoli. Giovanni intende richiamare l’attenzione sulle disastrose condizioni di vita degli italiani ed è pronto a compiere un gesto estremo: attentare alla vita del re!

Giovanni non è uno sprovveduto, è consapevole di quel che va a fare, sa che il suo gesto non potrà che procacciargli grossissimi guai. Il 16 novembre vende la sua giacca e acquista un temperino, poi scrive sul suo fazzoletto «A morte il re! Viva la Repubblica Universale». Il 17 novembre 1878 la carrozza di Umberto I di Savoia (il presunto “re buono”...) e la regina Margherita, percorre le strade di una Napoli festante accorsa a salutare il passaggio della coppia reale. All’improvviso Giovanni Passannante, estrae dalla tasca un fazzoletto rosso che nasconde il piccolo coltellino con la lama di 8 centimetri, si avvicina alla carrozza e colpisce il re. Margherita riesce a urtare l’attentatore con un mazzo di fiori e, miracolosamente, a deviarne il colpo sul primo ministro Cairoli, il quale si ritrova con una brutta ferita alla gamba, mentre Umberto viene ferito solo di striscio.

Giosuè Carducci, in onore al povero “re buono”, compone la famosa Ode alla Regina. Giovanni Pascoli, al contrario, compone il celeberrimo Inno a Passannante (poesia che gli costò l’arresto), oggi andato purtroppo perduto (forse distrutto dallo stesso Pascoli “ravvedutosi” in età matura), ma di cui ci rimangono gli ultimi versi: «Con la berretta del cuoco faremo una bandiera!».
Mentre i monarchici festeggiano per lo scampato pericolo, da lì a pochi mesi cade il governo Cairoli, accusato di non fare abbastanza in tema di ordine pubblico. Il sindaco di Salvia, dopo che tutta la famiglia Passannante è stata segregata nel manicomio criminale di Aversa, accetta servilmente che il nome del paese, come castigo per avergli dato i natali, si trasformi in Savoia.

L’atto di Passannante giunge a breve distanza dai tentativi insurrezionali di Bologna e del Matese, in un’Italia da poco unificata e attraversata da un’infinità di contraddizioni (una solida minoranza di privilegiati e la maggioranza di cittadini costretti a vivere in enormi difficoltà quotidiane), una monarchia non molto amata, e un governo che rappresenta i soli interessi delle classi dirigenti. In questo contesto, tutt'altro che a lui favorevole, Passannante subisce il processo.
Egli sa che la corte non avrà clemenza poiché è stato il “primo” che ha osato alzare la mano sull’autorità, quindi non ci sarebbe dovuto esser spazio per il secondo. (La storia andò diversamente e dopo il tentato regicidio da parte dell'anarchico Pietro Acciarito (22 aprile 1897), il 29 luglio 1900 Gaetano Bresci colpirà a morte Umberto I).

Dopo una detenzione di alcuni mesi durante la quale si cerca inutilmente di provare un complotto con gli anarchici napoletani Schettino e Melillo, si celebra il processo. Durerà solo due giorni (6-7 marzo 1879).
Davanti a un pubblico elegante seduto in posti numerati e munito di binocolo per osservare meglio il “mostro” in prima pagina, la difesa d’ufficio è affidata all’avv. Leopoldo Tarantini, il quale prima di assumerne la difesa chiese perdono al re per l'"ingrato" compito, che proverà a farlo passare per infermo di mente per salvarlo dalla condanna a morte (la perizia di cinque luminari dimostra la sua “finezza e forza di pensiero non comune”). La giuria comunque non ha alcuna pietà e lo condanna alla pena capitale, anche se il codice prevedeva la pena capitale solo in caso di regicidio, ma il “re buono” temendo che la condanna sproporzionata possa creare simpatie per l’attentatore, la trasforma “magnanimamente” in ergastolo.
Condotto nella Torre del Martello del penitenziario di Portoferraio, chiamata poi dai marinai Torre Passannante perché da lì udivano i suoi lugubri e continui lamenti, è chiuso in una cella alta 1,50 e legato a una catena pesante 18 chili che gli consente di muoversi per un solo metro. In tutto quel periodo Giovanni fu visitato solo dal deputato socialista Agostino Bertani e dalla pubblicista Anna Maria Mozzoni, i quali si trovarono di fronte ad uno "spettacolo" agghiacciante:
«Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò... il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani... poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi» (Salvatore Merlino, L'Italia così com’è, 1891, in Al caffè, di Errico Malatesta, 1922).
Solo dopo l'incontro con Bertani e Mozzoni viene concesso il trasferimento nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Qui, gravemente malato di scorbuto, quasi cieco e ormai completamente impazzito per le torture fisiche e psichiche subite, Giovanni morirà a 61 anni il 14 febbraio 1910.

Dopo la morte le autorità continuano ad accanirsi sul corpo del povero Giovanni. La sua testa viene tagliata dal resto del suo corpo, teschio e cervello vengono accuratamente sezionati e conservati affinché i criminologi possano studiarli. Essi sono convinti di potervi trovare, tra le altre cose, anche la famosa fossetta occipitale mediana, segno inequivocabile di delinquenza (in realtà questa si trova presente anche in intere popolazioni che sicuramente non sono dedite a pratiche di criminalità di massa).

Il 10 maggio 2007 è avvenuta la sepoltura, nel paese natale, dei resti di Giovanni Passannante.

tratto da http://ita.anarchopedia.org/Giovanni_Passannante

10 FEBBRAIO IL "GIORNO DEL RICORDO"


parmantifascista.org
Giovedì 10 febbraio, si è tenuto un presidio a Parma sotto il monumento al Partigiano, in occasione del cosiddetto "Giorno del ricordo", che ha visto la partecipazione di tutta la Parma Antifascista. Il presidio aveva l'intenzione di svelare le operazioni di revisionismo che si celano dietro la "questione foibe", e di diffondere la verità storica riguardo ad esse ed ai crimini compiuti in jugoslavia dai nazifascisti. Quest'anno comunque, e per fortuna, i politici di Lega e Pdl non sono scesi in corteo come l'anno scorso, quando sfilarono per le vie del centro a braccio teso, e dei fascistelli di CasaPound non si è vista nemmeno l'ombra.

Di seguito, il testo del volantino distribuito:

Ricordare il proprio passato è fondamentale per capire il presente e saper affrontare il futuro. In Italia dal 2005 ogni 10 febbraio è "giorno del ricordo", una data istituita nel 2004 con il fine di "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe" (dal testo di legge).
Il 10 Febbraio media e politica ci raccontano delle migliaia di italiani gettati nelle foibe, di perfidi partigiani comunisti, e della tragedia degli italiani che dovettero lasciare quelle terre, ipotizzando un progetto di pulizia etnica da parte dei partigiani. Si tratta di uno strano modo di ricordare; come se prima dell'otto settembre del '43 non fosse successo niente in quelle terre di confine e in tutto il mondo. Integrare questi ricordi può aiutare a comprendere meglio ciò che avvenne in quel periodo che va dall'avvento del fascismo fino alla fine della seconda guerra mondiale. Già nel 1920 Benito Mussolini aveva le idee chiare sulla jugoslavia: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».
Fin dai primi anni del fascismo, nelle terre di confine con la Jugoslavia, venne attuata una politica razzista nei confronti delle minoranze, proibendo loro di parlare nelle loro lingue, vietando le scritte in slavo sulle tombe e italianizzando i nomi. Non solo, le chiese ortodosse vennero chiuse, distrutte o trasformate in chiese cattoliche e i serbi furono obbligati a circolare con una P sul braccio. Nei locali pubblici poi venne posto il cartello: " vietato l'ingresso ai serbi, ebrei, zingari e cani". Dal 1941 la situazione peggiorò ulteriormente con l'occupazione nazifascista della Jugoslavia; vennero istituiti campi di concentramento sia in Italia che in Jugoslavia in cui vennero internate migliaia di persone. Molte di esse, uomini, donne, anziani e bambini, trovarono la morte in quei lager. Per contrastare la lotta partigiana i nazifascisti non si fecero alcuno scrupolo, deportando intere famiglie, bruciando villaggi, fucilando. Un esempio può essere quello di Kragulevac, un paese in cui furono giustiziate 2300 persone. Nonostante questo il popolo jugoslavo seppe organizzare la propria Resistenza all'occupazione. Nel 1942 fu mandata a tutti i comandi di stanza in Slovenia la circolare 3C che conteneva ordini di questo genere: «Internare a titolo protettivo, precauzionale e repressivo, individui, famiglie, categorie di individui delle città e delle campagne e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali»
Questi sono solo alcuni degli avvenimenti che precedettero le Foibe e l'esodo di migliaia di italiani da quelle terre. Si tratta di fatti che vanno ricordati quando si ha l'intenzione di affrontare nella maniera più obbiettiva la questione delle foibe.
Non si tratta infatti di negare l'esistenza delle foibe ma di cercare di capirne le cause e le dimensioni.
Sul finire del '43, i nazifascisti rioccuparono le terre liberate temporaneamente dai partgiani, e procedettero a riesumare i corpi dalle foibe. Il sottufficiale dei vigili del fuoco Harzarich diresse sotto le direttive dei nazifascisti il recupero dei corpi e stese un rapporto (rapporto Harzarich): da 10 foibe vennero recuperati 204 corpi.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale si scoprirono altre foibe e tra il 1945 e il 1948 vennero riesumati da esse 464 corpi.
La maggior parte dei corpi riesumati appartenevano a nazifascsti o collaborazionisti delle forze occupanti e in una minima parte di vittime della giustizia sommaria che vi fu nei giorni della liberazione. Questi dati sono riscontrabili in numerose ricerche storiche e da documenti ufficiali sia dei nazifascisti che degli angloamericani. Basterebbero quei documenti per mettere fine alle sciocchezze di chi parla di migliaia di infoibati. Come sarebbe sufficiente ricordare che furono oltre quarantamila i soldati italiani che si unirono ai partigiani jugoslavi per smentire le ipotesi di pulizia etnica.
Infangare la memoria della resistenza, demonizzare i comunisti ed equiparare i partigiani ai fascisti è l'unico vero fine di questa giornata.
Il giorno del ricordo si inserisce in un più ampio quadro di rivisitazione delle storia per fini politici che partendo dalla Resistenza arriva fino alla rivalutazione della figura di Bettino Craxi.
In questo scenario si inseriscono perfettamente i fascisti di Casa Pound che proprio l'hanno passato scrivevano su uno striscione : Tito assassino , meglio Bettino.
Non facciamoci ingannare da chi con queste campagne vuole coltivare un popolo ignorante e manipolabile. Se il 10 Febbraio è giorno del ricordo gli antifascisti si faranno trovare ai loro posti per ricordare ciò che il potere vuole gettare nell'oblio.
Noi Ricordiamo Tutto!

da Indymedia