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mercoledì 23 febbraio 2011

Si finge nazi per vendicare la famiglia Dopo 4 anni scopre l'SS che la sterminò

BERLINO - Per vendicare la sua famiglia sterminata dai nazisti, per quattro anni si è trasformato in uno di loro. Ha mangiato con loro, ne è diventato amico, si è vestito come loro e ha urlato i loro slogan. Lo storico americano ebreo Mark Gould, 43 anni, si è finto neonazi per smascherare l'aguzzino delle SS che aveva ucciso 28 membri della sua famiglia. Zii, cugini, nonni, il suo passato e parte del suo futuro. Ma la storia della vendetta Gould l'ha poi raccontata al quotidiano di Amburgo, la Bild.Dopo averne seguito le tracce, dagli Stati Uniti Gould aveva deciso di trasferirsi in Germania nel 2006. Voleva denunciare la responsabilità nella Shoah di Bernhard Frank, 97 anni, ex Obersturmbannführer di Hitler, che negli anni aveva continuato a praticare indisturbato come 'dottore' e che dalla fine della guerra, viveva tranquillamente in Assia. Gould ne aveva ricostruito il passato, seguito la vita quotidiana, la professione. Frank non era stato un nazista qualsiasi, ma l'ultimo comandante dell'Obersalzberg, il nido dell'aquila sulle Alpi bavaresi, residenza di vacanza di Hitler.

Era stato soprattutto il braccio destro di Heinrich Himmler, capo delle SS che mise in atto la soluzione finale decisa dal Führer. La vendetta di Gould ha cominciato a prendere forma quattro anni fa. Una volta arrivato in Germania aveva iniziato a partecipare a numerose manifestazioni di veterani delle SS in Germania dove era riuscito ad avvicinare Frank. Lentamente l'aveva portato a confidarsi e a intrattenere
un rapporto epistolare con lui.

Era stata la sua firma in una di queste lettere a confermargli che fosse proprio l'uomo che cercava: "Era la stessa apposta sotto l'ordine del 28 luglio 1941 di sterminare gli ebrei", ha raccontato Gould alla Bild. "Se la popolazione è inferiore dal punto di vista umano o della razza, bisogna fucilarli tutti", era il testo del messaggio con il quale Frank ordinò di sterminare la popolazione civile della Bielorussia.

In questi quattro anni, lentamente, Gould è riuscito a parlare con Frank anche di quell'ordine. L'ex Obersturmbannfuehrer gli aveva risposto così: "Non c'è niente da criticare, poiché gli ebrei hanno oppresso i tedeschi e con questo si sono scavati la loro fossa". Poco dopo che lo storico americano ha citato a Frank tutti i nomi dei suoi familiari, sterminati su suo ordine. Un appello agghiacciante di morte. "Sei un mio amico o un mio nemico?", gli ha risposto l'ex SS. Non ha mai avuto altra risposta, se non l'elenco di quei 28 nomi.

La Bild ha appreso da ambienti giudiziari che le autorità americane e la polizia regionale di Wiesbaden hanno aperto un fascicolo su Bernhard Frank, in vista di una possibile incriminazione.

da Antifa.org

Berlusconi complice di Gheddafi, se ne vadano entrambi!


da Indymedia di Dada Viruz Project
Che i tiranni lascino mal volentieri il potere è cosa ben risaputa ma quanto sta avvenendo in Libia è qualcosa di terrificante che supera l’iimaginazione. La rezione del colonnello Gheddaffi ha superato di gran lunga quella degli altri despoti della regione, Mubarak e Ben Alì. Il regime libico, infatti, non si è limitato a mandare contro i manifestanti una polizia brutale come è avvenuto in Tunisia ed Egitto ma ha ordinato a veri e propri mercenari stranieri di sparare sulla folla. Gli oppositori del colonnello corrotto e razzista sono stati colpiti da colpi di mortaio, da scariche di mitragliatrici da veri e propri bombardamenti avvenuti da aerei ed elicotteri. Il volto più brutale dello stato, quello terrorista, si è manifestato al mondo intero. Gheddaffi da anni gode dell’appoggio del governo Italiano che lo ha riabilitato agli occhi del mondo. Il ministro degli esteri Franco frattini e il rais di casa nostra Silvio Berlusconi, in più di un’occasione hanno pateticamente elogiato il “nuovo corso” di Gheddaffi.I capitalisti italiani, Eni in testa, hanno fatto affari con questo signore e i suoi clan. Gheddaffi però non è solo un uomo dal passato oscuro, un uomo d’affari senza scrupoli è il cane da guardia della Fortezza Europa nel Mediterraneo. Nei deserti libici migliaia e migliaia di Africani sono morti di stenti o uccisi torturati dagli sgherri del colonnello libico per impedire che questi migranti raggiungessero l’Europa come più volte richiesto dai ministri Roberto Maroni e Franco Frattini. La crudeltà e la ferocia che il regime libico ha usato contro gli africani oggi la usa contro il suo stesso popolo. Si tratta di crimini contro l’umanità che meritano una condanna netta e non le parole balbettate di un governo quello italiano che ha venduto armi alla Libia e che è stato complice in tutto e per tutto di molte delle gesta criminali di Gheddaffi. Non dimentichiamo quante volte le navi libiche hanno sparato sui barconi carichi di migranti. Fino a poche ore fa Franco Frattini, il peggiore ministro degli esteri che la Repubblica iItaliana abbia mai avuto, auspicava una riconciliazione tra le parti. Di quali parti vada parlando non lo capiamo. Da una parte c’è un popolo stufo di 42 anni di violenze e sopprusi dall’altra una casta di privilegiati e impuniti che sostiene un feroce dittatore. Il servo sciocco, Emilio Fede, che conduce l’illegale TG4, illegale stando alle sentenze europee, è arrivato a dire: “Gheddaffi riuscirà a fermare i rivoltosi e a tenere in mano la situazione, ce la farà”. Le simpatie del viscido Emilio Fede per il colonnello libico, forse non sono dovute solo al fatto che i due hanno stili di vita simili ma piuttosto al fatto che l’economia italiana è legata a doppio filo con il tiranno di Tripoli. Tantissimi sono i trattati che i due paesi hanno firmato su petrolio, GAS, armi, immigrati e tanto altro ancora. Di fronte alle prese di distanze, tardive, degli altri paesei europei il governo italiano ha continuato a balbettare.
“Noi vogliamo sostenere il processo democratico – ha affermato il titolare della Farnesina – ma non dobbiamo dire ‘questo è il nostro modello europeo, prendetelo’. Non sarebbe rispettoso dell’indipendenza del popolo, della sua ownership”. Questa dichiarazione puzza di opportunismo e ipocrisia. Perchè tali preoccupazioni, il governo italiano, non le aveva quando partecipava alla guerre d’aggressione contro Afghanistan e Iraq. Allora si diceva in modo banale che: “si andava ad esportare la democrazia”. Oggi, infatti, Iraq e Afghanistan sono esempi di alta democrazia? Verrebbe da riderci sopra se non si ci fosse la tragedia di un’umanità violentata dalle logiche più perverse del potere politico, economico e militare. A fare dell’ironia, e forse non troppa, ci ha pensato un giornale “bolscevico” come il New York Times che ha scritto sulle sue pagine:”Andare con giovani marocchine è il contributo italiano alla Rivoluzione araba.” L’Italia paese con la testa in Europa e il sedere in Medio Orienta è stata totalmente incapace di comprendere cosa accadeva. Ancora una volta la classe dirigente italiana ha preso parte al sacco di risorse. Le masse arabe sanno bene quali sono le responsabilità dell’Europa e dell’Italia nelle vicende dei loro paesi. Cosi mentre in Egitto escono canzoni che prendono in giro il Rais italiano per le arci note vicende del “Bunga Bunga”, A Tripoli i manifestanti gridano: “A morte Gheddaffi a morte Berlusconi” e a Malta dove molti libici si sono rifugiati c’è stata una contestazione davanti all’ambasciata italiana. E’ evidente che tutti hanno ancora negli occhi le immagini di Berlusconi che bacia le mani a Gheddaffi.
Di fronte a questo genocidio solo i complici e i vigliacchi possono rimanere in silenzio. Esprimiamo totale solidarietà alle masse arabe in lotta. Il modo più concreto di aiutarle è fare come loro e cacciare Berlusconi, Frattini, Maroni e gli altri squallidi personaggi che ci governano. Mandiamoli tutti via costruendo una grande mobilitazione di massa.

Related Link: http://www.dada-tv.org

Di ritorno dall'Algeria - Intervista a Giuliana Sgrena



da GlobalProject
A Padova per un incontro, organizzato dall'AssoPace in collaborazione con il circolo del Manifesto, Giuliana Sgrena, giornalista del Manifesto, di ritorno dall'Algeria racconta cosa sta succedendo nei paesi arabi.

Prima di passare a tratteggiare i dati in comune delle rivolte che si stanno succedendo in tutta l'area del mediterraneo, Giuliana Sgrena si sofferma sull'attuale drammatica situazione in Libia.
"La tolleranza avuta nei confronti di Gheddafi è una responsabilità del governo italiano e dell'Europa, per questo è necessaria la più ampia mobilitazione contro la repressione di questi giorni.
Possiamo chiamare vere rivoluzioni quelle che hanno attraversato Egitto e Tunisia perchè si è trattato dell'avvio di un cambiamento radicale, di cui gli effetti sono in corso.
A partire dall'improvviso scoppio della rivolta in Tunisia è partito un effetto domino che sta continuando anche se in ogni realtà con aspetti particolari. Nessuno di questi paesi si salva, ovunque ci sono le condizioni per ribellarsi. E' come quando cadde il muro di Berlino, i cambiamenti saranno profondi e sono destinati a coinvolgere anche noi, le nostre frontiere.
Si tratta di movimenti spontanei in cui si intrecciano il ruolo di internet e dei social-network con esperienze più strutturate come ad esempio in Tunisia con il ruolo che ha avuto la base sindacale.
Si tratta di movimenti in cui la spontaneità si confronta con la ricerca di nuove forme associative, come nel caso del dibattitto molto duro ed ampio che sta attraversando ad esempio in Algeria il Coordinamento Nazionale per il Cambiamento e la Democrazia.
Si tratta di rivolte laiche ben diverse dal passato, che saldano rivendicazioni sociali e rivendicazioni politiche. C'è una forte denuncia della necessità della redistribuzione delle ricchezze accumulate e la rabbia per ceti politici e famiglie di potere che hanno accapparrato in maniera corrotto quanto prodotto nei vari stati.
Le risorse di questi paesi sono state sfruttate a vantaggio di pochi, gli accordi siglati con l'Europa per frenare le migrazioni sono serviti solo a garantire la sicurezza delle frontiere, le imprese che si sono installate in loco hanno delocalizzato la produzione per utilizzare mano d'opera a basso costo.
Di fronte all'attuale situazione c'è stata un'assenza totale dell'Europa e questa constatazione è percepita con evidenza. C'è anche una percezione positiva , forse anche illusoria, delle prese di posizione di Obama.
Abbiamo fatto guerre in nome dell'imposizione della democrazia ed ora non sosteniamo dei popoli in lotta per la democrazia: questo dimostra che l'Europa non esiste.
Di fronte ai legami che l'Italia ha con la Libia, con l'Algeria non possiamo essere silenziosi e complici."
Nel rispondere alle domande e agli interventi dal pubblico Giuliana Sgrega ha poi sottolineato come sia necessario mobilitarsi per garantire l'accoglienza e l'apertura delle frontiere per chi intende arrivare in Europa.
Ha poi puntualizzato come sia ovviamente impossibile tracciare con chiarezza totale gli scenari futuri nei singoli paesi, il ruolo che con le rispettive differenze ha giocato e può avere l'esercito, il percorso che si potrà costruire per dare vita a nuovi modelli sociali che non per forza devono rinchiudersi nella scelta di strade già indicate come, ad esempio, molti commentatori individuano nel cosidetto modello turco.
Rispondendo ad una domanda sull'insieme del continente africano, Giuliana Sgrena ha risposto che ancora non possiamo dire quanto quello che sta succedendo peserà sul resto dell'Africa, dove peraltro già stanno crescendo le proteste contro regimi autoritari e corrotti.
"Di certo l'onda che attraversa i paesi arabi si inserisce all'interno della dimensione della crisi globale ed in questo senso il rifiuto della precarietà sociale non solo economica ma della stessa vita, tratteggia anche la vicinanza con la nostra stessa condizione anche in Europa
La forte partecipazioni di giovani e di donne è un tratto comune di quanto sta avvenendo così come l'epoca che si apre ha sancito la fine del "nazionalismo arabo", così come si era strutturato in sistema di potere negli ultimi decenni.
C'è un futuro che si sta costruendo e che ha bisogno del nostro appoggio."
A cura dell'Associazione Ya Basta