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sabato 5 marzo 2011

Libia, il silenzio dell'Africa


Poche e imbarazzate dichiarazioni, nessun passo concreto. Nella crisi libica, si registra l'assenza di un continente

di Alberto Tundo da Peacereporter
Sarà anche un Paese arabo, inserito nelle dinamiche mediorientali ma, fino a prova contraria, la Libia si trova in Africa. E allora, mentre nel Mediterraneo soffiano venti di guerra e Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Cina riscrivono le loro agende, mettendovi in cima la crisi libica, viene spontaneo chiedersi dove sia finita l'Unione Africana. E la risposta è semplice: non pervenuta. Mentre nella parte settentrionale del continente soffiano venti di democrazia e regimi illiberali vengono contestati e rovesciati, la massima organizzazione politica continentale non c'è. Se si va sul suo sito internet, la pagina d'apertura, sotto la testatina "What's happening?", porta una serie di notizie sull'attività dell'Ua ma della Libia non c'é traccia. Bisogna allora aprire la sezione Peace&Security e, dopo la missione a Cotonou, il Djibouti Process per la crisi somala, il comunicato della 263esima riunione del Consiglio di Pace e Sicurezza e il rapporto dello stesso organo sulla sua missione in Sudan, si scopre che "l'Unione Africana esprime una forte preoccupazione per la situazione in Libia". E' un comunicato datato 23 febbraio. Due paragrafi, 10 righe in tutto, in cui l'organizzazione "condanna l'uso spoporzionato della forza contro i civili e deplora la perdita di vite umane", "sottolinea che solo il dialogo e il confronto consentiranno al popolo libico di trovare le giuste soluzioni" e "incoraggia tutti gli attori a favorire il dialogo". Tutto qui. Prima e dopo non c'è nulla.

Di "silenzio allarmante" ha parlato il primo marzo, ripreso dalla Cnn, un alto funzionario della Comissione economica per l'Africa delle Nazione Unite, Okey Onyekwe, ex responsabile della governance, che si è detto "sorpreso e imbarazzato per il fatto che l'Unione Africana e gli stati del continente siano rimasti piuttosto silenziosi di fronte alle vicende del Nord Africa e della Libia in particolare...Se l'Africa vuole diventare un attore globale ed essere presa sul serio dalle altre potenze, in questioni come questa dobbiamo far sentire la nostra voce". Ma per esprimere quale posizione? Il silenzio dell'Unione rispecchia (anche) la mancanza di una posizione comune. Il problema è anche questo. Più che critico, anzi durissimo, il presidente del Gambia, Yahya Jammeh, che ha condannato "il silenzio inaccettabile davanti alla repressione brutale dei manifestanti". "E' una realtà scioccante che davanti a quanto accaduto in Tunisia, Egitto e ora in Libia, la leadership dell'Unione Africana non abbia fatto dichiarazioni e ne abbia preso provvedimenti, nonostante queste sollevazioni abbiano una pesante ricaduta su alcuni Paesi membri", ha detto il leader gambiano in un discorso trasmesso dalla tv di stato. E' un dato di fatto incontrovertibile che, fatta eccezione per un congelamento delle relazioni diplomatiche con la Libia paventato dal Botswana - il cui peso geopolitico è quasi nullo - l'Africa nella crisi libica ci è entrata dalla porta sbagliata, quella dei mercenari, e forse addirittura delle truppe regolari, affluite da Ciad, Niger, Kenya e Zimbabwe per aiutare Gheddafi a soffocare nel sangue la rivolta.

Resta l'interrogativo del perché di questa assenza in un momento in cui l'Africa cerca un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale. Le ipotesi sono diverse. Innanzitutto, per quanto siano stati forti i progressi in tema di democrazia e rispetto dei diritti umani, molti leader restano molto più vicini al modello di Gheddafi che a quello delle democrazie occidentali che lo vorrebbero fuori dai giochi. C'è una giunta in Guinea, un presidente golpista in Costa d'Avorio, e regimi illiberali in Ruanda, Uganda e Zimbabwe, giusto per fare qualche esempio. E' vero, poi, che Gheddafi ha comprato fedeltà politiche pagandole a peso d'oro, soprattutto negli anni del suo ultimo travestimento da nume del panafricanismo. In realtà, molti Paesi africani si sono mostrati molto meno sensibili di fronte alle lusinghe del denaro libico di tanti stati, e soprattuto molto più consapevoli della sua inaffidabilità politica. Lo dimostra la fine burrascosa della presidenza di Gheddafi dell'Unione Africana nel gennaio 2010, conclusione di una relazione tribolata, quella tra il Colonnello e l'Africa, che meriterebbe una trattazione a parte. Molto più semplicemente, l'Unione Africana è un'organizzazione troppo giovane (è stata fondata nel 2002, ndr) e poco rodata che si trova ad essere affiancata da organizzazioni regionali come Ecowas (Africa occidentale), Igad (Africa orientale) e Sadc (Africa meridionale) che spesso hanno meccanismi più oliati e seguono obiettivi strategici sui quali c'è un consenso maggiore. Nelle crisi ivoriana e somala, si sono registrate forti discrepanze tra le strategie regionali, di Ecowas e Igad, e quella continentale rappresentata dall'Unione Africana. Per questo, la proposta della Lega Araba di imporre una no fly zone sulla Libia e di affidarne il monitoraggio all'Ua, suona come uno sfregio per un'organizzazione che nelle ultime settimane ha fatto finta di non esserci. L'Unione Africana è già impantanata in Costa d'Avorio e Somalia. Difficile che possa gestire la crisi libica.

Legalità e giustizia : Il caso Napoli


Questura, magistratura e media contro le lotte sociali ed ambientali

di Antonio Musella
Quello che sta avvenendo a Napoli da circa due anni a questa parte in materia di repressione delle lotte sociale, rappresenta senza dubbio un laboratorio di sperimentazione di contrasto del conflitto sociale per gli apparati polizieschi e giudiziari.
La storia di questa spirale non ha una genesi definiti ma diversi fattori hanno contribuito ad una stretta repressiva progressiva rispetto alle lotte sociale che è coincisa con l’acuirsi delle politiche di austerità e dei tagli e di aggressione al territorio.
Le vicende legate alle lotte ambientali da Chiaiano in poi hanno senza dubbio segnato una strategia diversa delle forze dell’ordine che non si sono più solo limitate alla repressione nelle piazza ma a diverse operazioni di polizia giudiziaria. Contando sull’appoggio di un pool di magistrati tutti vicini a magistratura democratica, si è esercitato il tentativo di detronizzare l’attivismo sociale che aveva gia’ travalicato i confini delle realtà di movimento organizzate per invadere le comunità territoriali, aggiungendo agli arresti, le denuncie, gli obblighi di firma, anche un’opera dei diffamazione delle lotte sociali stesse.Si è sostenuta l’idea che le lotte ambientali in Campania fossero mosse ad arte dalla camorra. In questo modo non si è provato solo a bloccare la riproducibilità di azioni di disobbedienza sociale diffusa, ma al tempo stesso si è provato ad infamare per rompere il consenso ed il radicamento che le lotte ambientali si erano costruite sui territori.
Nessuna delle innumerevoli inchieste giudiziarie da Chiaiano e Terzigno ha portato alla dimostrazione di un ruolo attivo della criminalità nelle lotte. Eppure la funzione dei media di amplificare la diffamazione delle lotte in alcuni territori ha pesato molto. In ogni caso l’esempio dell’inchiesta condotta dal Pm Narducci ad esempio in merito a diversi episodi riguardanti le lotte di Chiaiano, che condusse nel marzo scorso all’arresto di un attivista ed all’obbligo di firma per altri 4 è esemplare per raccontarci come ha funzionato l’opera di diffamazione. Narducci ripercorre diversi mesi di lotta in una carteggio che raggiunge addirittura le 400 pagine. Un vero e proprio libro. Dopo aver costruito ipotesi di organigrammi che legherebbero i centri sociali alle lotte di Chiaiano ci si sofferma sull’individuazione di alcune targhe di motoveicoli i cui proprietari risulterebbero legato a famiglie camorristiche. Dopo queste lunghe pagine di curriculum criminali viene scritto a chiare lettere che nessuno degli individui identificati ha partecipato mai a nessun tipo di azione di lotta né tantomeno si può sostenere l’esistenza di un legame tra la criminalità organizzata e l’area dell’antagonismo sociale. La domanda nasce spontanea. Che hai scritto a fare decine di pagine ? Semplice per mandarle in pasto ai giornalisti e alimentare l’opera delatoria e diffamatrice.
Ad un anno di distanza, dopo che molti capi di accusa di quell’inchiesta del pm Narducci – lo stesso di Calciopoli – sono cadute nei confronti degli attivisti, gli stessi sono ancora sottoposti all’obbligo di firma.
Ma se la diffamazione delle lotte sociale è stata un’operazione fallita rispetto alle lotte ambientali, questo non si può dire per le lotte del mondo del non lavoro.
Il processo di acuirsi della repressione giudiziaria e dell’opera diffamatoria delle lotte sociale si è innescato sulle lotte ambientali quando l’azione governativa è divenuta sempre più di hard governance distruggendo ogni spazio di dialettica politica. Il cambio di gestione della Regione Campania, i tagli a tutte le misure di wlefare esistenti dal reddito di cittadinanza fino al progetto di inserimento socio lavorativo Bros per i disoccupati di lunga durata ha fatto scattare nei confronti dei disoccupati organizzati la stessa procedura.
L’intensificarsi delle pratiche radicali di lotta dei disoccupati organizzati a portato all’avvio di una spirale repressiva senza precedenti che ha unito violenza di piazza della polizia, operazioni giudiziarie con la costituzione di un vero e proprio pool di magistrati che indaga sui movimenti dei disoccupati organizzati, e un meccanismo di intimidazione e controllo degli apparati polizieschi che pensavamo da armamentario degli anni settanta. Perquisizioni notturne, fermi, pestaggi sono divenuti il pane quotidiano insieme ad una funzione svolta dalla nuova amministrazione regionale a guida Pdl che ha costruito una vulgata che vede i disoccupati come l’incarnazione degli sprechi della precedente amministrazione, il male assoluto della città di Napoli.
In questo clima, e sfruttando dei limiti oggettivi degli strumenti di comunicazione di quel tipo di movimenti, si è costruito un clima medioevale intorno ai movimenti dei disoccupati organizzati.
A questo si aggiunge anche un ruolo tutto nuovo giocato direttamente dalla Questura. La gestione dell’ex questore di Napoli Santi Giuffrè, ora promosso al Viminale dal 1 marzo, è stata lo specchio di un’operazione complessiva di attacco alla lotte sociali ed ambientali.
Dal 2009 fino al 2011 questo tipo di operazione repressiva che come abbiamo visto trova nella politica regionale, nella magistratura e negli apparati di polizia i registi principali, si è provato a distruggere le lotte sociali a Napoli.
Santi Giuffrè nei primi mesi del 2011 è praticamente sceso direttamente in politica rilasciando interviste al Corriere ed a La Repubblica dove elogiava in maniera diretta i tagli alle politiche per il welfare della Regione Campania e le politiche di austerità varate da Tremonti. Dichiarazioni assolutamente fuori luogo per un questore di una città dove le lotte sociali non sono certo il primo problema criminale.
All’interno stesso della Questura di Napoli e dell’ufficio Digos si è verificata una situazione di anomalia con la presenza di personale che dai commissariati territoriali è stato trasferito all’ufficio politico con ruolo di “consulente speciale” per così dire. Insomma anche gli stessi apparati repressivi si sono dovuti adeguare ad una stagione da santa inquisizione.
Le vicende legate alla repressione contro i disoccupati si evidenziano bene, oltre che nel quadro complessivo dell’azione repressiva, da due operazioni.
La prima riguarda l’arresto di alcuni disoccupati che nel mese di ottobre del 2010 avevano occupato gli uffici della commissione affari sociali della Regione Campania. Per sgomberare i locali, la polizia chiede prima il supporto dei vigili del fuoco, poi come denunciano attraverso i loro comunicati i movimenti dei disoccupati bastonano violentemente e senza alcun motivo valido tutti gli occupanti. Finiranno tutti in galera. Dopo alcune settimane una parte di loro sarà trasferita ai domiciliari, mentre altri, dall’ottobre del 2010 sono ancora oggi ospiti dello Stato presso il carcere di Poggioreale.
Ad alcuni di loro addirittura sono state notificate in carcere anche l’attuazione di pene sospese precedenti.
Vittima di quella mattanza ad esempio è stato Gennaro Iovine, uno dei delegati dei movimenti dei disoccupati, che ha riportato seri danni alla spina dorsale ed oggi è sottoposto a delicate quanto costosissime terapie rischiando di perdere la capacità di deambulazione.
Gli altri tra carcere e domiciliari e senza quel sussidio di 500 euro al mese ormai sospeso dalla Regione Campania da mesi.
L’ultima vicenda, ma solo in ordine cronologico, riguarda Gino Monteleone, uno dei principali portavoce dei movimenti dei disoccupati napoletani. L’ormai ex questore Santi Giuffrè attraverso una dettagliatissima relazione in merito a fatti, azioni di lotta, episodi dal 2000 ad 2010 ha chiesto il Questore di Napoli ha chiesto alla Sezione per le Misure Speciali del Tribunale di Napoli, la sorveglianza speciale per tre anni.
La sorveglianza speciale è stata utilizzata in passato per gli antifascisti durante il ventennio, per i grandissimi boss italo americani degli anni ’50 come Lucky Luciano ad esempio, e per diversi compagni vittime delle misure repressive degli anni settanta. Il “sorvegliato speciale” non può partecipare a riunioni pubbliche, manifestazioni, non può frequentare altri pregiudicati e con carichi pendenti, deve comunicare tutti i suoi spostamenti e può andare fuori comune solo comunicando alla questura di destinazione la sua permanenza, può essere sottoposto all’obbligo di firma anche più volte al giorno, non può avere apparecchi di comunicazione come internet ed il telefono cellulare. E tante altre misure ancora.
L’udienza programmata a febbraio è stata rinviata al 22 marzo. Gino Monteleone rischia seriamente la sorveglianza speciale, uno scenario che aprirebbe le porte per un ulteriore diffusione di misure di restrizione delle libertà per gli attivisti sociali. Tra lo sconcerto della maggior parte dei legali vicini al movimento napoletano, dagli studi Senese e Ciruzzi, agli avvocati D’Alessandro e Fusco, sembra che nella città di Napoli non si ricordi una misura di questo tipo.
Intanto, mentre Gino Monteleone rischia la sorveglianza speciale, Gennaro Iovine rischia di non camminare più, Egidio Giordano firma da 2009 fino ad oggi senza discontinuità, vengono dispensate nuove denunce, distribuiti avvisi orali ed articolo 1 ovvero avviso di pericolosità sociale, nei processi in corso addirittura si cambiano i capi d’imputazione. E’ il caso di un processo a 5 attivisti per un tentativo di occupazione della Centrale a Turbogas della Tirreno Power nel quartiere di San Giovanni a Teduccio avvenuto nel 2007. Dopo circa due anni e mezzo di udienze il giudice rimanda al pm il carteggio chiedendo la riformulazione del reato, da resistenza a pubblico ufficiale a resistenza aggravata e continuata. In pratica improvvisamente il giudice e come se avesse gia’ scritto il verdetto e soprattutto ritenesse troppo poco il massimo della pena tanto da dover chiedere di adattare il reato.
Cosa significa parlare di legalità a Napoli e nel paese oggi ? Luigi De Magistris qualche giorno fa sul Corriere della Sera invitava a parlare di diritti piuttosto che di legalità ed aprire una stagione di disobbedienza.
Mi pare un invito opportuno davanti ad una idea della legalità che vede personaggi come il prefetto Catenacci e l’ex vice di Bertolaso, Marta De Gennaro sversare in mare percolato ed essere liberi dopo due giorni di fermo. Una legalità che permette a Dario Cigliano sotto inchiesta per gli affari sui rifiuti di Enerambiente di essere conigliere provinciale e comunale , una legalità che vede Luigi Cesaro su cui pende un mandato di arresto fare il Presidente della Provincia, oppure l’amico dei camorristi Nicola Cosentino essere il deus ex machina della politica regionale.
Cos’e’ legalità? E cos’e’ giustizia sociale ? E’ giustizia sociale quella che vede il taglio del 80% della spesa per l’assistenza sociale in Campania ? Quella che vede la costruzione di nuove discariche ed inceneritori nonostante le lotte di questi anni abbiano dimostrato i danni irreparabili a cui condicono ? E’ giustizia quella che abbandona 4.000 disoccupati di lunga durata a se stessi dopo anni di percorsi di sostegno al reddito ? E’ giustizia quella che taglia il reddito di cittadinanza in una regione con 140 mila famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà?
Piuttosto che parlare solo di lotta alla repressione, oggi dovremmo essere in grado di articolare questo tipo di ragionamento, comprendendo che la vecchia idea legalitaria tanto cara ai Luciano Violante di turno è ormai stata demolita dalla società del presente e che solo una nuova idea di giustizia sociale può rendere l’idea di una costruzione di alternativa vera.
Dal 1 marzo a Napoli c’e’ un nuovo questore, è Luigi Merolla, ex capo della Digos di Napoli negli anni novanta, ex questore di Bologna. Dipenderà sicuramente anche da lui se questa incredibile spirale repressiva continui a seguire il suo corso oppure possa stopparsi in tempo.
Intanto il 22 marzo ci sara’ l’udienza per la sorveglianza speciale a Gino Monteleone, per fermare questa assurda spirale repressiva dobbiamo cominciare a fermare questo assurdo provvedimento. Il prossimo 11 aprile invece ci sarà l’udienza del riesame per valutare la posizione dei disoccupati ancora in carcere da ottobre.
E’ giunto finalmente il momento di far conoscere fuori da Napoli ciò che avviene in questi mesi, per mettere in moto una campagna di solidarietà per la giustizia sociale ed ambientale e contro le misure restrittive ai movimenti dei disoccupati e dei comitati ambientali, a cominciare da una campagna contro la sorveglianza speciale a Gino Monteleone.

da GlobalProject

Democrazia: palestra di parole, bottega degli affari.

Con gli insorti, sempre!

Molto probabilmente, in mancanza di una vera prospettiva internazionalista, anche movimenti di milioni di esseri umani, anche le liberazioni dai satrapi vampiri del Maghreb, saranno utilizzate per transizioni o stabilizzazioni confacenti all’imperialismo europeo ed americano.
I sommovimenti popolari, figli del nuovo equilibrio pluripolare, stanno costringendo l’u.e. a riconsiderare l’opzione strategica mediterranea, a fronte della relativa perdita di peso americano nell’area.
I padroni europei si “interessano” delle rivolte a loro modo, costretti dalla dipendenza economico-energetica a difendere “diritto” e profitti a pie’ pari. Sono gli stessi colonialisti di sempre, sfruttatori della riserva di manodopera a basso costo che contribuisce a mantenere il parassitismo sociale ed a contrastare il declino demografico europeo.
Sono gli stessi che spremono quei lavoratori nei periodi di prosperita’ industriale per poi rimandarli a casa, o rinchiuderli nei c.i.e. nei periodi di crisi, come l’attuale.
I padroni europei, impauriti dalla possibile instaurazione di nuovi stati teocratici ai loro confini, offrono la loro sponda democratica come prospettiva alle rivolte del pane e della vita migliore.
E cosi’, le rivoluzioni al di la’ del mare saranno costrette a scegliere tra la padella fondamentalista e la brace democratica.

ovunque nel mondo l’altalena di tutti i poteri
PALESTRA DI PAROLE
BOTTEGA DEGLI AFFARI





L’impetuoso sviluppo capitalistico, nell’alternarsi ciclico tra crisi e ripresa, sta creando nel mondo, diffondendola, contaminandola e concentrandola nelle metropoli, una classe mondiale, salariata, che non ha interessi nazionali ma che non ha nemmeno coscienza, tantomeno organizzazione.
E’ una classe giovane, ma ignota a se stessa, che sta crescendo cambiando il volto del mondo.
E’ una classe che comincia a reclamare ovunque una vita degna di essere vissuta, nell’officina del mondo cinese cosi’ come nelle aree periferiche del mediterraneo.
E’ questa la lezione che l’opportunismo nostrano non vuole o non riesce ad imparare, scambiando anche di fronte alla sanguinosa evidenza feroci dittatori con campioni dell’”antimperiasmo”, continuando nella solita, vecchia abitudine, di scambiar lucciole per lanterne.
I giornaletti della sinistra defunta sono li ad interrogarsi sul perche’ le “rivoluzioni falliscono” o sul perche’ milioni di persone seguono “leader sbagliati”.
Miseria del soggettivismo!
Non sara’ che certe “rivoluzioni” rivoluzioni non lo sono mai state se non nella testolina di chi comunque ha bisogno di un qualche stato guida, passando agevolmente dall’orso sovietico al cavaliere mascherato zapatista, dal colonnello antimperialista al nuovo faro del socialismo in America Latina?
E non sara’ che le “masse” seguono non astratte idee ma quello che c’e’, materialmente, quello che il convento del loro sviluppo storico-materiale passa, essendone strumentalizzate prima, ed oppresse dopo?
E non sara’ che la piccola borghesia intellettuale europea ( ed italiana! ), nel suo “antimperialismo” a senso unico ( ad ex uso filosovietico ), si e’ sempre schierata a fianco di tutte le borghesie purche’ truccate da antiamericane?
E’ un dibattito stantio, che ha gia’ ricevuto storiche risposte, e che trova negli avvenimenti odierni l’ennesima lezione.
Per quanto ci riguarda, noi eravamo con gli operai di Budapest nel ’56 e con quelli di Danzica e Stettino nell’’80 contro i carri sovietici, con i giovani di Tienamen nell’89 contro i falsi comunisti cinesi, con i ceceni nel 2002 affogati nel loro sangue di serie b, con i palestinesi massacrati da americani, Israele, a.n.p. ed hamas.
Ed oggi siamo con i giovani ribelli del nord Africa, che nella loro generosa potenza, ci ricordano che la rivoluzione e’ veramente possibile, anche e soprattutto nella metropoli, nel cuore dell’impero capitalista.
I governanti possono essere messi in fuga, le cose possono cambiare, non con le alchimie elettorali, ma con milioni di persone, donne e uomini, nelle piazze.

Noi, coscienti della mancanza di una organizzazione comunista in Europa che sola potrebbe offrire un riferimento di classe a queste rivolte, manifestiamo la nostra solidarieta’ ai giovani combattenti rinnovando il nostro impegno in quella direzione, individuando nei padroni italiani i nostri primi nemici e nella lotta contro di loro il nostro concreto internazionalismo.

C O M B A T

da Indymedia