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lunedì 14 marzo 2011

Terremoto di Miyagi: è il capitalismo che aggrava gli effetti della catastrofe naturale!


Alle 14.46 di venerdì 10 marzo (ore 6.46 di sabato 11 in Italia), nell’Oceano Pacifico a 130 km a nord-est della città di Sendai, al largo dell’isola di Honshu, a poco più di 24 km di profondità, la terrà si spacca. I rilevatori più vicini, saltano. La scossa più violenta dura quasi 2 minuti, ed è fortissima: 8.9 gradi della scala Richter, il che ha per conseguenza, nel territorio colpito, lo sconvolgimento per sempre nel raggio di centinaia di chilometri. Ma la terra continua a tremare con magnitudo tra i 4 e i 7 gradi Richter, mentre i sismologi preannunciano che potrebbe verificarsi ancora qualche scossa superiore agli 8 gradi della scala Richter.

Le scosse più violente sono sempre annunciate da scosse che le precedono, come ricordano ancora oggi gli abitanti dell’Aquila che nei giorni precedenti avevano inutilmente allarmato le istituzioni e la Protezione Civile. Nei tre giorni precedenti il fatico venerdì 10 marzo, si erano già verificati dei terremoti tra i 3 e i 4 gradi Richter: ma sembrava una cosa “normale” visto che non passa giorno che in Giappone non vi siano delle scosse…
La scossa delle 14.46 di venerdì scorso è stata invece particolarmente devastante: la diga di Fujinuma si spezza in due e l’acqua che si riversa a valle e cancella del tutto la città di Sukagawa; quattro treni con centinaia di passeggeri scompaiono nel fango e solo oggi si viene a sapere che i passeggeri sembra si siano fortunosamente salvati, come i passeggeri di una nave anch’essa sparita venerdì. Le vittime in un primo momento sembrano qualche decina, poi qualche centinaio, e già sabato mattina si parlava di circa 2.000. Ma, oltre al terremoto, i pericoli arrivano dallo tsunami. Mentre scriviamo giunge notizia che i morti dovuti al terremoto e, soprattutto, allo tsunami successivo, sono già 10.000 e molti altri possono aggiungersi; decine di migliaia gli sfollati, interi paesi e villaggi rasi al suolo dalla furia dello tsunami; nella sola città costiera di Minamisanriku risultano disperse 10 mila persone; Sendai è quasi completamente distrutta. Un terremoto di questa potenza ha fatto tremare anche la capitale Tokyo, con i suoi grattacieli e i suoi palazzi a prova di sisma, sì, ma solo fino al 6° grado della scala Richter: la scienza borghese si ferma qui, per terremoti di potenza superiore… ci pensi iddio!

Che il Giappone sia l’isola dei terremoti, la più sismica che esista, ormai lo sanno anche i sassi. Il Giappone si trova nell’intersezione di quattro grandi placche tettoniche: la placca del Pacifico, la placca delle Filippine, la placca eurasiatica, la placca nordamericana. Ma non basta, il Giappone è collocato sopra la così detta cintura di fuoco del Pacifico che è una enorme ferita nella crosta terrestre lunga 40 mila chilometri da cui fuoriesce costantemente materiale magmatico che va a rigenerare la stessa crosta terrestre: questa ferita va dalla Nuova Zelanda alle Filippine, attraversa tutto il Giappone, raggiunge la Corea e si dirige verso l’Alaska da cui ridiscende lungo la costa americana verso la California fino al Cile. Lungo questa interminabile ferita, secondo gli studi dei sismologi e dei vulcanologi, si produce il 90% dei terremoti del pianeta e, naturalmente, delle eruzioni vulcaniche tra le più catastrofiche. Che i terremoti provochino, inoltre, anche dei maremoti, è cosa altrettanto risaputa; il termine stesso tsunami, che è giapponese, la dice lunga sulla “normalità” storica dei terremoti e dei maremoti nell’isola del Sol Levante dove si concentra non solo per numero ma anche per potenza di magnitudo una notevole quantità di sismi che vanno dai 4 agli oltre 6 gradi della scala Richter.

Il Giappone è anche il paese che si è dotato di molte centrali nucleari dalle quali ottiene il 30% del fabbisogno energetico, e in un paese ad altissima sismicità come questo basta una piccola crepa nelle vasche di contenimento dei reattori per provocare disastri incontrollabili, alla Chernobyl. Il terremoto ha infatti colpito duramente la centrale nucleare di Fukushima, situata nel vicino distretto di Futaba, provocando un’esplosione a causa della quale è già stato rilasciato del materiale radioattivo nelle immediate vicinanze tanto da indurre il governo ad evacuare rapidamente più di 100mila abitanti della zona dove sono collocate altre 11 centrali che sono state chiuse dai dispositivi automatici di sicurezza. Che questi dispositivi siano, poi, di effettiva sicurezza, nemmeno le autorità preposte sono in grado di garantirlo, anche perché una volta fermato il reattore nucleare il problema non è per nulla risolto poiché bisogna raffreddarlo: qui non ci sono computer e robot che tengano, non è un problema di tecnologia superavanzata, perché è un problema di tubi e di pompe, insomma di “vecchia” tecnologia. E quando manca l’elettricità, perché il terremoto manda all’aria le centrali che producono e distribuiscono la corrente elettrica, non si può pompare acqua fredda per abbassare la temperatura dei reattori; quindi, come si raffreddano i reattori impedendo loro di rilasciare materiale radioattivo nel terreno e nell’aria? Con il secchiello? L’homo capitalisticus, come un apprendista stregone, ha evocato energie potenti dall’atomo ma non sa controllarle.

La scienza borghese conosce da tempo la situazione, avendo studiato migliaia di questi fenomeni; ma solo molto recentemente, dopo molti terremoti e molte migliaia di vittime, e soprattutto dopo lo spaventoso terremoto di Kobe del 1995 (1), il governo giapponese si è preso la briga di obbligare per le nuove costruzioni (per le vecchie, ormai…) di edifici, e dei grattacieli innanzitutto, l’uso di sistemi antisismici come ad esempio tenere basso il baricentro dei palazzi, usare materiali più leggeri per i palazzi più alti e i grattacieli, non adornare i palazzi con sporgenze o cornicioni, concentrare nei pilastri verticali l’armatura di cemento, dotare la base degli edifici di cilindri di gomma rinforzati da molle d’acciaio, riutilizzare travi di legno che sono più elastiche e deformabili assorbendo perciò meglio le scosse sismiche, e via dicendo. E per le centrali nucleari ha pensato bene di dotarle di contenitori d’acciaio e doppi contenitori di cemento. Ma queste “soluzioni” sono state adottate per resistere a quali scosse? La centrale di Fukushima è stata costruita alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso prevedendo di resistere a scosse fino a 6 gradi della scala Richter; è una delle 25 centrali nucleari più grandi del mondo ancora in funzione, a 6 reattori di cui, a rotazione, tre sono in attività e tre in manutenzione. Come è ormai palese, a parte incidenti di diverso tipo nello stesso impianto, o un repentino abbassamento della portata d’acqua – fondamentale per raffreddare il reattore e quindi controllarne la temperatura – basta un sisma più forte di quanto “previsto” dalla General Electric che l’ha costruita (e in Giappone non è certo raro) e l’incidente è sicuro, con tutte le sue conseguenze di contaminazione. Il governo, dopo aver dichiarato che le fuoriuscite di materiale radioattivo erano limitate, ha dichiarato l’emergenza nucleare, a dimostrazione che le conseguenze dell’esplosione interna alla centrale erano in ogni caso gravi.

La propaganda borghese ammette da sempre che le forze della natura sono potenti e imprevedibili, ma sostiene che la sua scienza, sfidando le forze della natura, è riuscita finora a impossessarsi di molti misteri che prima della sua civiltà mantenevano la società umana nell’oscurantismo, nell’ignoranza, nella paura, nella superstizione. La propaganda borghese poggia su un tessuto economico che, da un lato, ha consentito all’uomo di progredire tecnicamente nella produzione di tutto ciò che serve per vivere, di dare risposte scientifiche e non superstiziose ad una considerevole quantità di fenomeni naturali e di migliorare la conoscenza, ma, dall’altro, ha inevitabilmente condotto la società a dipendere dalla produzione mercantile e dai rapporti di scambio mercantili che permeano l’intera società, riconducendola alle vecchie paure e alle vecchie superstizioni con l’aggravante di imporre un’ulteriore superstizione, più insidiosa e abbrutente di quelle del passato medioevale: il profitto capitalistico, nuovo dio assoluto da cui dipende vita e morte sull’intero pianeta.

E’ in ragione del profitto capitalistico, difeso strenuamente dalla classe dominante borghese e in nome del quale si deturpa l’ambiente, lo si inquina e contamina nel modo più cinico, si impiegano le maggiori energie umane per la sua produzione e riproduzione al fine di ingigantirne l’appropriazione da parte di una infima minoranza di capitalisti che dettano vita e morte di intere popolazioni con la più vasta dissolutezza; è in nome del profitto capitalistico che i governi, le autorità costituite, i grandi poteri economici e politici, le reti di interessi finanziari mondiali, persistono nella cieca politica del tornaconto capitalistico per cui si risparmia nella prevenzione – contribuendo così all’aumento vertiginoso di vittime e di cose non solo causate dall’attività sconsiderata della produzione e della distribuzione capitalistica, ma anche dai fenomeni naturali –, e si spreca in quantità mastodontiche nell’iperfollia produttiva. I commenti, riportati dai media sull’atteggiamento della popolazione giapponese di fronte a questa catastrofe, hanno voluto mettere in risalto la “dignità e la compattezza” di un popolo che, di fronte ad una tragedia simile, assorbe il colpo, tumula i propri morti e si predispone a “rimettersi al lavoro”: chi, i pochi, dalla parte dell’imprenditoria e del brigantaggio commerciale e finanziario, chi, i molti, dalla parte dei lavoratori salariati pronti da sfruttare ancor più di prima visto che bisognerà ricostruire e rimettere in piedi un’economia (che è e rimane capitalistica) che il terremoto ha in parte arrestato e che deve riguadagnare livelli accettabili di profitto in tempi brevi!

Il Giappone è il paese più evoluto e più sofisticato nelle tecniche antisismiche e nella protezione civile; è un dato riconosciuto da tutti i grandi paesi. Ma questo non è bastato per evitare la tragedia che sta davanti agli occhi di tutto il mondo. Le scosse, giunte a Tokyo, hanno provocato crolli e incendi ed hanno piegato la Tokyo Tower, l’antenna autoreggente d’acciaio alta 332 metri che è il simbolo della capitale e della ricostruzione postbellica. E’ significativo che gli abitanti di Tokyo, alle scosse più intense, siano fuggiti dai grattacieli e dai palazzi riversandosi nelle piazze e nei parchi di fronte al palazzo imperiale perché è l’unica (l’unica!) zona di Tokyo dove è proibito costruire grattacieli! Il vecchio telefono a gettoni, la vecchia bicicletta, sono tornati in auge visto che il black-out aveva mandato in tilt i cellulari e gli immani ingorghi avevano bloccato auto, treni e metro. Tutto ciò che di più “avanzato” il Giappone ha costruito, da venerdì 10 marzo è collassato; come nel caso delle centrali nucleari, prima fra tutte la Fukushima, che hanno avuto bisogno del liquido refrigerante portato dall’aviazione americana.

Miyagi oki, la grande scossa: oggi ancora, la grande scossa sarà un’occasione per il capitale, nella necessaria ricostruzione, di rinnovare i suoi cicli di produzione e riproduzione, rinnovando il suo dominio sulla società e sull’uomo cercando di riprendersi una specie di rivincita sulla crisi economica che ancora attanaglia il Giappone, generata dal capitale stesso nella sua corsa inesorabile alla sovrapproduzione e nell’inevitabile lotta di concorrenza mondiale. La grande scossa che attendiamo noi riguarda il terremoto sociale, la lotta della classe del proletariato contro la classe borghese non solo per condizioni di vita e di lavoro migliori, ma per una società del tutto diversa, che non sia più dipendente dal mercato, dal profitto capitalistico, dalle leggi della concorrenza fra capitali e fra Stati, per una società in cui tutte le energie e le capacità dell’uomo siano indirizzate a soddisfare i bisogni della vita sociale e non i bisogni del mercato. Ma il terremoto sociale può avvenire solo quando le masse proletarie si ribellano, e si organizzano per lottare contro le condizioni attuali di vita e di sopravvivenza dominate dall’imprevisto, dall’incertezza, da un falso progresso tecnologico inseguito esclusivamente allo scopo di produrre e accumulare profitto capitalistico sulle spalle del lavoro salariato e sfruttando masse sempre più vaste di proletari costretti a vivere e a morire da schiavi. Il futuro non sta nei grattacieli più alto del mondo come non sta nella vita digitale dei nuovi apparati elettronici: sta nella lotta di classe rivoluzionaria, guidata dal partito comunista rivoluzionario, che il proletariato muove contro tutto ciò che simboleggia la società del lusso, dell’opulenza, dello spreco, dell’inutile, del dannoso, e per distruggere non solo i simboli ma le cause profonde di una vita sociale di miliardi di uomini appesi all’incerto andamento di un mercato capitalistico che, come uno tsunami, può distruggere dalla sera alla mattina la vita non solo futura, ma presente, di moltitudini ammassate in osceni alveari incastonati in città invivibili.



(1) Il terremoto di Kobe, primo porto giapponese e quarto porto mondiale, è avvenuto il 17 gennaio 1995 facendo più di 6.000 morti, oltre 300.000 senza casa e distruggendo case d’abitazione ed edifici a migliaia, ferrovia, strade, le installazioni portuali, cantieri navali, terminal ecc. (vedi il nostro articolo: Il sisma di Kobe, ovvero una catastrofe naturale aggravata dal capitalismo, il comunista n. 45 del 1995). Ma, per la quantità di morti, il terremoto più devastante è stato quello del settembre 1923, noto come terremoto del Kantò, che fece tra i 100mila e i 140mila morti, dovuti in particolare agli incendi che si svilupparono con estrema rapidità anche perché la scossa più violenta, di gradi 7,9 della scala Richter, avvenne all’ora di pranzo quando tutti avevano i fuochi accesi per cucinare.

13 marzo 2011
www.pcint.org PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (il comunista)

da Indymedia