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lunedì 21 marzo 2011

PIERPAOLO PASOLINI





Libia: ogni luogo di guerra è uno spazio sottratto alla libertà

Quel che sta avvenendo in queste ore in Libia ci pone di fronte a una contraddizione drammatica che sembra lasciarci, semplicemente, senza parole. Nei media ufficiali e nel dibattito politico, infatti, sono due le uniche prospettive che si scontrano: l’intervento militare internazionale o la vittoria di Gheddafi. Prospettive, entrambe, inconciliabili con l’idea di mondo che abbiamo costruito in questi anni.

Da una parte, infatti, sono inaccettabili la guerra e l’interventismo militare dei paesi europei e degli Stati Uniti, con il suo portato di bombe e distruzione sul suolo libico; così come è impensabile l’idea che qualunque mezzo sia lecito pur di raggiungere un fine umanitario. E, del resto, è evidente che di umanitario nei missili cruise e nelle bombe ad alto potenziale ci sia ben poco: non solo per la scia di morte che questi strumenti lasciano dietro di se, ma soprattutto per gli obiettivi politici che si nascondono dietro questi mezzi di distruzione. Non serve essere studiosi di geopolitica o storici, infatti, per ricordare che, fino a un mese fa, Gheddafi era un solido alleato di chi oggi lo bombarda.Quest’ultima affermazione ci evidenzia anche la diversità di questa guerra rispetto a quelle contro le quali ci siamo mobilitati negli anni passati: siamo di fronte a un intervento non pianificato, ma nato sulla scia di avvenimenti sociali e politici che hanno attraversato tutto il nord Africa e il Medio Oriente, dalla Tunisia all’Egitto passando per lo Yemen e fino alla Libia.

D’altra parte, però, la domanda su come si ferma la follia del dittatore libico resta drammaticamente senza risposta e le poche notizie provenienti da Bengasi raccontano di una popolazione civile messa sotto assedio, con i carriarmati che sparano indiscriminatamente contro abitazioni e civili.

In realtà, la risposta sta nelle mobilitazioni che abbiamo attraversato in questi anni. Perché è evidente che un’area militare è un territorio sottratto alla libertà, qualunque sia la bandiera che sventola sulla cima del pennone; e che mobilitarsi per un territorio senza basi militari significa battersi per un mondo senza guerre. Così come, opporsi al nucleare per promuovere le energie alternative significa rompere il meccanismo economico che gravita intorno alle fonti di approvvigionamento energetico, ma soprattutto parlare di un mondo diverso da quello rappresentato da Fukushima e dal disastro nucleare.

Per chi da anni si batte contro la militarizzazione del territorio e le sue conseguenze nel mondo, la dicotomia che ci viene proposta in queste ore rappresenta una gabbia da spezzare. E’ inaccettabile pensare ai bombardamenti come uno strumento legittimo, così come è impensabile guardare a quanto sta avvenendo in Libia senza proporre alcuna forma di sostegno alle donne e agli uomini, ai tanti giovani che cercano libertà. A partire dall’accoglienza di quante e quanti da quella guerra sono fuggiti, fuggono e fuggiranno nei prossimi giorni.

Una gabbia che, oggi, ci viene proposta come intoccabile, imprigionando il nostro ragionamento intorno alla legittimità o meno dell’intervento internazionale. Dobbiamo, invece, andare oltre questa discussione, che è superata nel momento stesso in cui si afferma che la guerra è comunque un crimine, senza se e senza ma, per provare a costruire un pensiero comune sul significato dell’altro mondo possibile, partendo dalla costatazione che è questo mondo a non aver più gli equilibri che hanno caratterizzato i decenni passati. La parola crisi attraversa oggi in maniera trasversale gli aspetti sociali, ambientali, economici, militari del globo, imponendo domande a cui rispondere è possibile soltanto con un’alternativa complessiva, generale, globale.

Su questo, ci sentiamo di dire che è quanto mai urgente aprire una discussione, a partire dagli spazi di movimento che in questi mesi abbiamo attraversato e visto crescere nel nostro paese. Siamo contro la guerra e con quanti nel mondo lottano per la libertà e la nostra risposta non può che essere quella di continuare a cercare l’altro mondo possibile. Per questo, nel nostro piccolo, continueremo a batterci per sottrarre terreno alla militarizzazione attraverso il Parco della Pace; e per questo, vogliamo accogliere con piena dignità quanti dalla guerra fuggono e fuggiranno.
domenica 20 marzo 2011

http://www.nodalmolin.it/spip.php?article1243

da Indymedia

Vendola come un Robin Hood al contrario: toglie ai poveri per dare ai ricchi!

Michele Rizzi coord. reg. di Alternativa Comunista ci invia un comunicato nel quale dibatte dello scottante tema della sanità pugliese.
Commentate


Le ultime dichiarazioni dell'assessore alla sanità Fiore sull'aumento del buco nella sanità (fatto dal primo governo Vendola) e quelle dell'assessore al bilancio Pelillo sul possibile aumento dell'irpef dei lavoratori pugliesi, sono totalmente inaccettabili per Alternativa comunista. Infatti Vendola, che nei talk show televisivi parla di lotta per i diritti dei lavoratori, nella nostra regione, da novello Robin Hood al contrario, toglie ai lavoratori pugliesi, mettendo il ticket di un euro sulle ricette, chiudendo ospedali e posti letto, aumentando le tasse sui lavoratori dipendenti, aumentando l'accise sulla benzina; nel mentre arricchisce il padronato con un piano per il lavoro che aumenta i contributi pubblici agli imprenditori, regala fondi pubblici per la costruzione di ospedali privati, tipo il San Raffaele di Don Verzè, arricchisce le lobby dell'energia.Si prepara una nuova triste primavera per i lavoratori pugliesi sotto la duplice tenaglia del governo nazionale e di quello regionale.
Alternativa comunista, attraverso gazebo in piazza, comizi ed assemblee, continuerà la opposizione a queste misure antipopolari.
Michele Rizzi