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martedì 12 luglio 2011

Lettera di un ergastolano ostativo al Presidente della Repubblica

Signor Presidente della Repubblica, ci sono delle sere che il pensiero che possiamo rimanere in carcere per tutta la vita non ci fa dormire.

E la speranza è un’arma pericolosa.

Si può ritorcere contro di noi.

Se però avessimo un fine pena…

Se sapessimo il giorno, il mese e l’anno che potessimo uscire…

Forse riusciremo a essere delle persone migliori…

Forse riusciremo a essere delle persone più buone…

Forse riusciremo a essere delle persone più umane…

Forse riusciremo a non essere più delle belve chiuse in gabbia.

Signor Presidente della Repubblica,
noi “uomini ombra” non possiamo avere un futuro migliore, perché noi non abbiamo più nessun futuro.

E per lo Stato noi non esistiamo, siamo come dei morti.

Siamo solo come carne viva immagazzinata ad una cella a morire.

Eppure a volte, quando ci dimentichiamo di essere delle belve, noi ci sentiamo ancora vivi.

E questo è il dolore più grande per degli uomini condannati ad essere morti.

A che serve essere vivi se non abbiamo nessuna possibilità di vivere?

Se non sappiamo quando finisce la nostra pena?

Se siamo destinati a essere colpevoli e cattivi per sempre?

Signor Presidente della Repubblica,
molti di noi si sono già uccisi da soli, l’ultimo proprio in questo carcere il mese scorso, altri non riescono ad uccidersi da soli, ci aiuti a farlo Lei.

E come abbiamo fatto anni fa, Le chiediamo di nuovo di tramutare la pena dell’ergastolo in pena di morte.

Gli ergastolani in lotta per la vita del carcere di Spoleto

Luglio 2011

Carmelo Musumeci

Roma, 10 luglio 2011

Egregio Presidente, caro Giorgio Napolitano,

nella giornata di ieri ho effettuato una visita di sindacato ispettivo alla casa di
reclusione di Spoleto dove ho incontrato decine di ergastolani, fra i quali il
dott. Carmelo Musumeci che mi ha chiesto di consegnarLe una lettera
sottoscritta da “gli ergastolani in lotta per la vita”.

Come potrà constatare, si tratta di parole tristi di chi non ha più speranza. Pur
avendomela consegnata ieri, l’ho letta solo oggi e devo dire che non condivido affatto alcune
espressioni a Lei rivolte, come quella nella quale gli ergastolani invocano il
Suo aiuto a morire. Ma io non sono al loro posto ed è per questo che ho deciso
di consegnarglieLa lo stesso.

D’altra parte, il dramma di cui sono portatori è immenso. Infatti, la nostra
legislazione non solo prevede la pena dell’ergastolo - che, a mio avviso, è
nettamente in contrasto con l’art. 27 della nostra Costituzione tanto che,
assieme ai miei colleghi radicali, ho presentato una proposta di legge di
abrogazione - ma addirittura l’ergastolo “ostativo”, cioè una pena che
effettivamente non finisce mai e che non dà diritto ad alcun beneficio, anche se
il condannato assuma per decenni un comportamento irreprensibile, improntato
alla ricerca del bene e della crescita umana di sé e degli altri.

Voglia scusarmi, Signor Presidente, anche perché – in questo caso – il messaggero, quale io sono in questo momento, “porta pena” e che pena!

Nell’augurarLe ogni bene, le porgo i miei più sinceri e deferenti saluti.

Rita Bernardini