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mercoledì 4 gennaio 2012

CARMELO MUSUMECI - Buon Anno da un ergastolano

di Carmelo Musumeci
Buon anno ai prigionieri e a tutti i prigionieri di se stessi;
buon anno agli uomini in nero del ministero d'ingiustizia che gestiscono le persone senza essere persone;
buon anno ai giudici che pretendono di giudicare senza essere giudicati;
buon anno a tutti gli innocenti, pure ai colpevoli e a quei colpevoli di essere innocenti;
buon anno alle guardie carcerarie sperando che si ricordino che per gestire le persone bisogna essere persone;
buon anno ai forcaioli purchè si ricordino che il carcere è come un'autostrada e ci potrebbero passare pure loro;
buon anno a quelli che sono morti per essere vivi ed a quelli che tentano di essere vivi per non morire;
buon anno a quelli che non sono buoni per andare in paradiso e ai cattivi che non hanno paura di andare all'inferno;
buon anno a tutti quelli che soffrono, piangono, ridono e sono felici, ai pazzi ed ai normali che fanno i pazzi per non impazzire;
buon anno a quelli che hanno speranza, a quelli che l'hanno persa e a quelli che si illudono e sognano e a quelli che non reggono il peso della prigione e della sofferenza;
buon anno a tutti i prigionieri del mondo, pure a quelli di Guantanamo;
buon anno a tutti quelli che si sono tolti la vita in carcere;
buon anno a quelli che si sentono piccoli perché solo così si può essere grandi;
buon anno a quelli che credono che la verità non è che un aspetto della verità;
buon anno a quelli che credono che il giudizio per essere giusto dovrebbe tener conto non soltanto del male che uno ha fatto ma anche del bene che farà, non solo della sua capacità di delinquere ma anche della sua capacità di redimersi;
buon anno a quelli che sono solo ciò che sono, che non si piegano alle ingiustizie e non si rassegnano;
buon anno anche ai deboli che sono forti perché non lo nascondono;
buon anno a quelli che fanno il male così pienamente e allegramente come quando devono punire i prigionieri;
buon anno a tutte le vittime dei prigionieri e quindi ai prigionieri vittime di se stessi e della società;
buon anno ai nostri aguzzini che non ci fanno capire dove abbiamo sbagliato ma ci puniscono solo perché abbiamo sbagliato;
buon anno a quelli che capiscano la giustizia vivendo l'ingiustizia fra le mura di un carcere;
buon anno a tutti i prigionieri che pure in catene pensano da uomini liberi;
buon anno anche a dio sperando che la smetta di essere dio;
buon anno ai deboli, ai derelitti, agli ultimi e ai potenti, ai poveri, ai ricchi che sono poveri, a tutti noi che siamo, a quelli che non ci sono più.

COLLETTIVO ANARCHICO LECCE - TRA UN RICORDO SBIADITO E UN VIVO PRESENTE


(A proposito dell'affondamento della Kater i Rades)

A prima vista potrebbe sembrare un'opera meritoria: una scultura che ricorda una tragedia potrà far sì che quell'avvenimento rimanga impresso indelebilmente nella mente di chi vi passerà vicino. Eppure qualcosa non torna...
Il 28 marzo 1997 una nave carica di immigrati albanesi viene affondata al largo del canale di Otranto dalla nave Sibilla della marina militare italiana, provocando ottantuno vittime. Non è stato il caso, non sono state le condizioni del mare particolarmente avverse, vi sono stati dei responsabili precisi. La giustizia, quella democratica, ha fatto il suo corso, trovando, come spesso accade in questi casi, una soluzione alla “Ponzio Pilato”. Poco importa la sua conclusione, lo Stato non condanna mai se stesso. Ora di questa tragedia si vorrebbe fare un evento da commemorare con un'opera scultorea apprezzabile da addetti ai lavori come un'importante opera d'arte. Per ricordare e farne un inno all'incontro, all'umano bisogno di storie, afferma uno dei testi di presentazione dell'evento.Il fatto è che da commemorare non c'è proprio nulla, perché sono ancora vive nelle nostre menti le grida di chi, cadendo in mare ha perso la vita o i suoi parenti. Vive sono le urla di chi ancora oggi, al largo delle coste del Salento, (l’ultimo naufragio è del 27 novembre scorso - 3 immigrati morti e 30 dispersi) o del Mediterraneo, perde la vita in cerca di una speranza di sopravvivenza. Viva è la rabbia e la disperazione di chi in Italia riesce ad arrivarci ma viene impacchettato e rispedito subito indietro, oppure rinchiuso, fino a diciotto mesi, in Centri di Identificazione ed Espulsione perché non ha un documento regolare. La stessa Otranto che si vanta di essere città dell'accoglienza, dichiarata patrimonio dell'Unesco, è anch'essa un anello di questo sistema dell'esclusione. Il suo centro di accoglienza temporanea “Don Tonino Bello” funge infatti da anticamera proprio verso quei rimpatri e verso quei Cie che sospendono il tempo e la vita di migliaia di immigrati. Questo è ciò che ha deciso il diritto democratico, questo ciò che ha deciso l'Economia, di cui gli Stati sono solo un'appendice (ce ne saremo ormai resi conto?). Migliaia di immigrati sono rinchiusi perché la loro vita deve essere contenuta, proprio come la nostra, trasformata ormai in un’appendice della merce e della tecnica. Anche per chi non è straniero infatti, la reclusione non è cosa così lontana. Nuovi ghetti, nuove aree videosorvegliate, nuove carceri sono pronte a contenere chi semplicemente afferra ciò che non può permettersi, oppure alza la testa davanti a sempre nuovi padroni. Per questo non abbiamo nulla da commemorare ed è per questo che un senso di fastidio e un moto di rabbia ci assale quando sentiamo di queste iniziative. Perché non serviranno a cancellare le morti in mare, perché non libereranno coloro che sono rinchiusi, perché non fermeranno la mano razzista di chi ammazza chi ritiene diverso. Perché non impediranno ad associazioni come “Integra” , tra i fautori dell'evento, di continuare a lucrare sugli immigrati che da quei centri passano (un esempio è il campo di Manduria).
La memoria può essere sovversiva se all'umano bisogno di storie sostituisce l'umano bisogno della libertà.
Nemici di ogni frontiera